Assassino
giugno 1997
Assassino
Questa è una notte troppo scura.
Sento l'aria scarseggiare nei polmoni.
E' arrivato il momento, lo so.
Esco dalle mie stanze affrontando il buio che sembra spesso come melassa.
Cammino lentamente su una strada che non vorrei percorrere.
Salgo le scale.
Sento il sangue scorrere nelle vene insieme al disgusto per l'uomo che sono, per quello che sono stato e per quello che, tra pochi minuti, sarò di nuovo.
Un assassino.
I gradini sembrano non dover finire mai.
Vorrei che non finissero mai.
Le gambe pesano.
Ansimo.
Vorrei piangere.
Ma non ho più lacrime.
La scuola è piena di morte questa notte.
Loro sono qui.
I miei vecchi compagni.
La mia eterna vergogna.
E io scivolo nell'ombra.
Io sono ombra.
La porta della torre di astronomia mi interrompe la strada e i pensieri.
La ringrazio un istante per poi piombare nuovamente nell'oblio.
La apro.
E' vecchia ma i cardini non cigolano.
Non sotto le mie mani.
Sono bravo a strisciare nel buio.
Senza farmi sentire da nessuno.
Non un respiro.
Non un battito del cuore.
Il mio cuore non batte più in questa notte senza luna.
Salgo le scale.
Il legno è vecchio, marcio e stanco.
Come me.
Il ragazzo che è sopravvissuto mi guarda con il terrore dipinto negli occhi, nascosto in un sottoscala.
Poi abbandona le sue iridi verdi smeraldo ad una richiesta di aiuto.
Ad un flebile ringraziamento.
Scansati ragazzino.
Non rendermi ancora più difficile tutto questo.
Con quei maledetti occhi di tua madre nei quali vedo nascere un'ombra di riconoscenza.
Mi odierai ancora.
Dammi solo qualche altro minuto.
Il tempo di spegnere per sempre il sorriso di chi ti ha teso la mano.
Di chi mi ha teso la mano.
Ti faccio segno di tacere.
Ho paura che tu possa parlare, che tu possa rovinare tutto.
Prego perché tu possa rovinare tutto.
Perché tu possa darmi una scappatoia da questo schifo.
Non lo fai.
Ovviamente.
Ho pronunciato il voto infrangibile ad una madre disperata.
Ho salvato un ragazzo da un'ingiustizia sterile.
Da un padre stupido, servile e gretto.
Un padre nascosto da strati di tessuto pregiato, da litri di profumo costoso e da tonnellate di imbecillità.
Un padre sbagliato.
Come lo è stato il mio.
Draco avrebbe potuto essere diverso.
Come avrei potuto esserlo io.
Si merita di poter essere diverso, come io non sono stato capace di fare.
Gli ultimi tre gradini.
Il cielo invade il mio sguardo nero, adesso.
La risata di Bellatrix violenta le mie orecchie.
Il suono del mio nome cantilenato tra le risate di scherno.
Non si è mai fidata di me.
Si è fatta scopare da me.
Ha riso in faccia alla morte con me.
Ma non si è mai fidata.
E' stata la mia spina nel fianco, da sempre.
- "Severus..."
E' la tua tua voce che interrompe i miei pensieri, Albus.
Quella che mi strazia l'anima.
Ti guardo.
Di te è rimasto solo un vecchio stanco in questa notte calda di inizio estate.
I tuoi occhi non brillano più.
Vedo lo strazio nel tuo sguardo.
Non per la morte che ti attende beffarda, ma per quello che mi hai costretto a fare.
Adesso capisci quello che mi hai chiesto?
Lo vedi riflesso nei miei occhi che non riescono a nascondersi.
E io lascio cadere la maschera.
Voglio che l'uomo nascosto sotto una sapiente finzione sia l'ultima immagine che ti resta di me.
Il mio sguardo si riempie di lacrime in mezzo ad una folla girata da un'altra parte.
Forse questa volta il destino è stato clemente.
Mi guardi solo tu.
Sorridi.
Maledetto vecchio pazzo!
Stramaledetto, meraviglioso, vecchio pazzo.
Cosa darei per potertelo dire adesso.
Tutto quello che non sono mai riuscito a far scivolare fuori dalle mie labbra aride.
Fammi capire che lo sai Albus, ti prego.
Spiegami ancora una volta perché lo devo fare.
Perché mi hai costretto a farlo.
Allarghi leggermente le braccia.
La tua lunga tunica grigia e la tua barba argentata che si stagliano su una notte che non riuscirò a dimenticare.
Sospiri.
- "Severus... Ti prego!"
Sorrido.
Del sorriso più amaro che abbia mai increspato le mie labbra.
Stringo la bacchetta nel pugno.
La mia elegante, potentissima bacchetta nera.
Nera come me.
Le nocche mi fanno male.
Sento i tendini contrarsi fino a voler uscire dalla mia pelle diafana.
La mano di un assassino.
Chiudo gli occhi un istante.
Ripesco quella promessa in fondo ad un cuore che non sento più vivo.
La mia promessa a te.
Tutto quello che mi resta da regalarti.
Indietreggio.
- "Avada Kedavra!"
Urlo.
Un urlo che cela tutta la disperazione di cui sono capace.
Tutto l'orrore e lo sgomento della mia vita atona.
Un lampo saetta dalla mia bacchetta.
Ti colpisce in pieno petto.
Vedo la tua imponente figura vacillare.
Ti abbandoni alla morte col sorriso ancora sulle labbra.
La ringhiera cede.
Il vuoto ti inghiotte.
E tu cadi.
Giù dal castello che hai sempre difeso.
Dalla torre più alta.
La stessa torre in cui mi hai fatto capire di essere un uomo diverso.
Vorrei girare la bacchetta e puntarla sul mio petto.
Vorrei rovinare giù da questa torre al tuo fianco.
Come lo sono sempre stato.
Al tuo fianco.
- "Addio, amico mio."
E' solo un sussurro, nessuno può sentirlo.
Neanche tu.
Non più.
E io sono di nuovo un assassino.
Le risate di scherno invadono l'aria che si è fatta gelida.
Bellatrix solleva la bacchetta.
Ride.
Di una risata infernale.
Gretta e sporca.
Come lei.
Come me.
Il marchio nero soffoca il castello.
Pulsa macabro sul mio braccio.
Sulle loro braccia.
I miei vecchi compagni si muovono velocemente.
Dobbiamo uscire di qui.
Corro giù per le stesse scale che poco fa hanno visto scivolare sui loro gradini il mio sgomento.
Harry Potter ci segue.
I suoi lineamenti contratti in una smorfia di rabbia, incredulità e disgusto.
Raggiungimi ragazzino.
Uccidimi.
Trova le maledette capacità, il fottuto coraggio.
E uccidimi.
Il prato scorre veloce sotto i miei stivali impeccabili.
I miei compagni sono davanti a me.
Incendiano la casa di Hagrid.
Ridono.
E poi spariscono.
Si smaterializzano verso una fortezza piena di incubi.
- "Sectumsempra"
Sento il mio stesso incantesimo aggredirmi alle spalle.
Mi difendo.
Perché te l'ho promesso Albus.
Ti ho promesso che avrei portato a termine il tuo piano.
E' tutto quello che mi resta da fare per te.
Vorrei lasciarmi uccidere.
Ma non posso.
Non ho mai potuto.
- "Osi usare i miei incantesimi contro di me?"
Sibilo.
Gli occhi di questo insopportabile ragazzino mi guardano con un cocktail infernale di disprezzo e sgomento.
Quegli stessi maledetti occhi che mi hanno portato ad essere il mostro nero che sono sempre stato.
Che continuano a tormentare le mie notti di veglia.
E' a terra.
Lo guardo con il disprezzo che vorrei rivolgere a me stesso.
- "Sì, sono io il principe mezzo sangue!"
Sembra non capire.
Non ha mai capito niente.
Lo metto fuori combattimento.
Mi allontano.
Faccio per smaterializzarmi verso il mio nuovo tormento.
Un fruscio alle mie spalle.
Mi volto.
E tu sei davanti a me.
Mi stavi seguendo.
Come sempre, da mesi ormai.
Perché lo hai fatto?
Questa sera no, non dovevi vedermi.
Ma io sapevo che eri lì, pochi passi dietro di me.
Ho finto di non accorgermene.
La verità è che sono un codardo.
E tu eri l'unica certezza in questa notte piena di incubi.
I tuoi occhi gonfi di lacrime.
I tuoi enormi occhi nocciola increduli davanti al mostro che non pensavi io fossi.
- " Che cosa ha fatto?"
Urli.
La tua voce è piena di disperazione.
La capanna di Hagrid brucia.
Il fuoco inonda di riflessi rossastri il tuo viso di bambina.
Dovrei girarmi e correre via.
Ma sono stanco.
Sono vuoto e disperato.
Non ho più forze.
E la maschera cade.
Provo disperatamente a riafferrarla, ad incollarla sul mio volto, di nuovo.
Non ci riesco.
L'ultimo briciolo di umanità che mi restava è scivolato via dalla mia mano solo alcuni istanti fa.
E ora non sono più niente.
Resto a guardarti.
I miei occhi si riempiono di lacrime.
Perdonami, Hermione.
Non dovresti vedere tutto questo.
Mi accascio per terra.
Le ginocchia urtano un pavimento di erba bagnata.
Mi prendo il viso tra le mani.
E piango.
Io, Severus Piton.
L'uomo di ghiaccio.
Il mostro.
L'assassino.
Il traditore.
Piango lacrime che provano ad uscire da anni.
Con tutta la disperazione che devasta il mio cuore.
Lo faccio davanti allo sguardo sbigottito di una ragazzina dai capelli arruffati.
E tu mi osservi.
In silenzio.
Non scappi.
Non urli.
Ti avvicini.
Ti inginocchi al mio fianco.
E io singhiozzo in preda alla disperazione.
Non sono più in grado di nascondermi.
Questa volta il dolore è troppo più forte di me.
Ripesco un briciolo di autocontrollo in fondo ad un'anima che fatico a trovare.
Ti guardo.
- "Ho dovuto farlo... Glielo avevo promesso."
E' solo un sussurro.
Faccio una pausa.
Non parli.
- "Ti prego, credimi!"
Te lo dico.
Per necessità.
Perché qualcosa dell'uomo che forse un giorno sono stato resti aggrappato a questo castello che per anni ho chiamato casa.
Mi ricompongo con l'ultimo brandello di tenacia che ancora mi resta.
Mi alzo.
Mi sistemo il mantello sulle spalle.
Mi nascondo di nuovo dietro alla finzione che mi accompagna da sempre.
E sparisco lasciandomi avvolgere da una nuvola di fumo nero.
Come avrete capito siamo tornati indietro, con un nuovo salto temporale.
Aspetto i vostri pareri.
Grazie a tutti
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