Overture


In principio era l'oscurità più totale; soltanto un fascio di luce illuminava il grande vuoto.

Ad un tratto, questa linea luminosa ininterrotta prese ad annodarsi su se stessa formando un globo lucente e questi esplose dando origine alle prime stelle che risplendevano come miliardi di boccioli luminosi.

Ce n'erano di piccoli e di grandi, alcuni vicini e altri lontani fin dove l'occhio si poteva spingere.

Ma la loro luce non era fissa, immobile, bensì si attenuava e riprendeva a brillare lentamente; come il ritmo di un battito o del respiro.

Guardandole tutte insieme sembravano miliardi di cuori che battevano all'unisono, pulsanti di vita, oppure miliardi di spighe ondeggianti nel vento.

Ad un tratto uno di questi boccioli si schiuse in un esplosione.

Venne seguito da molti altri e presto l'universo fu avvolto in uno spettacolo molto più bello e maestoso del più sorprendente gioco pirotecnico che abbiate mai visto.

Da tutte queste esplosioni si sprigionavano delle nubi di polvere finissima, che presto vennero ad aggregarsi in ammassi sempre più grandi e rocciosi, che ruotavano su se stessi e a loro volta intorno ad altri nuovi boccioli di luce anch'essi palpitanti.

In un'altra parte di questo universo gigantesco alcuni boccioli si schiusero, ma da essi uscirono degli esseri enormi, al di là di ogni immaginazione; essi avevano le zampe anteriori e la testa come quelli di un'aquila, tanto che nella parte anteriore del corpo presentavano un folto piumaggio e dalle loro spalle si dipartivano delle ali da uccello.

Nella parte posteriore però erano forti e vigorosi come il più grande tra i leoni e le loro zampe posteriori erano di felino e artigli uscivano dalle loro dita, affilati come l'acciaio di Thundgrom.

Ora nell'universo si sprigionò un grande canto, quale non si era mai udito prima di allora e quale non si udrà mai più, fino a che il tempo non giungerà a compimento e il disegno di Chilùmion non sarà concluso e ogni cosa non sarà al proprio posto.

Erano i grifoni che cantavano all'unisono, ognuno col proprio verso.
Sì, perché ogni grifone ha il proprio verso.

***************

Proprio in quel momento la porta si aprì cigolando sui cardini e si richiuse con un rumore sordo; fuori infuriava la tempesta con tuoni fulmini, lampi, pioggia e vento, ma dentro si stava caldi e si aveva come la sensazione che le proprie preoccupazioni fossero finite e che il tempo non avesse più alcun significato.

<Sei in ritardo!> disse il vecchio e questa fu la sua ultima frase per quella notte. Infatti come se non gl'importasse nulla di ciò che accadeva (o era accaduto?) oppure come se sapesse già tutto, si mise tranquillamente a dormire e le palpebre gli si abbassarono come gravi di tutta la fatica e le preoccupazioni accumulate nella sua lunga vita.

Con un ultimo gesto delle mani, aggiustò la sua lunga barba sotto le coperte e tenne accanto a sé, ben stretto tra le mani, il suo bastone.

Un tuono squarciò quel momento di prolungato silenzio e la donna che aveva appena messo piede nella stanza, tutta infreddolita e fradicia, sobbalzò per la paura. Aveva viaggiato sotto la tempesta tutto quel tempo eppure non era ancora riuscita ad abituarsi a quel fragore.

<Buonanotte Abixase> disse il giovane, che fino a quel momento aveva ascoltato il vecchio narrare la storia di come tutto ebbe inizio.

<Notte> gli rispose semplicemente lei con le braccia ancora avvolte attorno al corpo; le ci volle un po' per togliersi di dosso il cappotto ancora gocciolante, cambiarsi per la notte e coricarsi.

***************

Il Re Bianco allora si alzò in piedi, prese la spada che gli veniva porta.

Sapeva ciò che doveva fare con quella lama; d'istinto la estrasse dal fodero, con una mano e l'ammirò in tutto il suo splendore, fulgida nella luce del sole al di là della vetrata della piccola cappella.

Allora l'immagine del cavaliere accanto al grifone scomparve d'un tratto, mentre l'animale emetteva un grido acuto, come un richiamo; dapprima si scompose in un miliardo di puntini luminosi, forse anche di più, che poi si dispersero nell'aria circostante e migrarono verso la porta come semi trasportati dal vento.

Il RE si accorse in quel momento che la porta era aperta. Prima non l'aveva notata.

Vi si avvicinò allora, con lo stesso stupore di un bambino che scopre un angolo di mondo per la prima volta.

Era uno sguardo puro il suo.

Rimase abbagliato inizialmente da tutta quella luce, tanto da mettersi un braccio davanti agli occhi, nel timore di diventare cieco da un momento all'altro.

Dopo qualche istante di tempo le sue pupille si abituarono alla luce del Sole e gli sembrò di aprire gli occhi dopo un lungo sonno.

Quello che vide lo lasciò stupefatto. Tutti i suoi soldati e le persone che lo avevano accompagnato nel corso della sua vita erano lì. Avevano capito ciò che aveva fatto per tutti loro ed erano pronti a ricambiarlo combattendo per lui. Sapevano infatti che se i draghi avessero conquistato il mondo, anche le loro vite sarebbero giunte al termine e quindi erano pronti ad opporsi al vero oppressore. Erano tutti inginocchiati davanti alla cappella, come in preghiera e stavano aspettando che il RE uscisse, che desse loro un segno della sua presenza.

E dopo molto tempo, il RE si era mostrato loro. Tutti videro ora com'era cambiato. L'armatura ammaccata non c'era più. Al suo posto ne indossava una nuova, tutta luminosa e sfolgorante.

La lavorazione dell'argento e della madreperla era sublime ed in verità non c'è mai stata armatura uguale sulla terra e non ce ne sarà mai un'altra, sarà per sempre unica, così che anche chi la vede per la prima volta, sappia riconoscerla con un solo sguardo. Ella era pura, autentica, perché non toccata da mani umane e al solo vederla, il resto degli uomini si sentì subito ispirato a seguire il RE in battaglia. Anche coloro che avevano seguito i propri compagni in quel luogo, ma senza una reale convinzione, si convinsero all'istante.

Perché la verità è una sola e quando qualcuno la ode, la vede, la gusta e la riconosce, non può fare a meno di seguirla.

E così fecero tutti loro. Quando il RE passò tra loro, ammantato in quella luce celestiale, essi non poterono fare a meno di seguirlo.

L'altura su cui era costruita la cappella in cui il Re aveva pregato, discendeva in un dolce declivio erboso, che in quella stagione era in fiore. Il cielo si era rannuvolato e tirava un forte vento.

Ad un certo punto, come trasportati dalla tempesta, e dotati della medesima potenza, apparve l'esercito dei draghi neri.

Compirono una manovra a stormo, facendo una rapida virata, rispetto alla direzione in cui erano diretti e scendendo sempre più, puntarono in picchiata verso l'esercito bianco, ancora appiedato.

Al vederli, il Re sguainò la sua spada e ordinò la carica frontale ai suoi uomini che, come le membra di un solo organismo, eseguirono il suo comando, gridando rabbiosi, decisi a sterminare l'intera genia dei Draghi, o a morire nell'impresa.

Dal nulla apparvero sotto di loro i grifoni e si alzarono in volo.

Con una velocità impossibile per qualsiasi uomo o creatura che viva su questa terra, raggiunsero un'altezza pari a metà di quella a cui volavano i draghi e continuarono a salire sempre di più, ma ora un poco più lentamente.

I draghi decisero di fare allora la loro mossa e di scendere in picchiata verso lo squadrone sotto il comando diretto del Re.

Urlando con ancora più forza, Egli mulinò alta sopra il capo la spada e l'intero esercito si divise allora in due parti, le quali presero a salire più velocemente, nascondendosi tra le nubi grigie e dense; poi puntò l'arma davanti a sé e caricò con rinnovato vigore quello che credeva essere il principe dei Draghi.

L'impatto che scaturì dallo scontro, fu tra i più violenti che si possano ricordare. Si sentì dapprima un rombo, come di tuono e vi furono bagliori come di lampi che tutti insieme si abbattano su di una foresta.

L'energia che si sprigionò allora nello schianto, potrebbe essere paragonata a quella di cento e più terremoti che convergano in un unico punto. Quel punto era rappresentato dall'incrocio formato dalla lama del re con l'artiglio del drago.

Il resto dello squadrone si divise non per paura, bensì per attaccare i due fronti dell' esercito nemico e separarli a loro volta, in modo che non potessero sostenersi vicendevolmente.

La loro manovra riuscì alla perfezione; era uno spettacolo ammirarli mentre si libravano in volo; entrambi gli eserciti erano motivati e si impegnavano per vincere lo scontro. Sapevano che solo una delle due fazioni avrebbe vinto. Se avessero vinto i draghi, il mondo sarebbe caduto sotto il loro dominio e l'umanità annientata per sempre.

Non è vero quello che molti affermano, cioè che i draghi avrebbero reso schiavi gli uomini. Essi odiano l'umanità al punto che l'avrebbero stroncata più volentieri sul nascere, ma per loro sfortuna e con nostra immensa gratitudine, le cose sono andate diversamente: quel giorno l'umanità ottenne il suo primo grande trionfo contro i draghi ed essi vennero relegati per sempre nella fredda oscurità del ventre della terra.

<<Arminolfo! Arminolfo, svegliati. Sono io, Abixase.>> la voce risuonò nella testa del potente mago.

La sentiva chiara, vicina, eppure sapeva che era lontana, lontanissima, sia col corpo che con la mente, la quale da troppo tempo vagava ormai per sentieri assai oscuri.

Arminolfo sapeva che era impossibile farla tornare indietro, eppure confidava nell'immensa luce nascosta dentro il cuore di ogni essere umano. Un potere immenso, con il quale essi potevano compiere grandi imprese. Eppure non ne erano consci. Quel potere era proprio solo della specie umana; era la scintilla divina che si era staccata dalla fiamma primigenia e che era migrata all'interno dei cuori delle persone, nei tempi che furono. Alcuni non la riconoscevano, altri la riconoscevano, ma cercavano di soffocarla perché non ne conoscevano il reale potenziale, c'era poi anche chi la soffocava ad altri che lasciavano che si spegnesse senza batter ciglio; ma coloro i quali la riconoscevano e la accettavano, erano in grado di compiere grandi gesta degne di essere raccontate per sempre; nelle mani di questi era ora il destino del mondo.

Assorto in quelle riflessioni, Arminolfo si addormentò nuovamente e il resto della notte lo passò agitato, perso nel sogno, o per meglio dire incubo, di una notte di tanto tempo prima, quando era ancora solo un giovane discepolo del Grande Asceta.

************

<<Arminolfo! Arminolfo, svegliati. Sono io, Abixase.>> disse una dolce voce nell'oscurità.

Il ragazzo si svegliò di soprassalto, un'espressione spaventata sul suo volto, di solito così sorridente; i capelli scarmigliati, misti ad un po' di paglia, la leggera barba incolta tutta arruffata. Davanti a lui stava il volto di una ragazza che lo guardava con i suoi grandi occhi verdi, un'espressione felice, un sorriso bellissimo, una risata cristallina, tutto incorniciato da una lunga chioma castana con riflessi rossi.

<<Oggi è il grande giorno, ma non dobbiamo per questo rinunciare alla nostra passeggiata mattutina.>> gli fece notare la giovane, ridendo.

"E' vero!" pensò tra sé Arminolfo "Come ho fatto a dimenticarmene?" e si portò eloquentemente una mano alla testa, il palmo aperto a contatto con la fronte.

<<Non mi dirai che te ne sei dimenticato! Vero?>> lo rimproverò dolcemente Abixase, mimando uno sguardo corrucciato, ma poi gli concesse un ampio sorriso.

<<Dammi solo un secondo. Mi alzerò, mi vestirò e poi sarò pronto.>> la rassicurò lui.

Detto fatto, una manciata di minuti più tardi era pronto as accompagnare la solerte fanciulla in quella che oramai era per loro un'abitudine consolidata.

Alle prime luci dell'alba, erano soliti lasciare la casetta dove vivevano insieme all'eremita loro maestro e andarsene a spasso per i prati, assorti nella contemplazione della natura, la rugiada che si infilava nei sandali era una fresca carezza per le dita dei loro piedi.

Durante quelle lunghe passeggiate, amavano tenersi per mano e riflettere sulla bellezza della vita e della natura, insomma di tutto quanto Chilùmion aveva creato: i sassi che facevano capolino improvvisamente tra i fili d'erba, minacciando di farti inciampare, i fiori che punteggiavano il prato e che erano così belli a raccogliere, da odorare, l'acqua del ruscello che scorreva placido in quell'immensa radura, le piante di rovo che crescevano sui suoi argini, le more, i mirtilli, i lamponi freschi e infine il Sole, l'elemento più importante, che scaldava i loro volti e li faceva sentire vivi, sospesi, piccole creature che camminavano su quell'atomo, in sospensione nel vuoto cosmico, che visto a quell'ora, dal punto in cui erano loro, con i piedi saldamente ancorati al suolo, sapeva d'azzurro.

Queste passeggiate li portavano inevitabilmente sul sentiero che li avrebbe condotti fino in città, dove sarebbero giunti appena in tempo per l'apertura dei negozi, per essere i primi ad acquistare le provviste necessarie al loro sostentamento e a quello del vecchio eremita. In realtà si trattava solo di andare a ritirare i frutti del lavoro che ogni artigiano avrebbe deciso di offrirgli spontaneamente, prima di aprire la bottega al pubblico e vendere le restanti merci per denaro ai concittadini.

Come sempre in quelle occasioni, anche quel giorno arrivarono alle porte della cittadina chiacchierando animosamente, ma non litigando, entrambi presi dall'esporre all'altro le proprie idee.

Era bello per Arminolfo accorgersi costantemente di aver finalmente trovato una persona che lo riusciva a capire in quel mondo dove non riusciva a sentirsi a suo agio, perché incompreso da tutti ad eccezione del Grande Asceta, come tutti chiamavano l'anziano signore che viveva con lui e ora anche con Abixase, in quell'umile casetta sulle montagne.

Le guardie, riconoscendoli, non poterono fare a meno di interrompere il flusso dei loro discorsi con una delle loro battute.

<<Arminolfo ed Abixase, che sorpresa. Ancora insieme? A quando le nozze?>> chiese una delle due, mentre l'altra era impegnata a sollevare la sbarra per farli passare; poi, quand'ebbe finito, tutte e due cominciarono a ridere sguaiatamente aggiungendo:<<Sì! Sempre se il vecchio glielo permette.>> e altri commenti anche più caustici, circa quanto sarebbe stata difficile per loro la vita coniugale, vivendo insieme sotto lo stesso tetto di quel "fanatico di un religioso".

In quel momento qualcosa scosse la mente del vecchio mago e Xetrotar se ne accorse.

<<Arminolfo! Arminolfo!>> disse prendendolo per una spalla e scuotendolo abbastanza da renderlo semi-cosciente.

<<Che c'è ragazzo? Non vedi che sto dormendo?>> gli rispose il saggio.

<<Sì, lo so. Ma avete appena fatto un verso strano.>> lo informò allora il giovane cavaliere.

<<Tu...non farci caso giovanotto. Va tutto bene, va tutto bene.>> lo tranquillizzò Arminolfo, girandosi dall'altro lato, rispetto a dove aveva sentito la voce del ragazzo, la sua mente continuando a vagare,

<<Non badarci.>> gli disse Abixase, prendendogli un braccio e conducendolo oltre i battenti aperti, lungo la strada principale.

In qualche modo a lui ancora sconosciuto, gli abitanti della cittadella avevano saputo che per lui quello sarebbe stato "Il grande Giorno", come lo aveva chiamato Abixase, quando lo aveva svegliato. Così che le offerte erano il doppio rispetto al solito, nonostante tutti offrissero solo ciò che era nelle loro possibilità, senza privarsi di cose essenziali e le facce di tutti erano sorridenti al suo passaggio, tutti si congratulavano. "Ce l'hai fatta." gli diceva qualcuno, "Bravo ragazzo e ora che farai? Io cerco un bel paio di braccia forti per la mia bottega, cominci domani." gli diceva qualcun altro, sempre ridendo, "Sapevo che ce l'avresti fatta, bravo Arminolfo! Questa è per te." gli disse una ragazza, porgendogli una collana e dandogli un bacio sulla guancia.

Mentre camminavano, Arminolfo ebbe come l'impressione che Abixase tentasse in qualche modo di chiedergli aiuto, ma per quale motivo? Visto che l'atmosfera tra loro era quanto mai idilliaca; questo motivo gli era totalmente sconosciuto.

Ave va riscontrato soltanto che quegli apprezzamenti, di Abixase nei suoi confronti, assomigliavano a segnali che contenevano una malinconica disperazione. Ma per che cosa? L'effetto di quei begli occhi verdi, quasi vibranti, conficcati nei suoi senza lasciargli quasi il respiro, lo inducevano ad una tenerezza rassicurante verso di lei; lo rendevano quanto mai deciso a volerla difendere e salvare a qualunque costo da ogni pericolo nel quale Abixase si fosse trovata.

Probabilmente si trattava di una strategia, un ultimo tentativo per far sì che Arminolfo si concentrasse ulteriormente su di lei: intrappolata in un' incomprensibile prigionia dalla quale, forse troppo tardi, aveva deciso di liberarsi. Tutto ciò non importava, lui sarebbe riuscito comunque a salvarla: avrebbe combattuto fino all'ultimo, distruggendo qualsiasi catena, anche infernale, nella quale fosse imbrigliata. Il coraggio non gli mancava, ma tutto questo e la naturale incoscienza propria della gioventù, spesso non sono sufficienti a scongiurare i pericoli nei quali altri si tuffano senza calcolarne il prezzo, che a volte può essere troppo alto.

Ma intanto i due giovani, raggiunsero la dimora del buon eremita, che aveva in serbo per Arminolfo un'importante novità: una salita di grado, una sorta di promozione, che gli avrebbe consentito una maggior riuscita nelle imprese da compiere nella sua vita da quel momento in poi; una consacrazione che ahimè! Non si potè celebrare, poiché d'improvviso si avvertirono delle scosse, dei boati e la terra si squarciò, aprendosi paurosamente nel mezzo, sotto i loro piedi...

Arminolfo, svegliandosi come da un incubo, si ritrovò riverso sulla paglia umida di un carro trainato da due buoi sonnolenti, che procedevano lentamente; non era morto! Bensì era più vecchio e saggio, cosa che non sembrò meravigliarlo più di tanto e proprio la sua saggezza, gli riportò alla mente il fatto che si fosse trattato solo di un sogno; basato sulle memorie del passato, ma pur sempre un sogno.

Si alzò dunque a sedere appoggiandosi con fatica alla sponda del carro.

Stava osservando il terreno che scorreva lento sotto di sé e l'orizzonte che man mano si allontanava, quand'ecco una mano posarsi d'un tratto sulla sua e riscuoterlo dai suoi pensieri.

<<Finalmente ti sei svegliato. Credevamo fossi morto.>> lo informò Xetrotar. Era sua infatti quella mano.

<<Vi sarebbe piaciuto, stolti. Ma senza di me non avreste speranza alcuna.>> sollevò la barba in un sorriso, poi scoppiò in una risata vera e propria, coinvolgendo anche gli eroi accanto a lui, in marcia verso il luogo dello scontro.

******************

<<La battaglia divampò furiosamente, senza esclusione di colpi; la Regina Drago, nella sua impenetrabile armatura color viola e argento, intessuta dell'odio più profondo, non era intenzionata a soccombere all'esercito del futuro Re Xetrotar; inoltre era riuscita a trascinare quest'ultimo sul terreno dove sapeva che i suoi avrebbero certamente dato il meglio di sé, ovvero la palude.

I soldati dell'Armata Bianca, a questo punto, avanzavano alquanto impacciati, laddove gli acquitrini si mescolavano alla piana erbosa. Nei punti più asciutti, il fango invischiava talmente i piedi dei guerrieri, che a tratti parevano immobilizzati, nonostante mettessero ogni sforzo anche solo nel muovere un passo.

Ecco cosa avvenne ragazzi>>disse il maestro, spiegando i momenti salienti dell'antico scontro<<L'esercito bianco, non potè più accerchiare gli orchi della regina, che ora avevano campo aperto a sufficienza per caricarli e cercare di disperderli. Tuttavia, l'eroismo dei buoni, alla fine li aiutò a prevalere e a conseguire una schiacciante vittoria, che ricordiamo ancora oggi il 25 Luglio.>> la voce del maestro s'interruppe un momento<<Secondo voi ragazzi, come si sviluppò un odio tanto grande nella mente della Regina Drago, quando ancora non lo era diventata? In pratica: come ha fatto la Regina Drago, a diventare ciò che è stata? Ve lo siete mai chiesti? scaturisce da forze che agiscono nel segreto e cercano di convincere che il male è bene e il bene è male. Purtroppo le menti dei giovani e di chiunque si appresti a ragionamenti importanti senza l'adeguata preparazione e più facilmente vittima di questo fenomeno, che non porta altro che confusione.>> non aveva neanche finito di parlare, che la campana suonò e i ragazzi si precipitarono lungo le vie della città, verso la piazza principale. La festa stava già prendendo forma.

Tutti cantavano e ballavano allegramente. Avevano anche appeso delle lanterne colorate per illuminare la strada, lungo delle corde che andavano da una casa all'altra.

La strada lastricata brillava letteralmente,punteggiata da tutte le ombre colorate che le lanterne proiettavano sul selciato, traballanti a seconda dei movimenti che la fiamma compiva all'internodi ogni singola lanterna; talora la luce era più fioca, talora più viva.

Queste lanterne volevano ricordare a tutti, l'origine del mondo, quando i fiori cosmici si dischiusero e i grifoni iniziarono a cantare.

Il selciato di pietra bianca era invece la via della Purezza, che portava fin sotto il castello, alla piazza della fontana, dove un giglio racchiudeva una statua marmorea di donna, dai lineamenti delicati, che si diceva essere la fondatrice della città. Nessuno però sapeva chi fosse. Infatti era comune credenza che la statua fosse stata eretta in quel punto dal primo re Alessandro, il magnifico, colui che aiutò l'eroe Xetrotar nella battaglia contro la Regina Drago. Scolpita su sua indicazione, dall'eroe Pigmalion, che aveva un dono particolare per plasmare le pietre, secondo l'immagine che aveva in testa, semplicemente cantando, o suonando uno strumento a fiato. Alessandro gli descrisse una donna che aveva visto in sogno una volta, quando era molto giovane e che da allora aveva cercato in lungo e in largo nel suo mondo, prima di approdare su Kalarhan, come lo conoscono gli umani, che sarebbe dunque il mondo in cui viviamo.

Il vecchio Arthur Caliorn, si scrocchiò la schiena, osservando i suoi pupilli che, divertiti e soddisfatti, giocavano lungo la strada, passeggiando allegramente verso il luogo della festa. La grande piazza della fontana, addobbata tutta con nastri di vario colore, che correvano per tutta la sua estensione, dal balcone tattico del castello, chiamato così poiché da lì si vedeva tutta la città da una prospettiva a volo di falco, la quale molto utile era per la pianificazione bellica, passando per i balconi e i tetti delle case sottostanti, fino alle mura e oltre, dove lo sguardo poteva spaziare in totale libertà per le pianure, le colline e le valli, fino alla Foresta dei Padri, nella cui radura, perfettamente al centro, stando a quanto raccontavano le leggende più antiche, svettava l'Albero, dalle cui radici ebbero origine tutti gli altri e, sempre stando a quanto dicono le leggende, dal cui legno nacquero i primi abitanti della valle di Serenia. Erano queste, leggende suggestive, storie che a Caliorn piaceva di raccontare ai suoi studenti, soprattutto quelli più giovani, per ricordare loro che sempre abbiamo da imparare dal nostro passato e accendere dunque il loro interesse per lo studio della Storia, quella stessa scintilla che albergava anche nel suo cuore; chissà se in futuro, qualcuna delle sue "giovani reclute" come amava definirli tra sé e sé, ripensando anche al suo passato militare, non avrebbe magari deciso di seguire le sue orme e viaggiato in tutto il mondo, diventando addirittura il più grande storico che fosse mai esistito? Egli stesso, motivato da questo amore per la disciplina che insegnava, avuto fin da quando ricordasse e portato sempre costantemente avanti, senza mai stancarsi, onde carpire i segreti dell'origine comune, di tutto ciò che è esistito, esiste ed esisterà, viaggiò in lungo e in largo e in tutte le direzioni allora conosciute, in modo da non tralasciare nemmeno il più piccolo dettaglio del mondo di Kalarahn, dalla cui radice, in effetti ora che ci pensava, derivava anche il suo stesso nome. Ma dopotutto non v'era di che stupirsi, essendo Caliorn molto vecchio ed essendo anche una lucertola. Le lucertole...

***************

<<Nonno!>>esclamò Giovanni, tirando fuori, neanche lui sapeva da dove, un grossissimo sbadiglio, il più grosso che si fosse mai sentito.

<<Buonanotte.>>rispose il nonno, rincalzandogli le coperte.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top