1) Nemici dal passato.
C'erano quattro foto incorniciate sul basso mobiletto del salottino di Elaine e una deliziosa composizione di fresie finte le proteggeva dalla luce che entrava dalla finestra accanto: una, l'unica in bianco e nero, risaliva al luglio 1941 e rappresentava l'intera famiglia Collins ancora in vita, mentre nelle altre tre si potevano vedere i bis e trisnipoti che con tanta fatica era riuscita a rintracciare.
Dopo tre anni dal risveglio nel ventunesimo secolo, Elaine poteva tranquillamente dire d'aver trovato un equilibrio stabile nella propria vita e gran parte del merito andava ai famigliari che con tanta gentilezza l'avevano accolta a braccia aperte.
«Allora ragazzi, vi piace la torta?» domandò curiosa la donna, poggiandosi con il fondoschiena sul piano della cucina perfettamente pulito. Osservò con un sorriso in viso il nipote più piccolo riempirsi la bocca con l'ultimo pezzo che gli era rimasto mentre la sorella maggiore finiva il succo alla pesca versato pochi istanti prima; non era mai stata brava in cucina e moriva dalla voglia di ricevere un giudizio positivo dopo quasi due ore di preparazioni.
«Ne posso ancora?» chiese Jason, mettendo su il broncio adorabile che gli avevano insegnato i fratelli poco tempo prima. Il piccoletto, per avere solo quattro anni, sapeva già il fatto suo.
«Jas, hai già mangiato due fette! Direi che per oggi può bastare» lo rimproverò bonariamente il padre, Harry, e si sporse verso di lui per pulirgli i baffi di crema pasticcera.
«Papà!» si lamentò lui, incrociando le braccia al petto con fare nervoso. L'uomo, in tutta risposta, gli diede un delicato buffetto sulla spalla e gli bastò dire qualcosa riguardo la cena della sera per fargli ritornare il buon umore.
«E tu, Elayne, approvi?» si rivolse dunque alla più grande che ancora non s'era espressa, forse troppo intenta a giocherellare con la lunga treccia scura poggiata sulla spalla.
«Ci stavo meditando su» parlò lei, fissando gli occhioni azzurri su quelli scuri della zia da cui prendeva il nome. Si assomigliavano molto le due e la dodicenne andava più che fiera della sua non troppo giovane zia, tant'è che aveva la camera piena di souvenir di Agente Patriot e s'era fatta portare alla mostra dello Smithsonian già tre volte. «Ti è venuta un po' asciutta, ma la crema aiuta.»
«Molto bene, capo! La prossima volta allora mi aiuti tu così, magari, riesco a conquistarvi tutti» ridacchiò Elaine, fingendo di asciugarsi il sudore dalla fronte. Sapeva della sua passione per la pasticciera e non vedeva l'ora di poter condividere un po' di tempo da sola con lei, farsi raccontare tutti quei piccoli segreti che si condividono solo tra donne.
«Harry, quando mi hai chiamato accennavi a delle foto da farmi vedere... be', dove sono?» indagò la padrona di casa, accomodandosi finalmente insieme ai parenti sul piccolo tavolino della cucina.
«Forse non è una buona idea» borbottò l'uomo, passandosi una mano sulla nuca pelata. La sua espressione contrita evidenziava quanto fosse consapevole d'aver fatto un passo più lungo della gamba, soprattutto considerando che sapeva perfettamente quanto la zia non apprezzasse molto la mostra su Captain America e Agente Patriot - nonostante sia lui che i vari nipoti avessero cercato di farle cambiare idea svariate volte, spronandola quantomeno a visitarla prima di giudicarla con toni così duri. «Sai, le abbiamo fatte al-»
«Alla mostra dello Smithsonian!» lo interruppe la figlia tutta contenta mentre già cercava le foto nella galleria del telefonino nuovo di zecca.
Jason faticò un attimo prima di collegare quel nome strano a qualche evento particolare, ma gli bastò un'occhiata allo schermo dello smartphone per ricordare l'ennesima visita al museo in cui, ne era certo, aveva incontrato Captain America in persona. Peccato che nessuno gli avesse mai creduto!
Il sorriso sul volto di Elaine si fece meno sincero nel comprendere dove la conversazione stava andando a parare, ma questa volta dovette cedere all'evidenza: per quanto cercasse di evitare ricordi spiacevoli e ancora dolorosi - non che Steve l'avesse aiutata con quella sua assurda impresa a New York, accompagnato dagli Avengers -, era ormai ovvio quanto il Destino si stesse sforzando per farle riabbracciare quella parte di sé che faticava a riaccogliere e, adesso, non aveva più alcuna via di scampo.
«Ah sì? Non ci sono ancora andata» temporeggiò lei, accogliendo in grembo Jason che s'era spostato non appena aveva visto la sorella affiancarsi a Elaine.
«Be', effettivamente a che ti serve se quelle cose le hai già vissute?» chiese retoricamente Elayne e avviò la presentazione creata apposta per la zia, più che certa di farle un piacere nel suo ingenuo cuore da bambina. «Guarda!»
E bastarono quelle poche immagini in rapida successione per far precipitare la sergente in un mare di ricordi malamente accantonati: si rivide con la divisa impolverata e un boccale di birra scadente in mano mentre festeggiava l'ennesima vittoria con gli Howling Commandos, le sembrò di risentire la risata sarcastica di Howard, di riavvertire l'abbraccio confortevole di James e le tornarono a pesare sulle spalle tutte le occasioni perse.
"No, basta! Questo è il passato, è inutile piangersi addosso!" si rimproverò Elaine, stringendo la lingua tra i denti nel tentativo di distrarsi da quei ricordi molesti e difficili da digerire.
In suo soccorso, però, arrivò anche il trillo del campanello.
«Uh, non aspetto nessuno» borbottò la donna, aggrottando la fronte indispettita. Si scusò velocemente con gli ospiti mentre cercava di non innervosirsi troppo e di non mostrare quanto quella breve sequenza di immagini l'avesse scossa, raggiunse la porta a passo pesante e si obbligò a riacquistare un certo contegno prima di controllare lo spioncino.
«Oh merda!» esclamò scioccata, poggiando i palmi delle mani sulla porta nel tentativo di riacquistare l'equilibrio che aveva perso a causa del sussulto.
C'era Steve Rogers ad aspettare nel pianerottolo del suo piano e lo conosceva abbastanza bene da capire che qualcosa non andava, però come poteva accoglierlo di nuovo quando l'aveva ignorata per così tanto tempo?
«Elaine, va tutto bene?» si preoccupò Harry, dopo averla raggiunta nel sentire l'esclamazione concitata. Espirò forzatamente dal naso quando realizzò che l'uomo fuori dall'appartamento era proprio uno degli idoli di sua figlia, gli bastò un'occhiata più attenta alla zia e a Steve per comprendere che c'era qualcosa che non andava tra i due e capì altrettanto velocemente che la sua visita, per quel giorno, era terminata.
«Buongiorno, ho per caso interrotto qualcosa?» sembrò scusarsi Steve, infilando le mani nelle tasche del cappotto chiaro. Era a disagio, tremendamente a disagio nel vedere la sua vecchia amica in compagnia di un uomo.
«No, non si preoccupi» prese parola Harry appena realizzò che Elaine sembrava aver perso la capacità di parola. «Immagino possa entrare, si accomodi» proseguì, facendo gli onori di casa.
«Elaine, Fury è in fin di vita» le sussurrò Steve dopo averla afferrata per un polso nel tentativo di rallentarla.
Il tonfo che produsse la porta nel chiudersi equivalse alla capriola che fece il cuore della donna nel sentire quella notizia.
Il direttore dello S.H.I.E.L.D. era probabilmente uno dei pochi punti di riferimento che aveva a New York, il primo ad averle offerto un tetto sotto cui dormire e una spalla su cui piangere - nonostante lui le avesse fatto promettere di non dire nulla a nessuno -, e le venne la nausea al solo pensiero di non poterlo più vedere.
Nick l'aveva supportata nei momenti peggiori, era stato l'unico a fidarsi abbastanza da affidarle qualche prima missione e se non fosse stato per lui non avrebbe mai raggiunto la maestria che ora possedeva nel combattere. Non si trattava più solo di essere un supersoldato, ma d'aver imparato le più fini arti marziali e le migliori tattiche di difesa.
«Captain America?» strillò Jason, abbandonando il telefono della sorella sul tavolo per correre incontro al nuovo ospite. Si bloccò a mezzo passo da lui e cominciò a saltellare sul posto per evitare di getterglisi addosso: quella era maleducazione, gliel'aveva insegnato mamma proprio la settimana prima!
Elayne fu pronta a scattare una fotografia, ma si limitò a un pacato «Benvenuto». Di sicuro aveva preso il sangue freddo del padre, considerata la voglia impellente di riempire di domande uno dei suoi eroi preferiti.
«Non ci siamo già visti noi due?» chiese Steve, accucciandosi davanti a Jason.
«Sì, alla mostra!» esclamò lui tutto contento, per poi voltarsi verso la sorella. «Te l'avevo detto che era lui!»
Rogers gli arruffò teneramente i capelli castani, ma non riuscì a sorridergli con sincerità: il ricordo di Fury seduto sulla poltrona del suo salotto tornò a pesargli sulle spalle e non poté evitare un sospiro addolorato, incapace di accettare l'idea che uno sconosciuto avesse attentato alla vita di un suo mentore.
«Mi piacerebbe chiacchierare un po' con voi» cominciò il biondo, rimettendosi in piedi con uno scatto veloce che fece spaventare il piccolo Jason, «ma devo parlare con Elaine. In privato.»
Il silenzio scese come una coltre di nebbia nel piccolo appartamento e gli sguardi che si scambiarono gli adulti bastarono per far capire anche alla giovane Elayne che qualcosa non andava. Qualcosa di cui solo due supereroi potevano occuparsi.
«Ragazzi, su, mettete i giubbotti che andiamo, la zia ha un impegno adesso» intervenne Harry, raccattando il cappottino di Jason dalla sedia in cui era stato precedentemente abbandonato. Fu bravo a contenere le lamentele del piccolo Collins - di Elayne quasi non si preoccupò, sapeva fosse matura abbastanza da comprendere la situazione -, ma dovette prenderlo in braccio per portarlo fuori dall'appartamento.
«Mi dispiace» si scusò la padrona di casa, anche se la smorfia triste sul suo viso parlava per lei.
Era difficile riuscire a mettersi d'accordo con i nipoti per incontrarsi a causa soprattutto di impegni suoi e per una volta in cui tutto s'era incastrato alla perfezione doveva succedere una disgrazia simile: ogni tanto, Elaine era certa di avere l'intero mondo contro, altrimenti certe sfortune non potevano proprio spiegarsi.
«Non preoccuparti, ti chiamiamo noi dopo così puoi parlare anche con mamma e Alan, okay?» prese parola Elayne, facendole poi un occhiolino. «Così ci mettiamo d'accordo per la prossima torta!»
«Sei un tesoro, Elly» mormorò la donna, lasciando un delicato bacio sui capelli scuri della ragazzina. Fece poi lo stesso con Jason che ricambiò con un leggero pizzicotto sulle guance, loro segretissimo saluto. «Salutami tua moglie e Alan, ci vediamo» terminò rivolta a Harry con un sorriso tirato in viso.
Ora, con una porta chiusa a separarla dalla sua famiglia, Elaine si permise di tirare un sospiro stanco: quegli ultimi cinque minuti erano stati più sfiancanti delle due ore usate per preparare la torta - di cui non aveva ancora assaggiato una fetta, aspettando che fossero i nipoti a mangiarla per primi - ed era da mesi che non si sentiva così sfibrata. Probabilmente dall'ultima missione affidatale dalla CIA.
«Hai dei nipoti?» le chiese Steve, ancora fermo accanto al piccolo divano del salotto, con lo sguardo fisso sulle quattro foto incorniciate.
Sentire l'uomo chiamarla "zia" lo aveva sorpreso non poco e adesso moriva dalla voglia di saperne qualcosa in più, nonostante fosse consapevole che quella non era l'occasione più opportuna.
«Penso di avertelo detto già svariate volte» lo rimbrottò Elaine, raggiungendo a passo svelto il piccolo cucinino per sparecchiare il tavolo. Avrebbe voluto rimproverarlo, dirgli che il suo menefreghismo l'aveva ferita, ma il suo buon animo le impediva di rinfacciargli anche il più piccolo sgarbo: dopotutto era rimasta informata sulle sue imprese, come poteva dirgli qualcosa quando solo due anni prima aveva combattuto contro degli alieni?
«Ti assomiglia molto la ragazzina» constatò Steve, affiancandola per poterla guardare in viso. Sentiva dal tono di voce quanto fosse risentita, gli dispiaceva molto di non poterla più avere al suo fianco come un tempo, ma doveva farle capire che la situazione attuale superava di gran lunga qualsiasi loro possibile diverbio.
Elaine accennò una breve risata. «Abbiamo anche lo stesso nome, più o meno.»
Dopo aver raccolto le ultime briciole dal tavolo, la donna si lasciò cadere su una delle quattro sedie della cucina e invitò Steve a fare lo stesso, accantonando una volta per tutte quel po' di rancore che le appesantiva ancora di più il cuore. «Dai, Stevie, dimmi tutto.»
L'uomo si slacciò il cappotto con un movimento veloce della mano sinistra e allungò il braccio destro sul tavolo nel tentativo di darsi una certa stabilità, come non fosse più capace di reggersi in equilibrio da solo a causa delle preoccupazioni sempre più pressanti. Più pensava a quello sconosciuto sul tetto, il primo che avesse mai incontrato con la capacità fisica di bloccare il suo scudo, più sembrava non capire nulla della situazione: Fury aveva un incarico di spicco all'interno dello S.H.I.E.L.D., questo lo sapeva, ma quali oscuri segreti nascondeva perché fosse ora preso di mira da un assassino?
«Quando sono tornato a casa l'ho trovato sulla poltrona del salotto che farneticava riguardo l'esser stato sbattuto fuori casa dalla moglie, quando nel frattempo...» cominciò a spiegare Steve, prendendo il telefono dalla tasca per mostrarle un'annotazione non ancora salvata sul blocco note: "SHIELD compromesso, ci spiano". Fury gliel'aveva comunicato in quel modo e per quanto Elaine si fosse sempre tenuta lontana dalle missioni coordinate dal direttore, ciò non significava che la sua abitazione fosse sicura. «Poi un assassino gli ha sparato dal tetto dell'edificio accanto. Ho cercato di raggiungerlo, di catturarlo, ma non scherzo quando dico che ha la nostra stessa forza. È riuscito a fermare lo scudo come se nulla fosse, temo che centri il Siero.»
«L'hai visto il tipo? Dici che sono riusciti a riprodurlo?» indagò Elaine, allungandosi verso uno dei cassetti della cucina per raccattare il suo vecchio blocco degli appunti e una penna.
Un leggero mal di testa causato dalla tensione cominciò a martellarle le tempie mentre il solito tornado di emozioni le stringeva lo stomaco tanto da darle la nausea, ma si obbligò ad accantonare ogni pensiero per focalizzarsi solo su quella che sembrava la sua nuova missione.
«Era alto quasi come me, capelli scuri e lunghi fino alle spalle, un assurdo trucco nero sugli occhi» cominciò a descrivere Steve, assottigliando lo sguardo nel tentativo di riportare alla memoria quanti più dettagli possibili.
«Trucco?» sbottò allibita la donna, smettendo di scrivere per un istante. Se la situazione non fosse stata drammatica sarebbe sicuramente scoppiata a ridere.
«Sì, tipo un ombretto nero tutto sbavato, credo gli servisse a camuffare i tratti del viso. Non saprei dirti com'era vestito, ma il braccio artificiale l'ho visto più che bene, così come la sorta di protezione che aveva sulla bocca» proseguì Rogers, sporgendosi verso il quaderno della compagna per rileggere ciò che c'era appuntato. Il suoi pensieri acquistarono un senso del tutto diverso nel vederli scritti su quelle pagine bianche e non gli sembrò più di star impazzendo, non quando vide Elaine guardarlo sconvolto.
«Un braccio artificiale?» ripeté lei, gli occhi scuri spalancati sul vuoto.
«Con una stella rossa a cinque punte all'altezza della spalla» aggiunse Steve, toccandosi il muscolo deltoide del braccio sinistro.
«Forse non si tratta di un nuovo Siero, ma semplicemente di una nuova tecnologia. Abbiamo un uomo con l'armatura che difende la Terra, perché non uno con un braccio bionico?» ragionò Elaine mentre picchiettava la matita sul foglio. Era a conoscenza dell'immenso progresso tecnologico e scientifico avvenuto negli ultimi anni per cui escludere la presenza di un Siero era un errore eppure qualcosa le suggeriva che la strada da prendere era un'altra, simile ma pur sempre diametralmente opposta.
«Non lo so, Elaine, proprio non so dove sbattere la testa.»
«Non serve disperarsi, dai» tentò di rincuorarlo, poggiandogli una mano sulla spalla. Avrebbe voluto accarezzargli una guancia come ai vecchi tempi, perdersi tra le sue braccia che sapevano di casa e affetti ormai persi, ma non c'era più l'intesa di un tempo ed Elaine non aveva alcuna voglia di calpestare un terreno consapevolmente franoso. «Abbiamo qualcosa in mano, se ci muoviamo bene riusciremo a scoprire chi è.»
Steve si ricordò improvvisamente di un altro particolare del suo incontro con Fury, riprese in mano il telefono per cancellare la precedente annotazione e ne scrisse un'altra, le dita che correvano veloci sullo schermo poco illuminato: "Mi ha lasciato una chiavetta. File importanti. Fidarsi solo di Collins".
«Qualcosa non torna» concluse Elaine, aggrottando la fronte perplessa davanti a quella nuova scoperta. Come poteva il direttore dello S.H.I.E.L.D. non riporre fiducia in alcun agente al di fuori di loro due? Cosa avevano di speciale due supersoldati come loro, a parte uno strano intruglio a circolargli nelle vene da decenni? «Dobbiamo andare da lui, è in ospedale?»
«Credo proprio di sì, andiamo.»
Elaine scattò in piedi e si affrettò a raggiungere tutte le finestre dell'appartamento per controllare che fossero ben chiuse - era diventata ormai una consuetudine preoccuparsi della propria sicurezza -, indossò poi il giubbotto e spronò Steve a raggiungere l'uscita con tanto di spintarella.
La porta di casa Collins si chiuse dietro di loro con un tonfo leggero, sommesso, e neanche i tre giri di chiave sarebbero riusciti a tenere fuori gli occhi indagatori dell'HYDRA.
Ormai era troppo tardi, il nemico stava vincendo.
┉┉┉
Ehilà!
Ebbene sì, la fine del mondo non è arrivata quindi eccoci qua con il primo capitolo... che dire, sono davvero contenta di ricominciare con gli aggiornamenti!
Almeno fino ad agosto (sperando di passare l'esame della prossima settimana, incrociate le dita per me!) gli aggiornamenti saranno sempre ogni dieci giorni: farei volentieri più in fretta, ma ho qualche difficoltà a conciliare studio e scrittura in questo periodo.
Fatemi sapere come vi sembra questo capitolo e, come sempre, per dubbi o domande io sono sempre qui... più o meno lol.
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