5) Progetto Rebirth.
New Jersey, maggio 1943.
La Strategic Scientific Reserve diede la sua approvazione in tempi record, quella volta, e promise pure un aumento delle risorse disponibili per il prossimo progetto: la presenza di ben due candidati - di sesso diverso, per giunta - fu accolta con particolare interesse dai membri dell'agenzia, che immediatamente cominciarono a organizzare le missioni a cui avrebbero partecipato.
La guerra imperversava in un'Europa sempre più spaccata in due, i giapponesi resistevano strenuamente nelle isole Aleutine di dominio americano e le truppe nazifasciste si erano da poco arrese in Tunisia. C'erano così tanti obiettivi in cui poter sfoggiare i due supersoldati che gli uomini della SSR dovettero creare un vero e proprio programma di missioni in accordo con il Dipartimento della difesa, del tutto incuranti delle possibili opinioni contrarie dei diretti interessati.
A casa Collins l'atmosfera s'era fatta cupa nel giro di poche settimane a causa dell'improvvisa partenza del secondogenito per il fronte, che lasciava a casa un figlio di neanche tre anni e la moglie incinta, e dell'assegnazione del capofamiglia a uno dei più grandi campi di addestramento degli Stati Uniti nella costa occidentale - la sua esperienza era molto più utile nel formare le nuove leve invece che sprecarla nel campo di battaglia.
A Elaine faceva male il cuore sapere la verità, ma non poter fare nulla e l'ultima lettera arrivata sembrò gettare ulteriore benzina sul fuoco.
"Siamo di nuovo zie! Ieri notte è nata Molly, pesa ben 8 libbre e mezza ed è un concentrato di strilli e smorfiette che sono sicura ti farebbero morire dalla tenerezza" lesse mentalmente Elaine per l'ennesima volta, lisciando la carta stropicciata della lettera sulla superficie fredda della scrivania. "Assomiglia così tanto a Theo! Anche se, secondo mamma e Grace, il nasino è proprio come il tuo!".
Aveva letto quelle due facciate fitte di parole dal sapore dolceamaro almeno una decina di volte, sorridendo nel leggere della sua piccola nipotina e rabbuiandosi quando la sorella minore le chiedeva la data del ritorno a New York.
Ormai il suo campo era il Lehigh, glielo avevano comunicato poco meno di un mese prima e non era ancora riuscita a trovare il coraggio di dirlo alla sua famiglia, e con la scusa del progetto Rebirth la possibilità di tornare a casa diventava ancora più remota.
Quantomeno la paga si era fatta un po' più consistente grazie all'aumento di grado, permettendo a sua madre e sua sorella di tirare nuovamente un sospiro di sollievo dopo l'ultimo periodo di ristrettezze economiche dovute alle spese non troppo contenute della signora Collins che proprio non ne voleva sapere di scegliere gli articoli meno costosi - nonostante tutti i rimproveri della figlia minore Maria, disposta perfino ad abbandonare gli studi privati pur di portare a casa qualche spicciolo in più.
Drasticamente, però, l'umore della lettera era diventato goliardico e la sorella diciottenne subito s'era interessata alle sue colleghe WAC, chiedendole se erano simpatiche e in gamba come le ragazze di New York, e ai militari del Lehigh per scoprire se c'era davvero qualcuno di interessante - aveva fatto ben attenzione a sottolineare che voleva sapere solo della loro simpatia e non altro.
Elaine sorrise involontariamente quando ripensò alla prima e lunga chiacchierata avuta con Steve: senza ombra di dubbio avrebbe raccontato di lui, della sua innegabile gentilezza che si ostinava a tenere nascosta pressoché a chiunque, delle belle parole che da quel primo giorno aveva cominciato a rivolgerle ed era certa ne sarebbero sorte un sacco di allusioni.
Sulle sue colleghe, invece, avrebbe potuto riempire pagine e pagine, raccontando tutte le sciocchezze che si erano dette e gli ostacoli superati insieme.
Le sfuggì un sospiro rammaricato ancora prima di mettere su carta l'inizio della risposta, fin troppo consapevole che non poteva raccontare praticamente nulla: lo spionaggio tedesco aveva raggiunto un tale livello di sofisticazione che l'ipotesi di un controllo sulle missive non era per nulla da escludere e dall'inizio della guerra, in ogni campo americano, era in vigore il divieto di scrivere di qualsiasi cosa inerente alle attività svolte e ai militari coinvolti. Una consuetudine, certo, ma resa ancora più necessaria dal nuovo contesto bellico.
E poi, dopotutto, aveva davvero senso alimentare speranze possibilmente vane? C'era davvero la certezza di uscire viva dall'esperimento di cui non sapeva ancora nulla?
Elaine sospirò, allontanò con un gesto brusco il foglio ancora pulito e ripiegò la lettera della sorella per poi riporla nella sua scatola di metallo sistemata nel primo cassetto della scrivania accanto al suo letto. La voglia di rispondere sembrava esser scivolata via come una goccia d'acqua sulla pelle, lenta e appena percepibile.
«Sergente Collins?» la richiamò il dottor Erskine, bussando quasi con prepotenza alla porta del dormitorio delle WAC.
La giovane si affrettò a raggiungere l'entrata per aprirgli, ringraziando il Cielo di essere sola: purtroppo, nemmeno le sue colleghe potevano sapere nulla del progetto Rebirth fino a che non fosse stato portato a termine, onde evitare falsi allarmismi o chiacchiere pericolose, e più i giorni passavano, più mantenere il segreto si faceva difficoltoso a causa dei continui test medici e fisici.
«Mi dica tutto!» lo accolse Elaine con un sorriso un po' forzato, poggiandosi con la spalla destra sullo stipite dell'uscio.
L'uomo la guardò da capo a piedi com'era solito fare negli ultimi tempi, sempre attento a notare anche il minimo segno di debolezza che potesse ostacolare il progetto Rebirth, e fu con muto orgoglio che constatò l'ottimo stato di salute della donna. Sarebbe stato un vero peccato doverla escludere proprio il giorno prima dell'esperimento.
«Sono venuto a vedere come sta, dopotutto mancano poche ore» tergiversò lui, rimanendo immobile sulla soglia mentre controllava guardingo l'interno del dormitorio. Nessuno doveva sapere.
«Direi tutto bene, sono più che pronta.»
In verità, quella era un piccola bugia. A parte il dispiacere causato dall'ultima lettera, un viscido sentore di paura le attanagliava lo stomaco da ormai un paio di giorni, precisamente da quando il suddetto dottore arrivò a farle le ultime raccomandazioni.
C'era già stato un esperimento, le aveva detto, con delle conseguenze inaspettate ma dettate soltanto dalle aspirazioni megalomani dell'uomo, eppure era più che certo che con lei e Steve non sarebbe successo nulla di simile e gli era bastata la forza di volontà di Elaine per convincersene pienamente.
In più, oltre al mai citato rischio di non uscirne viva - dopotutto l'esperimento era stato pensato su un uomo e gli ultimi cambiamenti in corsa di certo non avevano mescolato granché le carte in gioco -, il pericolo di diventare sterile era quantomai vicino, facendo crollare sulle spalle di Elaine il primo di tanti macigni.
«Ne è sicura?» insistette Erskine, continuando a osservarla con sguardo attento, uno sguardo che sapeva da padre apprensivo che vede la propria figlia in un momento di difficoltà.
«C'è solo qualche problema a casa» cedette Elaine, storcendo la bocca in una smorfia contrariata. Non le pesava granché svuotare il sacco, ma avrebbe preferito tenerla per sé quella sua piccola debolezza. «Nulla di cui preoccuparsi troppo.»
E, in un certo senso, Elaine aveva ragione: i problemini in famiglia non erano nulla in confronto alla moltitudine di difficoltà che sarebbero seguite al progetto Rebirth.
«Steve, comincio ad avere un po' di paura» sussurrò Elaine, aggrappandosi al braccio magro dell'amico in un moto di puro affetto e terrore. Alzò lo sguardo verso il ballatoio brulicante di soldati ed esponenti importanti della SSR e lo percorse finché notò la presenza di una stanza a vetri adibita a osservatorio: un brivido le corse lungo la schiena e si strinse meglio nella giacca di fortuna che le aveva prestato Howard Stark; ora, oltre alla paura, provava un profondo senso di imbarazzo.
"Devono vedermi mezza nuda tutti questi uomini?" pensò affranta, arrossendo così visibilmente da attirare lo sguardo di alcuni camici bianchi che avevano cominciato già da un po' a lavorare su quegli strani macchinari che occupavano gran parte delle pareti dello stanzone.
«Siamo in due, allora.»
«Così non mi sei d'aiuto, però!» lo rimproverò bonariamente, abbozzando una risata divertita e allentando poi la presa dal suo braccio.
Lo sguardo di Elaine cadde su due capsule a grandezza uomo sistemate pressoché nel centro dello stanzone ricolmo di tecnologia super avanzata, le studiò con un'attenzione quasi maniacale nel tentativo di trovare anche la minima fonte di dubbio - in quel momento le sarebbe bastato un nonnulla per farla battere in ritirata - e fu con sconforto che si rese conto che pressoché ogni dettaglio di quei macchinari le metteva i brividi.
Parole su parole si accozzavano una con l'altra nell'imponente laboratorio, creando una confusione tale da destabilizzare anche l'animo più forte, e non si poteva proprio rimproverare i due candidati per i sentimenti che da un po' avevano comincia a stringer loro la bocca dello stomaco, già dolorante a causa del digiuno forzato.
«Miss Elaine» la chiamò Howard, calcando forzatamente sull'appellativo del tutto fuori luogo. Lei lo guardò perplessa, le braccia ora strette attorno al busto magro, e quasi non sentì Erskine attirare l'attenzione di Steve in modo molto simile. «Se mi segue possiamo cominciare.»
La sergente registrò appena l'accenno di ghigno sardonico sul viso dell'uomo e lo seguì senza battere ciglio verso una delle capsule che aveva notato in precedenza mentre un ultimo brivido le percorreva la schiena.
«Dovrebbe darmi la giacca» continuò Howard, fermandosi a un passo dalla sua creazione più importante.
"Basta con questo imbarazzo", si rimproverò mentalmente Elaine e con un gesto secco si liberò della giacca che le copriva il torace quasi nudo, se non per una sottile fascia stretta attorno alla zona più sensibile del seno. "Stiamo per giocarci il futuro degli Stati Uniti, che diamine!"
Si trattenne a stento dal lanciare un'occhiata verso la vetrata notata poco prima - nonostante la risolutezza appena espressa, voleva comunque controllare le eventuali reazioni -, ma nulla le impedì di cerca il supporto di Steve per l'ultima volta: lui, già seduto all'interno della sua capsula, fissò lo sguardo sul viso della compagna, le sorrise raggiante e alzò entrambi i pollici in segno di approvazione. Tra i due, era sicuramente il più eccitato all'idea di diventare un supersoldato.
«Puoi smetterla di darmi del lei?» borbottò Elaine, abbandonando ogni formalismo mentre Howard l'aiutava a prendere posizione. «Abbiamo praticamente la stessa età, mi metti a disagio.»
Stark accennò una risata divertita che gli fece quasi scivolare la presa dalle due piastre che dovevano poggiarsi sui pettorali e bicipiti della donna, uno dei tanti particolari della sua costruzione atti a infondere il siero e impedire al soggetto dell'esperimento di muoversi troppo in caso di eccessivo disagio.
Le sistemò le braccia lungo i fianchi e chiuse la cinta di sicurezza all'altezza dell'ombelico prima di obiettare con una delle sue solite risposte accattivanti che sembravano uscirgli naturali quando parlava con una donna.
«Una signorina come lei merita questo e altro» mormorò, la voce appena al di sopra di un sussurro per evitare di essere sentito dagli altri - specialmente da Erskine. Non voleva mica rischiare di scadere agli occhi di altri possibili investitori! Però, gli bastò vedere la smorfia contrariata di Elaine per cambiare rotta. «Sto scherzando, ovviamente. Sei comoda?»
«Siamo allo stesso livello del mio materasso, solo decisamente più freddo» fu la risposta divertita della sergente, quasi sorpresa di essersene uscita con una battuta così sciocca in un momento di tensione simile a quello che stava vivendo. Howard alzò gli occhi al cielo, a metà tra il divertito e l'annoiato, del tutto inconsapevole di quale tortura fosse dover dormire su quei letti che sembravano fatti di sassi.
«Il tuo senso dell'umorismo è alquanto strano, Elaine» le confessò, spostandosi appena per permettere alle due infermiere - uniche donne ammesse nella gestione delle procedure - di sistemare le sei fiale dal contenuto bluastro negli appositi spazi. «Tornando seri, penso tu sappia che tutto ciò non sarà una passeggiata. Non ti nascondo che proverai dolore, forse anche al di sopra del tuo livello di sopportazione, e per questo serve che tu sia concentrata sul risultato: più ti aggrapperai alla realtà, più aumenteranno le nostre possibilità di portare tutto a termine nel migliore dei modi. Hai capito?»
«Sì, non serve altro» rispose lei, facendogli cenno con una mano di allontanarsi. Aveva bisogno di spazio, adesso, e vedere la figura di Howard torreggiarle addosso le dava un'assurdo senso di claustrofobia.
Stark annuì mestamente, un po' risentito per esser stato cacciato in modo così brusco, ma aspettò che le fosse fatta l'iniezione di penicillina prima di raggiungere la sua postazione davanti ai comandi per l'emissione dei Raggi-Vita.
Elaine fissò il soffitto per tutta la durata del breve discorso del dottor Erskine, mentre nella sua testa s'intrecciavano mille e più pensieri che andavano dalla propria famiglia ignara di tutto, a Benjamin con cui aveva perso i contatti da ormai un mese e mezzo - immaginava già la sua prossima scenata di gelosia o, peggio, il modo con cui avrebbe sfogato la sua arrabbiatura al loro prossimo incontro -, passando per l'adrenalina che le impedita di tenere a freno i tremori alle gambe.
Il cuore le batteva con prepotenza nelle orecchie, ovattandole l'udito quel tanto da impedirle di sentire il conto alla rovescia per l'infusione del siero, e spalancò la bocca in un urlo strozzato quando avvertì quelli che sembravano un centinaio di aghi conficcarsi sulla carne.
Strinse i denti fino a farsi scricchiolare la mandibola mentre un dolore immane le attraversava il corpo a ondate prepotenti e regolari; piantò le unghie nel tessuto leggero dei pantaloni in modo tale da distrarsi dal male causato dal siero e tentò di fissare i pensieri sui suoi fratelli, su tutte le marachelle combinate durante l'infanzia. Se non fosse stata in una situazione simile, probabilmente avrebbe cominciato a ridacchiare come una sciocca.
Le mancò il fiato al cambio di posizione e in un momento di lucidità in cui il dolore tornò a essere sopportabile le sembrò quasi di avvertire il sangue defluirle dalla testa e il cuore rallentare i battiti. Stava forse morendo?
Elaine riuscì a focalizzare lo sguardo su Erskine per una frazione di secondo, senza però riuscire a comprendere cosa stesse facendo, e poi la capsula si chiuse con uno scatto metallico che la fece rabbrividire, cosa che le causò un gemito di fastidio a causa dei muscoli provati dallo sforzo.
Ci fu un attimo di stallo in cui la donna riuscì a distinguere la voce del dottore al di là delle pareti che la separavano dal mondo esterno e poi un leggero bussare le risvegliò i sensi fin troppo affaticati dagli stimoli ricevuti.
«Elaine, mi sente?» le chiese il medico, la voce ben attenta a mantenere una sfumatura neutrale per non impensierire la candidata.
«Fin troppo bene» fu la risposta, probabilmente data con troppa aggressività.
«Perfetto, possiamo procedere.»
Ci furono altri secondi di pausa angosciante in cui Elaine si sentiva così leggera da credersi in procinto di morte e il suo pensiero sembrò trovare ulteriore conferma nell'improvvisa luce che l'avvolse, quasi si trovasse a un passo dal Paradiso. Eppure non era certa di meritarselo, il Paradiso.
Il dolore di poco prima tornò a farsi sentire in un crescendo di spasmi muscolari e respiri mozzati, ma questa volta riuscì a gestirlo un po' meglio focalizzando il pensiero su tutto ciò che c'era stato di bello nella sua vita: la sua famiglia, Elizabeth, gli anni di scuola elementare, le estati passate nella fattoria dei nonni materni, l'amicizia sincera di Steve.
Poi, però, qualcosa sembrò rompersi dentro di lei e le scappò un urlo disperato mentre tentava di liberarsi dalla cinghia che ora le stringeva fastidiosamente la vita.
«Non fermatevi, non fermatevi adesso!» sbraitò Elaine appena sentì il bussare prepotente sulla capsula e il dubbio che si fosse immaginata il rumore le attraversò la mente quando realizzò l'assenza di risposta.
Il dolore, ormai, aveva ben superato il livello di sopportazione umanamente possibile - come poteva qualcuno subire una tortura simile senza maledire il mondo intero? - e il sistema nervoso della sergente era sottoposto a un tale sforzo da non riuscire più a distinguere i diversi impulsi, lasciando il corpo in un perpetuo stato di contrazione.
Poi tutto il male cessò in un colpo solo, lasciando la donna stremata e con un impellente bisogno di aria fresca.
«Elaine? Ehi, Elaine!» la richiamò Howard, raggiungendola a grandi falcate dopo aver fatto aprire le capsule, mentre il dottor Erskine si occupava di un altrettanto destabilizzato Steve Rogers.
Il giovane Stark l'aiutò a reggersi in piedi con non poca fatica dato il peso pressoché morto della donna, strappò dalle mani di un assistente la maglietta che gli stava porgendo e la fece indossare a Elaine nel tentativo di proteggerla dal freddo che sembrava essere improvvisamente entrato nel laboratorio.
«Ce l'ho fatta?» chiese piano lei, la testa martellata da un forte mal di testa, e con cautela raddrizzò la schiena per guardarsi meglio intorno.
Una moltitudine di persone si era riversata nello stanzone, tutte con dei gran sorrisi in viso e l'atteggiamento di chi ha appena vinto una guerra: d'altra parte, ora che il progetto Rebirth si era rivelato un vero e proprio successo, le chance di vincere quel secondo e fin troppo sanguinoso conflitto mondiale sembravano essere come minimo quintuplicate.
«Sì, direi proprio di sì» le rispose Howard, continuando a sostenerla nonostante l'evidente ripresa delle forze.
«Mi sa che se faccio qualche movimento di troppo mi si aprono i pantaloni» constatò Elaine, osservando con fare apprensivo la sua nuova forma fisica potenziata.
Nonostante i pantaloni della divisa fossero volutamente di una taglia più grande, i muscoli erano cresciuti a tal punto da renderli stretti, soprattutto sopra alle ginocchia, e la maglietta che indossava le stringeva in modo fastidioso le spalle: nonostante la muscolatura più accentuata, la sua fisicità rimaneva comunque femminea e alquanto aggraziata - come si preoccupò di constatare subito Howard.
«Sergente!» la richiamò Erskine, raggiungendola dopo aver constatato il buono stato di salute di Steve. Elaine gli rivolse un sorriso sincero, seppur stanco, e con una scrollata di spalle obbligò Stark a mollare la presa sul suo busto. «Come si sente?»
«Come se avessi corso per un'ora filata, ma sto già recuperando» confessò lei e lanciò un'occhiata dietro il suo interlocutore nel tentativo di individuare il suo amico. Espirò di colpo dal naso quando lo individuò: del soldato magro e malaticcio non c'era più traccia, al suo posto vi era un uomo alto quasi una spanna più di lei con le spalle larghe e i muscoli così scolpiti da sembrare una scultura di un dio greco.
Forse intuendo l'interesse della donna, Erskine si fece da parte con un sorriso divertito e lei non se lo fece dire due volte: raggiunse a passo svelto Steve, lo squadrò da capo a piedi per la seconda volta e solo dopo lo strinse in un abbraccio soffocante.
«Ciò che non uccide, fortifica, eh?» le disse Rogers, citando uno dei filosofi che più l'aveva ammaliato.
Si separarono con il cuore più leggero e il dolore della procedura ormai accantonato in un angolo remoto della testa, nonostante fosse ancora presente nei muscoli tirati degli arti.
Sotto lo sguardo attento di Erskine, si scambiarono qualche altra parola di conforto, allontanando con gesti bruschi chiunque tentasse di intromettersi: un sorriso soddisfatto e amorevole incurvò le labbra del dottore alla vista dei due supersoldati vivi, vegeti e così affiatati. Loro, ne era certo, sarebbero diventati dei grandi eroi.
Poi, però, un'esplosione lo obbligò ad alzare lo sguardo e sotto una pioggia di vetro frantumato due proiettili perforarono il petto di Abraham Erskine, che crollò a terra esalando il suo ultimo respiro.
Sul suo viso, a dispetto dell'orrenda fine per mano dell'HYDRA, vi rimase un'espressione placida immagine dell'ultima cosa bella che aveva potuto guardare: Steve ed Elaine, due soldati, due amici, ma soprattutto due esseri umani.
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Ehilà!
Sono in anticipo con la tabella di marcia, ma consideratelo un "regalino" per alleggerire un po' la quarantena!
Con questo capitolo ho decisamente sforato il limite di parole che mi impongo, ma l'evento meritava un'attenzione particolare quindi eccoci qui!
Su, non fate i timidi, commentate il capitolo :)
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