6) Lettere da casa.

New Jersey, giugno 1943.

L'ultima fiala di Siero era andata persa, fortunatamente non in mano dell'HYDRA, e con essa ogni possibilità di poter creare un battaglione di supersoldati con cui affrontare l'Asse.
Di due esperimenti, aveva detto il responsabile del progetto Rebirth nella SSR, non se ne facevano proprio nulla: nonostante la fiducia riposta nelle procedure del compianto Abraham Erskine, Rogers e Collins non sarebbero mai stati capaci di vincere sulle armate nazifasciste e sarebbero serviti decine e decine di tentativi per riuscire a realizzare lo stesso prodotto che era stato iniettato loro. A meno che uno dei due non avesse accettato di diventare cavia per una seconda volta, permettendo ai migliori scienziati rimasti di studiarne il sangue ed estrapolare la composizione perfetta. Difatti, qualsiasi membro della SSR con un minimo di competenze chimicoscientifiche sapeva che nessun loro tentativo poteva essere equiparato al Siero originale che aveva avuto degli effetti così sbalorditivi: per questo, dopo inutili congetture su quale dei due fosse il migliore, s'azzardarono a chiedere ai diretti interessati chi fosse disponibile a fare quell'immenso sacrificio ed Elaine fu così veloce a dare la propria disponibilità che Steve quasi ci restò male.
«Sei sicura? Facendo così non ti manderanno mai al fronte» le borbottò lui, appena misero piede fuori dall'ufficio del colonnello Phillips che li aveva convocati entrambi per sapere le loro intenzioni.
La giovane alzò le sopracciglia fintamente sorpresa e guardò il compagno con un'espressione quasi disgustata mentre ricordava un'affermazione fatta dal suo superiore un paio di giorni prima: che fossero rimasti al campo Lehigh o meno, non avrebbero comunque visto neanche l'ombra di uno scontro armato.
«Non l'hai capito che non gli bastiamo? Siamo solo in due, il massimo a cui possiamo ambire è diventare una sorta di deviata incarnazione dell'animo patriottico nazionale e, sinceramente, preferisco di gran lunga farmi infilzare con centinaia di aghi anziché rendermi ridicola davanti a tutti 'sti soldati» rispose Elaine, infervorata da una repulsione che stentava a credere le appartenesse. Vedendo vacillare l'espressione solitamente tranquilla di Steve, lei si affrettò a sorridergli e a prenderlo sottobraccio con il chiaro intento di trascinarlo verso il refettorio per una cena un po' anticipata, ma lui piantò i piedi a terra, impedendole di proseguire.
«Dici che sia davvero così? Che gli spettacoli di cui abbiamo sentito li faranno davvero?» le domandò, lo sguardo perso nel vuoto e la mente sommersa da fin troppe immagini imbarazzanti.
Elaine sospirò, consapevole che la prospettiva di diventare una sorta di mascotte pro-guerra poteva piacere solo a un pazzo, e si limitò ad annuire.
«Magari non sarà così male come pensiamo» proseguì Steve, cercando di osservare la situazione da un'ottica più positiva.
Lei gli rispose con un sorriso e tentò nuovamente di trascinarlo verso la mensa, cosa che questa volta riuscì a fare senza troppa difficoltà.
"Almeno rimanendo qui riuscirò a sistemare le cose" pensò Elaine, lanciando una veloce occhiata al piccolo edificio riservato alle quattro WAC, e tornarono a galla i sensi di colpa che era riuscita ad accantonare per un paio di ore.
Elizabeth era arrabbiata, infuriata praticamente, per aver scoperto solo a posteriori cosa stava tramando Elaine già da un po' di tempo: non avrebbe voluto sapere nessun dettaglio, le urlò contro - dopotutto, il progetto Rebirth era sicuramente sottoposto a segreto militare e lei era un soldato qualsiasi -, ma avrebbe apprezzato un minimo di sincerità dato che erano amiche da più di quattro anni.
«Saresti potuta morire e non mi hai detto niente! Ce l'hai davvero un minimo di rispetto per me? O forse preferisci seguire quel tuo amichetto tutto gonfiato? Mi fai pena, vai pure dal caro colonnello Phillips» l'aveva rimproverata in seguito, mantenendo a fatica un tono di voce abbastanza basso da non farsi sentire da tutto il campo Lehigh, e poi se n'era uscita come una furia dal piccolo dormitorio.
Elaine tornò al presente solo quando l'odore di stufato di carne le solleticò le narici e si obbligò ad accantonare quei pensieri che la perseguitavano in modo fastidioso, andando a rovinarle l'umore.
Steve, forse notando il cambiamento di stato d'animo della collega - probabilmente attribuendolo alla causa sbagliata -, si liberò dalla sua presa e le circondò le spalle con un braccio per poi darle un leggero buffetto sulla guancia, accompagnato da un gran sorriso.
Non servirono parole per esprimere la riconoscenza di Elaine, l'intesa creatasi tra i due soldati era così forte che bastava uno sguardo perché riuscissero a capirsi.
E solo Dio sapeva quanto sarebbe stato loro utile quel particolare affiatamento.

L'indomani, dopo l'ennesimo allenamento a sorpresa delle cinque di mattina e una colazione assai scarsa a causa del poco appetito dovuto alle mestruazioni, Elaine trovò sopra il suo letto un piccolo pacco chiuso da uno spago di canapa e con un biglietto attaccato sopra, in bella vista.
La giovane si sedette a gambe incrociate sul materasso, lanciò un'occhiata alla stanza per accertarsi di essere davvero sola e poi staccò con cautela il nastro adesivo che tratteneva il foglietto giallognolo piegato a metà.
«Mi dispiace per averle nascoste, ma sono sicuro capirà il motivo» lesse in un sussurro, soffermando lo sguardo sulla firma "A. B." e un brivido le corse lungo la spina dorsale quando associò quelle iniziali a un nome ben preciso. Abraham Erskine.
Scartò dunque il piccolo pacco con una velocità febbrile, un groppo che le chiudeva la gola in modo assai fastidioso, e quando un paio di lettere si sparpagliarono sulla coperta non riuscì a trattenere un singulto: la calligrafia con cui era stato scritto l'indirizzo sulle buste era palesemente quella di Benjamin; uno schiaffo in pieno viso l'avrebbe presa meno alla sprovvista.
Per quanto fosse legata al suo fidanzato, erano giorni che lo aveva accantonato definitivamente in un angolo remoto della testa quasi senza rendersene conto, ma ora, con le prove del suo affetto tra le mani, si sentiva davvero in colpa. Eppure, nulla era comparabile alla sensazione che dava il poter vivere le proprie giornate senza preoccuparsi del giudizio - e della gelosia - di Benjamin.
Le lettere erano sei, la più vecchia risaliva a quasi due mesi prima, e le bastò carpire un paio di parole qua e là per comprendere le motivazioni che avevano spinto Erskine a nasconderle la posta: probabilmente credeva che, a causa del loro legame, lei si sarebbe lasciata sfuggire particolari riguardo il progetto Rebirth o che le avrebbe insinuato qualche dubbio di troppo.
Osservando le date si rese conto che le prime due erano state scritte a esattamente a un mese di distanza, mentre le altre differivano tra loro di circa cinque giorni - cosa che, nonostante lei ancora non potesse saperlo, evidenziava l'insofferenza crescente di Benjamin per la situazione che cominciava a essergli fin troppo stretta.

"Mia cara Elaine,
speravo mi avresti contattato tu per prima, dato che sei tu quella lontana da casa, ma immagino di dovermi ricredere.
La tua partenza ha davvero rattristito tua madre, dovresti vederla come gira per i negozi con il viso tirato e l'abbigliamento di chi sembra in lutto: a lei, quantomeno, hai scritto qualcosa?"

E la prima lettera continuava sullo stesso tono per tutta la facciata di cui era composta: sembrava essere un misto di rabbia e fiducia tradita atto a far nascere il senso di colpa nella compagna, magari per trascinarla di nuovo da sé a New York. In un primo momento, la missiva riuscì proprio nel suo intento e le lacrime che si formarono negli occhi di Elaine furono difficili da contenere, tanto che dovette coprirsi il volto con un fazzolettino di fortuna per fermarle prima che le rigassero le guance.
Solo alla fine Benjamin sembrò ricordarsi che stava scrivendo alla sua fidanzata e, dopo svariate dichiarazioni d'affetto, le domandò come si trovava al campo Lehigh, se era davvero come tutti gli raccontavano - un'accozzaglia di edifici mal messi e di soldati boriosi e sfaccendati - e se aveva già confidenza con le colleghe WAC. Assomigliavano alle domande di sua sorella, un po' banali, quindi, ma poteva essere giustificato dal fatto che era la prima volta in cui si trovavano separati per così tanto tempo.
Benjamin sembrava un pesce fuor d'acqua.
La seconda lettera, invece, era nettamente più corta e raggiungeva a malapena le sei righe.

"Cara Elaine,
siamo già a fine aprile e non ho ancora ricevuto una risposta: che ti succede? Che tu sia viva non lo metto in dubbio, ma hai un minimo di considerazione nei miei confronti dato che sono tuo fidanzato? Maria mi ha riferito quanto è stancante il tuo addestramento (a lei hai scritto...), così come mi ha detto che sei stata promossa a Leader. Sono davvero contento di ciò, ma avrei voluto me lo dicessi tu.
Come stai, Elly?"

"Cara Elaine,
dove sei? Cosa ti sta succedendo? Perché continui a rispondere a Maria e tua madre, ma a me no? A rifletterci su, forse, avrei dovuto chiedere a tua sorella di lasciarmi un po' di spazio nella sua ultima lettera dato che le mie sembri non leggerle nemmeno.
Proprio ieri sono andato a trovarle e scommetto dieci dollari che Grace partorisce tra meno di cinque giorni (immagino tu sappia che, da quando è partito Theo, vive a casa tua): era così grossa e affaticata che aveva difficoltà perfino a fare le scale. Se nascerà una bimbetta bella la metà di lei tuo fratello si può considerare davvero fortunato.
Mi manchi molto, Elly, e guardare la foto che porto sempre nel portafoglio non mi basta più. Vorrei poterti accarezzare, abbracciare, baciare e passeggiare con te mano nella mano per le strade di New York.
Domani ho l'ultimo test, poi potrò finalmente pilotare un caccia e aiutare i nostri commilitoni. Ti penserò per tutto il tempo, sarai il mio porta fortuna.
Ti amo."

Poi il tono cambiò quasi drasticamente, diventando molto più distaccato, e la già scarsa consistenza delle lettere diminuì ancora: sembrava che Benjamin si fosse svegliato una mattina senza più alcun ricordo delle belle parole che aveva scritto a Elaine l'ultima volta e le uniche cose che sembrò meritarsi, da quel giorno in poi, furono supposizioni maligne e scontrosità.
La quarta e la quinta missiva viaggiavano su un'onda molto simile dato che l'intento evidente - forse non così lampante per la giovane Collins - di entrambe era quello di screditare la fedeltà di Elaine nei riguardi di Benjamin, insinuando che avesse trovato un uomo più avvenente di lui e per questo non si era più fatta sentire.
Lei, nel leggere quelle poche righe, dapprima s'era sentita in tremendo imbarazzo con tanto di viso arrossato e leggera tachicardia, poi, però, era subentrato un muto senso di fastidio e delusione che l'avrebbe portata a tirargli uno schiaffo se solo lo avesse avuto davanti.
«Ma come osa pensare una cosa simile?» sbottò quasi senza rendersene conto, facendo volare i due fogli lontano da sé. «Non si fida!»
Ed era proprio così, l'amore spasmodico di Benjamin gli impediva di comprendere che non tutti gli esseri viventi di sesso maschile volevano rubargli la fidanzata o che, molto più banalmente, anche altre persone fossero capaci di comprendere il concetto di "fedeltà". La distanza non aveva fatto altro che acuire il tutto, portandolo all'esasperazione.
Fu con le mani tremanti dalla rabbia che prese in mano l'ultima lettera, cortissima pure questa, come se le parole del ragazzo non fossero più degne di essere lette da degli occhi che, sicuramente, lo avevo tradito.

"Elaine,
penso sia scontato dire che sono piuttosto deluso e immagino che lo stesso sentimento lo provi pure la tua famiglia dato che dopo l'ultima lettera di un mese fa non hai più scritto nulla.
Ho una novità grandiosa: a giorni ci incontreremo! Ho passato il test (quello per pilotare i cacciabombardieri, non so se ti ricordi...), ma prima di partire devo reclutare qualcuno e perché non venire proprio al campo Lehigh?
A presto!"

Fosse stata in piedi, probabilmente Elaine sarebbe crollata a terra: anche da seduta, le ginocchia tremarono dall'ansia e dovette stringere i denti per riacquistare un minimo di contegno. Aveva paura.
Il solo pensiero di ritrovarsi faccia a faccia con Benjamin - geloso e arrabbiato per i pochi contatti avuti - le metteva i brividi perché ricordava fin troppo bene tutte le sfuriate che aveva dovuto calmare in gioventù: quelle volte in cui non era riuscita nel suo intento, i banali battibecchi si erano trasformati in risse pressoché senza esclusione di colpi.
Con lei non si era mai azzardato ad alzare nemmeno un dito, ma poteva davvero fidarsi? Dopotutto, da quando stavano insieme, non lo aveva mai visto seriamente arrabbiato con lei.
Elaine allontanò la lettera come fosse una bomba pronta a esplodere e comprese del tutto le motivazioni per cui Erskine le aveva nascosto le missive: quell'uomo era molto più previdente di quanto avesse mai dato a vedere e la sergente non riuscì a trattenere le lacrime che cominciarono a scivolarle lungo le guance, silenziose come tutti gli ultimi sguardi scambiati con Elizabeth.
Lacrime che sapevano di paura e ferite da guarire, lacrime che nessuno avrebbe mai avuto il privilegio di vedere.








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Ehilà!
Eccoci qui con questo nuovo capitolo che fa un po' dà "spartiacque" della narrazione: so che la sostanza è poca, ma avevo bisogno di un espediente per mostrarvi il cambiamento di Benjamin quindi eccoci qua!
Per quanto riguarda la storia in generale, posso dire che questa prima parte si compone di undici capitoli più una sorta di "scena dopo i titoli di coda" (di cui ho sparso un po' in giro gli indizi) che spero di rendere al meglio.
Che altro dire, grazie per il costante sostegno!

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