4 - Hurts like Heaven [revisionato]

Hurts like Heaven - Coldplay

Ottobre

«Quindi, una matrice quadrata ha una diagonale principale, cioè quella formata da..?»

«Tutti gli elementi con indici uguali!»

«Visto che hai capito, cosa ci voleva?» mi scimmiotta, mentre io sorrido contenta.

«Grazie mille, Peter!» Lo abbraccio velocemente e torno a guardarlo. Anche se effettivamente ci conosciamo da davvero poco, lui ha avuto pochi problemi a "sciogliersi", con me. A detta di MJ è perché sono più piccola e allora risulta più facile, mentre per Shane c'entra il fatto che ho "fattezze angeliche" e quindi "come non ci si può fidare di un angelo?". Mentre sistemo astuccio e libro nello zaino, do un'occhiata agli innumerevoli oggetti nella sua camera, inclusa la Morte Nera. Solo ora mi accorgo di un minuscolo dettaglio, tanto invisibile quanto importante. Mi volto di scatto e lo fulmino con lo sguardo: «CHI E' L'HUTT CHE HA MESSO L'IMPERATORE SUL TETTO DELLA MORTE NERA!? DEVE ESSERE MESSO SUL TRONO!» esclamo, alzandomi e mettendolo al posto esatto. Peter rimane basito, così gli sorrido. «Hai ancora così tanto da imparare, mio giovane padawan...»

Mi siedo sul suo letto e incrocio le gambe.

«Esattamente, mio maestro... proprio per questo mi devi aiutare con Liz!» esclama, sedendosi accanto a me, con fare innocente. Il mio entusiasmo si spegne, ma cerco di non darlo a vedere. «Da dove iniziamo...?» chiedo, come se fosse lui l'insegnante e io l'alunna. Lui guarda per aria, con fare riflessivo. Poi mi si accende una lampadina, così mi esprimo: «E se simulassimo un appuntamento?»

Mi guarda interrogativo, così mi difendo: «Senti, ho quindici anni ed un'esperienza amorosa che si riduce a film, serie TV e libri... hai qualche pretesa? Niente?»

Lui scuote la testa, così esco dalla camera lasciando la porta aperta. «Ora, io entrerò da qui e tu mi dovrai accogliere come se io fossi Liz. C'è solo una regola: sii naturale, okay?»

«Avete già finito?» ci chiede May, con un vassoio di pane ai datteri in mano. Se è davvero come quello che ha mangiato Tony Stark, passo, grazie. Esatto, nel giro di pochi giorni avevo scoperto anche quello... escluso il motivo per cui Parker venne escluso dal progetto per "ragazzi prodigio". Il suo cervello avrebbe potuto fare la differenza.

«Sì, May. Ora lasciaci finire...» la incita Peter, gesticolando animatamente. La donna torna in cucina senza proferire verbo, così faccio cenno a Peter e il gioco ha inizio.

«Ciao Peter!» esclamo, varcando l'entrata della camera.

«Ciao, Liz. Vieni pure a sederti.» mi invita, battendo la mano di fianco a lui. Per il resto ci scambiamo solite domande di cortesia, fino a quando Peter si fa serio, e capisco che sta per fare la grande confessione.

«Ti ho chiesto di vederci, Liz, perché c'era una cosa che volevo dirti da tanto...»

Inconsciamente, trattengo il respiro, quando la sua mano si avvicina alla mia. Di riflesso la allontano, scuotendo la testa e arrossendo. «Se devi prenderle la mano, devi farlo subito. Zero esitazioni.» lo fermo, cercando di giustificare il mio movimento improvviso. Respira, Iris. E' solo un ragazzo... è solo Peter.

«Bene, vai avanti. M-ma evita di pendermi la mano, okay?»

Lui annuisce e continua, meno convinto di prima. «Penso di amarti ancora, Liz. E' da quando hai varcato l'uscita del Midtown che volevo dirtelo, ma non ne ho avuto il coraggio. Perdonami, mi sarei dovuto fare avanti prima, già all'Homecoming, è che non ero sicuro che uno sfigato come me...»

Lo interrompo alzando una mano e tirando un respiro profondo. Perché sono così agitata?

«Non autocommiserarti, a meno che tu non voglia sembrare davvero uno sfigato.»

Lui rimane interdetto, mentre mi osserva. «E' diverso. Io ho la fama dello sfigato, ci sarà un motivo se ce l'ho.»

Mi sistemo gli occhiali sul naso, mentre macino una risposta. «Mio Dio, Peter. Tu non sei affatto uno sfigato. Anzi, se tutti gli sfigati fossero così, la metà delle ragazze sbaverebbero dietro a loro...»

Solo dopo aver notato il suo sguardo accigliato, mi accorgo di cosa sia uscito dalla mia bocca. Cosa. sta. succedendo. «Comunque, rimane il fatto che non sei uno sfigato, e che tutti ti fanno credere che tu lo sia solo perché sono invidiosi... anzi, potresti essere tranquillamente Spider-Man. Io l'ho incontrato e, fidati, quando ti dico che non ha per nulla l'aria di essere uno spaccone. Potrebbe essere tranquillamente come te.» concludo, spigliata. L'unica metafora che ti è venuta in mente? Davvero? Lui sembra sudare freddo, e forse capisco di aver esagerato. «Io? Spider-Man? M-ma quando? Sono solo molto atletico, alla fin fine.» balbetta, grattandosi la nuca. Meglio cambiare argomento.

Per farlo distrarre, faccio un gesto sbadato con la mano, e vado avanti con il discorso precedente: «Quindi, siamo arrivati al punto in cui ti dichiari. Hai preso in considerazione il fatto che potrebbe metterti all'istante nella friend-zone? Non voglio essere pessimista, però c'è la possibilità remota che questo accada.»

«Mi chiedi troppo, Iris! Non sono neanche sicuro se riuscirò ad invitarla ad uscire, né tantomeno a parlarle! Un dilemma per volta.» esclama, esasperato.

«Va bene... dai, direi che questo basta, no?» chiudo il discorso io.

«Ma come, io non-»

«Basta che tu sia te stesso, come hai fatto ora con me. Peter, ti ho già detto che io non so un bel niente di queste cose. Se avrai proprio proprio bisogno d'aiuto, posso consigliarti qualche libro o film da cui ho imparato quel poco che so - quello che sto dicendo ora a te.» concludo, risoluta. Per alleggerire l'atmosfera, lo lascio con un sorriso e un occhiolino. «Fidati di me.»

«Mi fido.»

Inaspettatamente, quelle parole mi smuovono qualcosa dentro. Suona come una promessa, come un giuramento. Un giuramento destinato a durare. Mi perdo ancora nei suoi occhi, mentre sento lo stomaco stringersi... No. No. Non può essere.

Mi alzo di scatto, e raccogliendo di fretta le mie cose, dico a Peter: «Scusami, non mi sento molto bene. Vorrei andare a casa.»

«Certo, ti accompagno se v-»

«No. Vado da sola, grazie. Devo fare solo qualche rampa di scale.» rifiuto, risultando più dura del dovuto. Prima di uscire, saluto la signora Parker, quando Peter mi ferma e mi chiede di scrivergli un messaggio, quando sarò a casa. «Non preoccuparti di me, Parker. Starò bene.»

Corro verso le scale, immaginando quel gesto più come una fuga che una semplice corsa. Perché mi sento così?

Mi sento confusa, persa. Il cervello era andato in tilt già da parecchio. Da quando ti ha sorriso l'altro giorno, ora che ci pensi. «Taci, una buona volta!» urlo a me stessa. Non posso permettermi di prendermi una cotta dopo cinque giorni. Farò finta che nulla sia accaduto. Ora andrò a casa, leggerò un libro e mi distrarrò. Andrò a letto e penserò alla verifica di domani. Andrà tutto bene, funzionerà.

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Ore? Ventitré e trenta. E nella mia testa c'è ancora Peter Parker.

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