7) Insicurezze devastanti.
L'aria all'interno del furgone dello S.H.I.E.L.D. s'era fatta pesante nel giro di poco tempo: la tensione quasi palpabile pesava sulle spalle dei quattro agenti in arresto, le ferite bruciavano così tanto da assomigliare più a delle punizioni divine che a semplici conseguenze di un combattimento e lo sconcerto per la scoperta della vera identità del Soldato d'Inverno rendeva il tutto ancora più drammatico.
Elaine trascorse la maggior parte del tempo a torturarsi la mano destra le cui nocche avevano da poco smesso di sanguinare, aprendo e chiudendo le dita con fare spasmodico, e non passò un secondo senza che ripensasse all'assurdo incontro di neanche mezzora prima.
Ogni volta che chiudeva gli occhi rivedeva James davanti a sé, come fosse stato impresso a fuoco dietro le sue palpebre: gli occhi azzurri e rabbiosi fissi su di lei, le labbra tirate in una smorfia fin troppo irritata e la sua prontezza nel puntarle un'arma contro la facevano tutt'ora rabbrividire. Per quanto fosse consapevole di dover cedere all'evidenza dei fatti - ovvero che lei non era più nessuno per James -, non riusciva a togliersi dalla testa l'idea che, forse, poteva fare qualcosa per lui, aiutarlo nel ritrovare un contatto con la sua vita ormai persa.
Un primo spiraglio di luce si rivelò nel momento in cui Maria Hill, con indosso una divisa dell'unità STRIKE raccattata da chissà dove, mise fuori gioco l'unico infiltrato dell'HYDRA rimasto nell'abitacolo posteriore del furgone e aprì un buco sul pianale, permettendo quindi la fuga dei quattro ricercati.
Di certo Elaine, Steve e Natasha non avrebbero mai potuto anticipare il successivo incontro, soprattutto se si considerava il fatto che Nick Fury era legalmente morto.
«Era ora!» borbottò proprio il direttore dello S.H.I.E.L.D. con un sogghigno divertito, alzando appena la testa dal morbido cuscino bianco del letto da ospedale. «Non mi aspettavo certo di rivedervi conciati così. Soprattutto te, Collins, ero convinto non fosse nelle tue corde aiutare gli Avengers.»
«C'è sempre tempo per cambiare idea, soprattutto se variano le carte in gioco» rispose Elaine con una scrollata di spalle, ben attenta a evitare lo sguardo indagatore di Nick che sapeva essere fin troppo bravo nel notare ogni suo minimo segno di cedimento. Era sempre stato così, fin dal primo giorno in cui Fury l'aveva presa sotto la sua ala protettiva - esattamente com'era successo con Carol e Natasha anni prima -, e nonostante non ci fossero legami di sangue a unirli, entrambi sapevano d'avere l'appoggio dell'altro, seppur su piani diversi: lei rimaneva costantemente una prima scelta per le missioni più scomode e lui un'ottima spalla su cui piangere tutti i suoi dolori. Purtroppo per Elaine, però, questa volta non sarebbe stato possibile e lo comprese all'istante, appena varcò la soglia di quella struttura nascosta in mezzo a un boschetto abbandonato a se stesso. Tralasciando la presenza di persone all'oscuro del loro legame affettivo, come poteva confidargli il dolore e l'angoscia che provava per James, lo stesso uomo che quasi l'aveva ucciso?
«Colonna vertebrale quasi lacerata, sterno rotto, clavicola spezzata, fegato perforato e un mal di testa infernale» spiegò poco dopo il direttore dello S.H.I.E.L.D. ai quattro nuovi arrivati, mentre un medico si occupava della ferita di Natasha.
«Non dimenticarti il polmone collassato» aggiunse il dottore, applicando del disinfettante sulla spalla della donna per poi coprire il tutto con una spessa garza sterile bloccata da nastro adesivo chirurgico.
«Ti hanno aperto, il tuo cuore si è fermato» parlò la Romanoff, trattenendo a stento un gemito di dolore nel muovere il braccio sinistro. L'incredulità nella sua voce era paragonabile a quella provata dai due supersoldati, solo che questi sembravano non avere più forza per obiettare a cose ovvie. Sam, invece, osservava la scena immobile accanto a Maria e con le braccia incrociate mentre una serie infinita di domande gli si addensava in testa, prima fra tutte chi diavolo fosse quell'uomo conciato così male.
«Tetrodotossina B. Rallenta il polso a un battito al minuto. Banner l'ha sviluppato per lo stress. Non ha funzionato per lui, ma noi siamo riusciti a trovarne un buon uso» continuò nella sua spiegazione Fury, inclinando appena la testa verso destra per osservare meglio i suoi spettatori.
«Perché tutta questa segretezza?» insistette Steve, le braccia incrociate al petto e un'espressione quasi risentita a incurvargli le sopracciglia scure. Credeva nella libertà lui, nelle pari opportunità, e di certo non era abituato a certi loschi traffici.
«Qualsiasi attentato alla vita del direttore doveva sembrare riuscito» si limitò a spiegare Maria, aiutando l'uomo a scendere dal letto per raggiungere un tavolo poco distante in cui stazionavano un paio di computer portatili già accesi.
«Non ti possono uccidere se sei già morto. In più, non sapevo di chi fidarmi.»
Elaine, ora seduta esattamente davanti a Fury, lasciò che il medico si occupasse della ferita sul polpaccio che aveva smesso ormai da un po' di far male, trattenne a denti stretti un mugugno infastidito quando la ripulì con il disinfettante e cominciò a suturarla con un sottilissimo filo di polibutestere per essere certo non vi entrassero ulteriori agenti patogeni.
«Eppure hai coinvolto me e Steve» parlò Elaine, alzando per un istante gli occhi dal volto concentrato del dottore. «Adesso anche noi due abbiamo un bersaglio stampato sulla fronte.»
«Come se fosse una novità» le rispose con cautela Nick. «Questo bersaglio ce l'avete da quando vi abbiamo tirato fuori dai ghiacci.»
«Ma ciò non significa che sia normale ritrovarsi il Soldato d'Inverno alle calcagna» sbottò Elaine. La voce tremolante quasi la tradì nel nominare il nuovo nome di James e Natasha le lanciò un'occhiata compassionevole, forse capendo per la prima volta cosa ci fosse di strano nel comportamento della donna. Steve le poggiò una mano sulla spalla, strinse appena per far sentire il suo muto e incondizionato supporto, e concentrò tutte le sue attenzioni sul direttore di cui quasi non si fidava più. Troppe informazioni erano state nascoste.
«Dimmi, Elaine, c'è forse qualcosa di normale in te?» la riprese Fury, ignorando volontariamente il riferimento al Soldato, quasi sperasse di non doverlo più vedere. «Sei un supersoldato sopravvissuto nell'Artico per settant'anni e per lavoro vai in missioni impensabili. Non credi sia normale che l'HYDRA cerchi di mettere fuori gioco i più potenti?»
La donna rimase in silenzio, la testa bassa e il mento tremolante bastavano per comprendere quanto gli ultimi avvenimenti l'avessero sfiancata psicologicamente, rendendola ancora più debole di quanto già si sentisse. Lasciò che il dottore si occupasse delle nocche sbucciate per poi dileguarsi oltre il portone da cui era accorso, ben consapevole che stavano per discutere argomenti di cui non voleva saper nulla. Troppi rischi.
«Bisogna fermare il progetto Insight» intervenne Natasha, obbligando tutti i presenti a distogliere l'attenzione da Elaine che s'era fatta piccola piccola sulla sua sedia. Per quanto le servissero le informazioni che la mora si ostinava a tenere per sé, la Romanoff un po' di buonsenso ancora ce l'aveva e sapeva che con una buona chiacchierata e qualche pacca sulla spalla sarebbe riuscita a scoprire la verità, bastava pazientare.
Fury allungò una mano verso una piccola scatola metallica, l'aprì con uno scatto veloce e mostrò i chip ai quattro agenti che aspettavano in religioso silenzio. Fu in quel momento che Sam comprese d'essersi infilato in un affare decisamente più grande di lui: forse avrebbe dovuto capirlo prima, magari quando i due supersoldati più famosi d'America bussarono alla sua porta ricoperti di polvere e terriccio, eppure non trovò neanche una ragione per pentirsi. Anni prima s'era arruolato nell'esercito per dare sfogo a quella latente voglia di giustizia che lo aiutò a crescere come un uomo per bene, come poteva tirarsi indietro adesso, con in gioco le vite di milioni di innocenti?
«Cosa sono?» domandò Wilson.
«Quando gli Helicarrier raggiungeranno i tremila piedi, si connetteranno con i satelliti Insight diventando completamente operativi» spiegò Maria, per poi essere interrotta da Fury.
«Dobbiamo quindi salire sui 'carrier e sostituire i chip con i nostri.»
«Uno o due non bastano, però. Dobbiamo collegarli tutti e tre perché funzioni davvero, ne basta uno operativo e moltissimi civili moriranno.»
L'ennesimo macigno crollò sulle spalle di Elaine, ormai consapevole d'aver raggiungo un punto di non ritorno: essere un Avenger significava questo? Sentirsi addosso il peso dell'intero pianeta senza però essere capace di aiutare tutti? Perché, per quanto si sforzasse di pensare altrimenti, non poteva fare a meno di riportare alla memoria tutte quelle occasioni perse, tutte le morti per cui s'era voltata dall'altra parte e il senso d'impotenza cominciò a crepitarle nel petto, infimo e distruttivo come solo lui sa essere. Era solo una mercenaria, nulla di più.
«Non stiamo per distruggere solo gli Helicarrier, Nick, ma anche lo S.H.I.E.L.D.» insistette Steve, allontanandosi per un istante da Elaine.
«Lo S.H.I.E.L.D. non c'entra nulla con tutto ciò.»
«Tu ci hai dato questa missione, ecco come finisce! Lo S.H.I.E.L.D. è stato compromesso, l'hai detto tu stesso. L'HYDRA era sotto il tuo naso da chissà quanto tempo e nessuno l'ha notato!»
«Non saremmo qui se non l'avessi notato» obiettò ancora Fury, senza riuscire a comprendere davvero cosa intendesse Steve.
«Quanti ne hanno pagato il prezzo prima di te?» sbottò Elaine, alzandosi in piedi tanto velocemente da far cadere la sedia a terra. Come poteva non capire che al mondo non c'era solo lui? Chissà da quanto sapeva degli infiltrati e non aveva detto nulla!
Il tonfo sordo che produssero i palmi della donna a contatto con il tavolino riecheggiò nella stanza spoglia e abbandonata, Sam e Natasha si scambiarono uno sguardo preoccupato - già pronti a scattare in piedi per fermare la furia più che evidente nell'espressione della sergente - e Steve riuscì a unire un altro pezzo del puzzle, comprendendo a chi realmente si riferisse Elaine.
«Guarda, non sapevo di Barnes» le rispose Fury e la guardò dritta negli occhi nel tentativo di dimostrarle che, per quanto fosse assurdo da credere, in quel momento non le stava mentendo.
«Anche se l'avessi saputo, ce lo avresti detto?» intervenne Steve, riferendosi implicitamente alla missione sul Lemurian Star. «HYDRA, S.H.I.E.L.D., scompare tutto.»
Steve ed Elaine, ora fianco a fianco, torreggiavano sul direttore come una muta minaccia di morte, sebbene nessuno dei due avrebbe mai osato fargli alcunché; bastarono i loro volti severi, gli sguardi carichi di una rabbia che si portavano dietro da anni, perché l'uomo comprendesse d'aver riottenuto il duo di eroi più efficiente d'America: erano pronti per tornare a combattere insieme.
Nick spostò quindi l'attenzione su Natasha e Sam che non avevano ancora dato alcun evidente segno di partecipazione e si ritrovò ad annuire soddisfatto quando a Wilson sfuggì un «Non guardare me. Io faccio quello che fa lui, solo più lento».
Anche questa volta, nonostante la compromissione dell'organizzazione da lui guidata, era riuscito a trovare la squadra perfetta: due supersoldati risentiti, un pararescue con la voglia di rivincita e un'ex assassina ormai riportata sulla dritta via.
«Ho bisogno del bagno» dichiarò Elaine, interrompendo il muto autocompiacimento dell'uomo, e chiuse le mani a pugno per evitare che tutti ne vedessero il nuovo tremore, preavviso di una sua solita crisi di pianto dettata dall'accumulo di nervosismo e tensione.
Maria le indicò la strada senza pensarci troppo, inconsapevole della verità che perfino Sam - nonostante gli mancasse qualche tassello della storia - riuscì a comprendere, ed Elaine quasi scappò via da quell'ambiente che cominciava a essere fin troppo soffocante.
Appena entrò nel bagno si levò la felpa sporca di polvere e sangue, abbandonandola sull'unico termosifone arruginito lì presente, e poggiò i palmi delle mani ai lati del lavello di cercamica scheggiata: lasciò andare tutto il suo peso sulle braccia, quasi volesse imprimere le proprie impronte sulla superficie gelida, fece un paio di respiri profondi per calmare la tachicardia e alzò lo sguardo sullo specchio annerito davanti a sè.
"Che merda" pensò con un sorriso stanco a incurvarle le labbra pallide e le lacrime cominciarono ad appannarle la vista. La donna riflessa era un'immagine sbiadita della Elaine Collins che tutti conoscevano, una copia molto meno combattiva e senza forze a causa di un innocentissimo incontro.
Non sarebbe mai riuscita a salvare James, ridotta così.
Il primo singhiozzo le scappò quasi per sbaglio, troppo attenta ad autoflagellarsi a causa di una colpa non sua - se solo avesse accompagnato Steve in quella lontana missione del 1945! -, e il pianto che seguì la sconquassò da capo a piedi, mozzandole il fiato e amplificando le fitte alla schiena.
Non c'era pace in quella donna martoriata nel corpo e nello spirito, ma un piccolo accenno di serenità arrivò poco dopo a bussare alla porta del bagno.
«Non... non entrare» parlò Elaine, la voce rauca a causa del pianto che le serrava la gola.
«Rilassati, sei al sicuro qui» le rispose con cautela Natasha, aprendo la porta il minimo necessario per entrare. La rossa si bloccò sul posto nel vederle gli occhi così rossi e gonfi, il busto piegato in avanti con gli avambracci poggiati sul piano del lavandino e le gambe tremare come fossero foglie al vento.
La Romanoff aveva sbagliato i suoi calcoli: Elaine non era egoista come credeva, il suo rifiuto al progetto Avengers sembrava essere dettato da sue insicurezze personali e non da strani complessi di superiorità.
Agente Patriot era solo una maschera da indossare nelle occasioni opportune, un travestimento per nascondere le crepe sempre più profonde in quella facciata da soldato impeccabile, ma quasi nessuno sembrava averlo realizzato davvero. Era sicuramente più semplice limitarsi alle etichette che si portava addosso dargli arbori, risparmiava un sacco di fatica a chi cercava di conoscerla e si evitavano impicci scomodi. Eppure quanto sbagliavano!
«Vattene!» sbottò ancora Elaine, tossendo poi convulsamente con un conato di vomito a bruciarle l'esofago.
«Puoi fidarti di me, dico davvero» insistette Natasha con una gentilezze del tutto inconsueta. Le poggiò piano una mano sulla schiena, carezzandogliela con delicatezza per mostrarle il suo sostegno nonostante si conoscessero a malapena, e la osservò riprendere fiato a stento. Le raccolse i capelli arruffati per levarglieli dal viso e farle arrivare più aria pulita, aprì il rubinetto dalla parte dell'acqua fredda e la lasciò correre. «Bagnati i polsi, dai.»
Elaine eseguì con un sospiro tremante mentre l'ennesimo conato le solleticava la gola in modo disgustoso, facendola sentire ancora peggio del solito: non l'era mai successo di stare così tanto male durante uno dei suoi attacchi d'ansia e ciò la spaventava oltre maniera.
Piano, la donna passò a rinfrescarsi il volto.
«Ecco, brava. Ora inspira ed espira con me» la guidò Natasha, abbozzando un sorriso soddisfatto quando la vide riprendere controllo su se stessa. Adesso, però, non aveva più alcuna voglia di torchiarla per ottenere le sue preziosissime informazioni e il solo pensiero di provarci la faceva sentire in colpa come mai prima d'ora. «Va un po' meglio?»
«Più o meno» rispose Elaine in un sussurro, per poi guardarsi di nuovo allo specchio. Non s'era mai vista così pallida, così stanca, e ripensarci fece scatenare un'ondata di lacrime amare, difficili da contenere. «Non ce la posso fare.»
«Sì invece! Sei una donna forte, intelligente e non puoi abbatterti così.»
«Lo stai dicendo solo per farmi smettere! Ricordo benissimo cosa mi hai detto l'altro giorno» sibilò la mora a occhi chiusi mentre s'imponeva mentalmente di fermare quella crisi che la stava mettendo solo in ridicolo. Non voleva piangere, non lì quantomeno, ma ogni suo tentativo di pensare ad altro la riportava a James, a tutti i momenti passati insieme e di cui lui non ricordava nulla.
«Ho sbagliato infatti» confessò Natasha, il capo chino come volesse scusarsi senza dirlo esplicitamente. Elaine sbuffò innervosita, prese un pezzo di carta asciugamani dal bordo del lavandino per tamponarsi gli occhi gonfi e si massaggiò piano lo stomaco nel tentativo di calmarsi un po'.
«Non sono un Avenger perché ho paura di fallire» cominciò a confidarsi Elaine, la schiena ora poggiata contro le piastrelle di ceramica bianca e lo sguardo fisso sul soffitto. «Questo però non mi ha impedito di accettare soldi per assassinare l'obiettivo di turno dato che l'anonimato mi è sempre stato garantito. Negli ultimi tre anni non ho sempre lavorato con lo S.H.I.E.L.D., ma anche contro.»
«Con l'HYDRA?» s'azzardò a domandare Natasha mentre cercava di ricordare ogni dettaglio della missione in cui l'aveva incontrata la prima volta. Effettivamente era riuscita a scoprire per sbaglio la sua identità, pedinandola per l'intero giorno successivo e andando contro ai rigorosi ordini del suo superiore: non avrebbe rinunciato per nulla al mondo a scoprire chi si celasse dietro quella mira impeccabile, una delle poche persone capaci di sopraffare la famigerata Vedova Nera.
«Mai e poi mai!» esclamò Elaine, guardando sconvolta la collega. Si sarebbe fatta bruciare viva piuttosto che collaborare con loro. «Mi hanno portato via James due volte, meritano di morire tra atroci sofferenze.»
Aveva esagerato. Non avrebbe dovuto nominarlo ancora, non dopo una crisi di pianto simile.
«Barnes?» chiese conferma la rossa e la risposta fu un cenno affermativo della testa. «Chi è per te, per voi?»
«Era il migliore amico di Steve» si limitò a spiegare, rimanendo volontariamente sul vago.
Le sfuggì un piccolissimo sorriso nel riportare alla memoria il suo volto allegro con gli occhi azzurri attenti e gentili - soprattutto con lei - che neanche gli orrori subiti in Austria erano riusciti a velare.
"Chissà cosa gli hanno fatto per ridurlo così" rifletté quasi con disappunto, ricordandone lo sguardo arrabbiato e la forza con cui l'aveva spedita dritta contro il palo della luce. Quell'uomo portava il suo nome, ma era davvero James Barnes?
«Non mi interessa di Steve» insistette quasi docilmente Natasha, inclinando appena la testa di lato per poterla squadrare meglio. Sapeva già la risposta, non serviva certo un genio per capire che tra lei e il tale Barnes c'era stato qualcosa che andava ben oltre l'amicizia, ma voleva sentirsela dire da lei.
«Eravamo insieme negli Howling Commandos e a me piaceva» terminò la sua confessione Elaine, senza un briciolo della vergogna che si sarebbe aspettata di provare nell'ammettere i suoi sentimenti. Dopotutto, cosa c'era di male nell'amare qualcuno?
«Lo incontrerai di nuovo, ne sei consapevole?»
«Apprezzo che tu non abbia messo in dubbio la mia partecipazione alla missione» disse l'ex sergente, scuotendo appena la testa. Ci fosse stato Steve, le avrebbe sicuramente fatto un sermone su quanto fosse sconsiderato da parte sua parteciparvi o anche solo farsi vedere dal Soldato, come se non avesse già una condanna di morte a gravarle sul collo. «Lo so, comunque, così come so che se serve devo ucciderlo.»
Natasha le rifilò un'occhiata annoiata, quasi di rimprovero per quella che sapeva essere una bugia: Elaine non avrebbe mai avuto la forza di uccidere Barnes, come dimostrazione bastava prendere l'attacco d'ansia appena superato, e mentire a se stessa non faceva altro che aggravare il tutto, autoconvincendola d'avere potere laddove, invece, sarebbe crollata.
«Grazie» aggiunse la mora, stringendosi nelle spalle un po' a disagio. Fece per riprendersi la felpa, ma l'altra la intercettò prima di lei, obbligandola quindi a guardarla in viso per capirne le vere intenzioni.
«Devi ringraziare te stessa, non me. Io sono solo venuta a romperti le palle» la redarguì Natasha con il suo solito tono canzonatorio, quasi non volesse sentirsi riconoscere i suoi meriti. Era così abituata a essere accusata che, talvolta, si scordava perfino della sua capacità di fare del bene.
«Ma il fatto...» tentò di insistere Elaine, però si zittì nel momento in cui la Romanoff le rifilò un'occhiataccia. Le sorrise quindi apertamente, archiviando per il momento il dolore fisico e psicologico dell'ultima giornata, e le diede una leggera pacca sulla spalla sana, segno d'affetto di cui era solito sommergerla Tony. «Penso d'aver afferrato il concetto, va bene.»
«Non è che poi mi vomiti addosso, vero?» indagò Natasha con l'ombra di un sorriso a incurvarle le labbra. Forse, riflettè lei, poteva concedersi di ampliare la sua cerchia ristretta di amici.
Elaine le rubò la propria felpa lurida dalle mani per poi poggiarsela sulle spalle e finse di rifletterci su mentre picchiettava l'indice sul mento. «Non so mica, sai, bisogna vedere da che parte tira l'aria...»
«Ora capisco come fate tu e Sam ad andare così tanto d'accordo» rispose la rossa, scuotendo la testa divertita.
Per quanto assurdo e impensabile, quel veloce - e vagamente drammatico - confronto a quattr'occhi permise alle due donne di scoprire una nuova sfaccettatura di se stesse: Natasha capì che tutti (o quasi) meritavano una possibilità per farsi conoscere ed Elaine comprese che cadere un paio di volte non faceva di lei una perdente.
Agente Patriot non si sarebbe più tirata indietro, non avrebbe più permesso alle emozioni di prende il sopravvento così violentemente, e non aveva alcuna intenzione di farsi intralciare la strada da qualche infiltrato dell'HYDRA dalla mentalità deviata.
Rumlow, Pierce, Stern, l'intera unità STRIKE: nessuno di loro sarebbe rimasto impunito, non con un'incazzata Elaine pronta a tutto pur di sfogare la propria rabbia.
La vera battaglia stava per cominciare.
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