4) Candidati imperfetti.
New Jersey, aprile 1943.
I giorni sembravano susseguirsi uno dopo l'altro senza portare alcuna novità al campo Lehigh. Le pressioni della Strategic Scientific Reserve cominciavano a farsi più incalzanti, richiedendo una veloce conclusione per il segretissimo progetto Rebirth, ma mancava l'approvazione finale del colonnello Phillips e, malgrado volesse accontentare i suoi superiori, non l'avrebbe data finché non fosse stato convinto del tutto.
C'era anche qualcun altro che, nel frattempo, tramava nell'ombra.
Da quando aveva scoperto l'esistenza di quell'esperimento, Elaine aveva continuato a pensarci ininterrottamente: sapeva ben poco riguardo alle procedure, ma Phillips le aveva detto che un candidato come Rogers non era affatto adeguato e da ciò si poteva dedurre che la prestanza fisica era fondamentale. La sua conoscenza riguardo il progresso tecnologico rasentava pressoché lo zero in tutto ciò che eludeva dagli armamenti militari, eppure un abbozzo di idea se l'era fatta e c'entrava il concetto stesso di soldato.
Tra un dubbio e l'altro, Elaine dedicava il suo tempo a coltivare l'amicizia con le commilitoni WAC e a migliorare le proprie abilità di combattimento, soprattutto con le armi da fuoco che, se fosse arrivata la possibilità, avrebbe usato al fronte. Oramai, il prezioso Thompson affidatole dal colonnello - ulteriore segno della sua illimitata fiducia - era diventato il suo più fidato alleato e i progressi archiviati potevano tranquillamente diventare un biglietto di sola andata per il grado di Staff leader - o sergente scelto. Bastava lavorarsi ancora un po' il suo superiore e, magari, nella prossima lettera a casa avrebbe annunciato la nuova promozione.
Fu con un sospiro stanco che si posizionò con i piedi ben saldi sul terreno e le mani dietro la schiena, non del tutto pronta a subire quello che si prospettava essere l'ennesimo allenamento sfiancate.
Come il solito, insieme alle tre colleghe, era posizionata infondo al gruppo di soldati e, se di solito la cosa la infastidiva parecchio, quel giorno tirò un sospiro di sollievo: la notte precedente era stata una delle peggiori da quando aveva messo piede al campo Lehigh a causa di un incubo così cruento da lasciarla quasi senza fiato e dopo il risveglio addormentarsi era stata un'impresa impossibile.
Sentì quasi a malapena l'ordine impartito dal colonnello Phillips, ma quel po' di adrenalina che le attraversò il corpo grazie all'esercizio fu abbastanza per risvegliarle i sensi ancora ottusi. Cominciò a saltare aprendo le gambe e alzando le braccia con un ritmo crescente, lanciando una sorta di muta e divertente sfida con Elizabeth che, come il solito, le stava fedelmente al fianco.
La giovane aveva ormai accantonato l'invidia riguardo la veloce promozione di Elaine, preferendo godersi quella profonda amicizia che le aveva unite fin dal primo giorno di conoscenza, e nell'ultimo periodo era perfino riuscita a mettere a tacere l'orgoglio per chiedere alle compagne dei consigli su come migliorare con le armi da fuoco. Per quanto fosse una piccolezza, Elizabeth era proprio contenta dei progressi archiviati - sia fisici che nelle relazioni con gli altri.
"Apri e alza, apri e alza" si ripeté mentalmente Elaine, come una sorta di mantra motivazione per darsi un ritmo sostenuto. Un tiepido sole le riscaldava il collo lasciato scoperto dall'alta coda in cui aveva raccolto i capelli e il lieve vento le accapponava la pelle delle braccia scoperte creando un contrasto di temperature a cui ormai aveva cominciato ad abituarsi; dopotutto, sapeva perfettamente che c'erano condizioni climatiche ben peggiori in cui allenarsi.
Elaine incrociò di nuovo lo sguardo della commilitone che ormai da tempo considerava come sua migliore amica e l'espressione buffa di quest'ultimo quasi la fece ridacchiare, fu solo per miracolo che riuscì a trattenersi e, quindi, a evitare una punizione.
Non bisognava mai mostrarsi distratti.
«Granata!» gridò il colonnello Phillips, prendendo alla sprovvista tutti i soldati intenti ad allenarsi.
Elaine si bloccò sul posto e osservò con occhi spalancati l'intera parabola che fece l'ordigno, finché toccò il suolo svariati metri davanti a lei. Vide quasi a rallentatore le tre colleghe scattare verso il tendone che avevano alle spalle - Elizabeth tentò pure di portarsela dietro, ma non riuscì ad afferrarla a causa di un omone grande e grosso che quasi la spintonò via -, mentre gli uomini davanti a lei si allontanarono a raggiera dal punto d'impatto.
Elaine sembrò riacquistare la facoltà di pensiero solo quando vide proprio Steve Rogers in posizione fetale sopra la granata e questa volta si mosse nella sua direzione, pronta a trascinarlo via dalla bomba a mano che stupidamente pensava di poter fermare.
La stessa reazione l'ebbe l'agente Carter, notò la sergente, ma subito questa annotazione fu archiviata a causa della più vivida adrenalina - o paura - che l'obbligò a concentrarsi solo su Rogers.
"È impazzito, è fuori di testa", ma cambiò idea e si fermò quando lo vide lanciare lontano da sé l'ordigno. Rimase a terra per un altro po' di tempo in attesa dell'esplosione e appena realizzò che non ce ne sarebbe stata alcuna, s'azzardò ad alzare la testa per controllare il territorio circostante - proprio come farebbe un vero soldato in territorio di guerra.
«Ma sei matto?» gli chiese Elaine, rimanendo sempre alle sue spalle e dando voce ai pensieri che sembravano non volerla più abbandonare, come una sorta di reazione fisiologica a uno shock appena subito. Al contempo, Steve, ora seduto e visibilmente provato dall'esercizio precedente, se ne uscì con un «È un test?» rivolto a Phillips ed Erskine, poggiati sul retro di un furgone carico di armi.
La maggiore dei Collins spostò quindi lo sguardo proprio su di loro: le bastò un attimo, giusto il momento di mettere a fuoco le espressioni dei due uomini, per capire che il progetto Rebirth aveva trovato il suo soggetto principale; l'aveva capito dallo sguardo compiaciuto del dottore e dal mezzo sbuffo seguito da un cenno di assenso del colonnello.
E per quanto il suo fosse un pensiero assurdo, infondato, si sentì precipitare in uno stato di profonda delusione. Ora non c'era più posto per lei, non avrebbe più avuto la chance di essere una candidata - aveva la sensazione che Phillips fosse giusto a un passo dal chiederglielo - e la cosa sembrava averle scavato un buco al centro del petto.
Non sapeva nemmeno lei quando questa speranza s'era fatta spazio all'interno del suo cuore e, a dirla tutta, non ci aveva mai pensato tanto concretamente da spingerla a offrirsi volontaria. Eppure adesso, con la realtà dei fatti sotto gli occhi, il suo inconscio sembrò decidere per lei, spronandola a raggiungere il colonnello mentre tutti gli altri soldati ancora si guardavano attorno circospetti.
«Mi scusi, colonnello Phillips» disse piano, attirando la sua attenzione nel modo più garbato possibile. Lanciò un'occhiata veloce a Erskine e lo scoprì intento a osservarla con un certo interesse, proprio come aveva fatto il giorno del loro primo e unico colloquio. «Potrei parlarle privatamente?»
L'uomo non rispose, limitandosi a spostarsi di un paio di passi dal dottore e dall'agente Carter appena avvicinatasi. L'espressione sul suo viso non tradiva alcuna emozione specifica, se non un accenno di sorpresa nell'esser stato avvicinato da una subalterna con così tanta tranquillità. Lo sconcerto che invece nascondeva avrebbe tranquillamente stupito metà degli uomini presenti al campo: mai e poi mai si sarebbe aspettato che un soldato - soprattutto se come Rogers - si buttasse sopra a una granata, né tantomeno che una donna fosse disposta a mettere a rischio la propria vita per salvare quella di uno sconosciuto.
«Vorrei offrirmi per il progetto Rebirth» disse Elaine tutto d'un fiato, cercando di mantenere un tono quantomeno rispettoso nonostante l'adrenalina che ancora le scorreva nelle vene. Guardò trepidante il cambio d'espressione sul volto del superiore, ma l'occhiata perplessa che le riservò bastò per farle perdere ogni speranza.
A quanto pareva, la fortuna non girava a suo favore.
«Perché? Non sa praticamente nulla a riguardo, oltre a qualche mia chiacchiera, e ciò le basta?»
«So abbastanza da trarre le mie conclusioni e sarei onorata di servire la mia patria supportando un progetto di questa portata.»
I due si guardarono negli occhi per svariati secondi, entrambi attenti a scavare nell'anima altrui per scovare la verità che nessuno osava pronunciare, per immaginare possibili scenari futuri, positivi o negativi che fossero. Il percorso che avrebbe intrapreso Elaine, se scelta, non era per nulla facile: ideato per un uomo in salute e ben allenato, il progetto aveva vita incerta se pensato su una donna ed entrambi i soldati lì presenti, soprattutto Phillips, erano ben consapevoli della realtà dei fatti; se la sergente Collins fosse diventata la candidata principale, la strada verso la meta sarebbe stata molto più complicata del previsto e il colonnello sembrava non voler accarezzare volentieri l'idea di privarsi di una delle migliori sottoposte.
«Mi dia un attimo» borbottò l'uomo, già assorto nei suoi pensieri, prima di raggiungere in fretta il dottor Erskine. Elaine rimase a osservarli con le braccia incrociate sul petto mentre intorno a lei i soldati cominciavano a ricomporsi, chi osservandola corrucciato nel tentativo di carpire qualche informazione utile e chi riprendendo l'esercizio lasciato a metà per mostrarsi superiore al finto attacco appena subito. Di certo, l'atmosfera non era più rilassata come poco prima e tutti ne sembravano fin troppo consapevoli.
Phillips si voltò e liquidò con un gesto della mano il soldato scelto Ward che aveva tentato di approcciarlo per chiedere chiarimenti riguardo la granata inesplosa - il suo animo da ricercatore non l'aveva abbandonato neanche con la leva obbligatoria -, si diresse a passo calcolato verso la sua pupilla per poi mormorarle un teso «Va bene, si consideri dei nostri» che le fece mancare il fiato.
Quella sera, al refettorio, Elaine evitò con attenzione le sue compagne. Aveva passato il tardo pomeriggio ad ascoltare le loro elucubrazioni riguardo quello che era ormai stato dichiarato come un test per verificare i riflessi dei soldati e proprio non si erano sprecate nel punzecchiarla perché, come disse Sophia, sembrava essere stata «l'impersonificazione femminile del coraggio di Alvin York» e lei era arrossita così tanto da scatenare le loro risate.
Con il vassoio della cena stretto tra le mani, la sergente si avvicinò con fare sicuro a uno dei tavoli ai margini dello stanzone dove quattro soldati s'erano messi a fare comunella ignorando in modo spudorato e vergognoso un visibilmente turbato Steve Rogers.
«Scusami, è libero questo posto?» domandò con un sorriso, rivolta al biondino che non sembrava molto entusiasta della zuppa di piselli. Lui sembrò congelarsi sul posto, a metà tra l'incredulo e lo spaventato, con il cucchiaio pieno a mezz'aria e fu con una lentezza disarmante che alzò lo sguardo dal piatto per scoprire la sua interlocutrice.
Elaine gli sorrise ancora, trascurando volontariamente i quattro uomini che ora avevano smesso di parlare per rivolgerle tutte le loro attenzioni, e Steve arrossì di botto nel balbettare «Parli con me?»
«Sì, certo, posso?»
«Ovvio» disse lui, avvicinando a sé il proprio vassoio per lasciare più spazio alla ragazza.
I quattro soldati, rendendosi conto di non essere al centro dell'attenzione, tornarono a farsi gli affari loro - probabilmente a discutere di donne e guerra - ed Elaine si lasciò cadere pesantemente sulla panca, senza trattenere un mezzo sospiro.
«Sono Elaine Collins, comunque» si presentò, allungando una mano verso l'uomo davanti a sé che ancora la guardava assorto.
«Steve Rogers» fu la veloce risposta, seguita da una stretta di mano stranamente sicura.
La sergente cominciò a consumare il suo pasto mentre cercava di ritrovare il bandolo della matassa che erano diventati i suoi pensieri: dopo una veloce riflessione sotto la doccia, aveva deciso di tentare un vero approccio con il biondino che fin dall'inizio l'aveva incuriosita, ma adesso che se lo ritrovava davanti non sapeva proprio da dove cominciare. La sua non si poteva certo considerare timidezza, eppure si ritrovò a riempirsi la bocca di minestrone pur di aver tempo per riflettere.
Non che la situazione per Steve fosse molto diversa: per quanto avesse avuto svariate uscite con ragazze della sua zona, nessuna era mai stata tanto interessata da intavolare un ben che minimo discorso - sembravano tutte più affascinate dal suo migliore amico Bucky, un concentrato di fascino e carisma difficile da trovare nella grigia Brooklyn - e ora, con davanti una donna così carina, non sapeva proprio cosa fare.
Elaine e Steve, in quel momento, erano come due bambini pronti a conoscersi, ma senza le parole necessarie per farlo davvero.
«Ho mangiato di meglio, te?» parlò d'improvviso Elaine, spostando il piatto di minestra ormai vuoto per lasciare spazio al misero secondo che l'era stato possibile prendere. Giocherellò con la porzione di carne dalla consistenza piuttosto viscida e dopo avervi affondato la forchetta alzò lo sguardo sul collega, per scoprirlo intento a osservarla perplesso.
«Non proprio» fu la mesta risposta che alludeva a una condizione economica non delle più rosee. Steve non si vergognava dei pochi soldi che giravano in casa, non ne aveva alcun motivo, e qualcosa nel profondo, forse il mezzo sorriso che Elaine continuava a rivolgergli, gli diceva che di lei poteva fidarsi.
«Di dove sei?» continuò la giovane, cominciando a riprendere il controllo della situazione.
«New York.»
«Oh, anch'io! Che assurda coincidenza! Che distretto?» insistette Elaine, presa alla sprovvista da quell'ultima scoperta. Non avrebbe mai detto fosse di New York.
«Brooklyn. Tu sei del Queens, non è vero?» disse Steve, piegando appena la testa di lato per riuscire a osservare meglio la sua interlocutrice.
«Sì, giusto!»
Poi, il silenzio tornò a calare sui due giovani soldati, ognuno nuovamente troppo perso nei suoi pensieri per prestare attenzione all'altro.
Se da una parte Steve cominciava ad acquistare coraggio, consapevole che questa volta non sarebbe stato respinto, dall'altra Elaine faticava a tenere a freno la lingua, ancora provata dall'approvazione avuta da Phillips.
Fecero in tempo a finire i loro piatti prima di riacquistare la capacità di parola, mentre i quattro colleghi accanto a loro avevano cominciato una sciocca gara di barzellette che causava risate così sguaiate da attirare occhiate infastidite da parte dei pochi militari rimasti nel refettorio.
Elaine avrebbe volentieri chiesto a Steve di uscire da lì o, quantomeno, di allontanarsi da quel tavolo, ma sapeva perfettamente che deviando il discorso avrebbe rovinato l'atmosfera creatasi tra loro.
«Perché ti sei seduta qui?» chiese lui, incrociando le braccia per poi poggiarle sul tavolo con fare disinteressato. In verità, moriva dalla voglia di sapere il reale motivo dietro quel gesto inaspettato.
Lei lo guardò a occhi sgranati, scioccamente presa alla sprovvista da quella domanda così diretta - dopotutto avrebbe dovuto aspettarsela -, e ancora prima di formulare una ragione sensata si gettò a capofitto nella risposta, sperando di non passare per una sprovveduta.
Era una donna soldato, aveva affrontato allenamenti estenuanti e commenti spregevoli per così tanti anni che mostrarsi impreparata su una banalità del genere era oltremodo imbarazzante.
«Oggi mi hai sconvolta» balbettò, lanciando un'occhiata incerta a Steve. Lo vide accennare un sorriso, come fosse ben consapevole della sua sconsiderata azione, per poi scrollare le spalle con nonchalance: il suo gesto era stato dettato dall'inconscio, un muto istinto che l'aveva spinto a sacrificarsi pur di sapere i propri commilitoni al sicuro, e dato il rinnovato rispetto che n'era seguito non se n'era pentito neanche per un istante. «Voglio dire, fosse stata una vera granata saresti morto e senza una vera ragione! Sì, insomma, mi piacerebbe capire chi c'è dietro l'Eroe anziché accontentarmi dell'immagine che ti hanno già cucito addosso.»
«Ah, quindi è solo per questo...» borbottò Steve, alzando lo sguardo al soffitto, e il sorriso si trasformò in una smorfia dispiaciuta. Aveva sperato d'essere lui la fonte dell'interesse di Elaine - non a causa di un'eventuale cotta per lei, quanto piuttosto perché era stata l'unica a essersi avvicinata senza obblighi, senza una spintarella del suo migliore amico - e invece s'era ritrovato deluso ancora una volta. Forse avevano ragione le voci maligne dei suoi vecchi compagni di scuola: così debole e malaticcio sarebbe rimasto solo per sempre.
«Ma che dici! È stata solo l'occasione giusta per fare un passo avanti, sembri un tipo apposto» si affrettò a rimediare lei appena avvertì il cambiamento d'umore. Sporgendosi sul tavolo, gli diede una scherzosa pacca sulla spalla e abbozzò un sorriso sincero, forse il primo di quella serata.
«Sono un tipo apposto» rispose Steve all'istante, fingendosi ferito da quell'insinuazione spiritosa. L'espressione amareggiata sul suo viso si tramutò in un sorriso immagine di quello della sua interlocutrice, chiaro segnale che il primo passo avanti nella loro amicizia era appena stato fatto. Certo, un passo incerto e spaventoso, ma pur sempre l'inizio di qualcosa.
Continuarono a parlare finché non furono letteralmente sbattuti fuori dal refettorio, le labbra secche e la gola dolorante a causa del tanto parlare, e rimasero a raccontarsi davanti al dormitorio delle WAC fino a quando il colonnello Phillips li obbligò a ritirarsi.
Paradossalmente, una granata li aveva avvicinati e il progetto Rebirth li avrebbe uniti per il resto dei loro giorni.
┉ ┉ ┉ ┉
Ehilà, bella gente!
Sarò breve oggi (come sempre lol) perché non sto molto bene: avrei dovuto aggiornare tipo la scorsa settimana, ma mi sono dimenticata e di ciò me ne scuso.
Per il resto, finalmente Elaine e Steve si avvicinano... chissà quando arriverà Bucky!
Mi raccomando, restate a casa!
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top