Capitolo 3
EMMALINE
Il cielo era coperto e il mare ruggiva. Anche dentro di me qualcosa ruggiva. La sera prima era stato un delirio. Ed io lo avevo accolto dentro di me.
Non riuscivo a capire il perché del mio comportamento. Quello che avevo fatto e quello che non avevo fatto... Quello che avrei dovuto fare e quello che non avrei dovuto fare. In definitiva, niente di tutto quello che avevo fatto, ora mi sembrava giusto.
Il concetto di giustizia mi aveva abbandonata quando me n'ero andata davanti al massacro che era stato presentato come un'offerta oscena ai miei piedi. "Lui" mi aveva detto di tornarmene a casa, ed io avevo girato i tacchi ed ero tornata a casa con i vestiti strappati e il sangue ancora fresco addosso.
Mi ero spogliata, gettato i vestiti nella spazzatura, infilata sotto la doccia e lavato via tutto. Anche il senso di colpa per essere stata testimone omertosa di due efferati delitti era finito nello scarico della doccia. Ero stata sotto l'acqua fino a che la pelle si era raggrinzita. Mi ero infilata sotto le coperte e avevo dormito. Soprattutto quello era stato strano. Niente incubi, né sonni agitati.
Mi ero svegliata inconsapevole di ciò che era successo la sera prima. Ero andata in bagno, sciacquato il viso e mentre mi asciugavo, avevo incontrato i miei occhi nello specchio. Tutto era riaffiorato. Avevo ripercorso con la mente gli attimi di quella maledetta serata. In un primo momento avevo negato a me stessa che potesse essere accaduto davvero. Poi ero corsa ad aprire la spazzatura ed il tanfo osceno del sangue mi aveva riportata alla realtà.
Era tutto vero. Avevo preso il telefono. Ma poi mi ero fermata. Non ero riuscita a chiamare la polizia. Dovevo fare il mio dovere e denunciare l'accaduto. Avevo riprovato a fare il numero e non c'ero riuscita. Vigliacca. Mi ero arresa. Anzi, ero corsa a buttare la spazzatura a qualche isolato di distanza. Avevo portato Acheron a fare la sua passeggiata mattutina, spazzolato Storm, il persiano, e dato da mangiare a tutti e tre i miei animali. Poi ero corsa a prendere l'autobus per Marina.
Ed ora eccomi qui, su uno scoglio di fronte al mare a ripensare a tutto quello che era successo. L'odore della risacca, il movimento e il fragore delle onde scandivano i miei pensieri. Com'ero riuscita a difendermi per ben due volte? Forse con Claudio non era stato difficile, ma con gli altri due ceffi? Di una cosa però mi sentivo sicura, di aver fatto la cosa giusta. Avevo rischiato di essere violentata. Avevo cercato di difendemi e c'ero riuscita. Non avevo fatto niente di sbagliato.
L'angoscia invece era dovuta a ciò che era successo subito dopo. Quell' "uomo"... Era un uomo? Quello che aveva fatto... Aveva massacrato quei due usando mani e denti. Non ero sicura di quello che avevo visto. Non poteva essere vero. Forse lo shock mi aveva fatto vedere cose che non esistevano. La cosa più preoccupante era la sensazione che avevo provato davanti a quello scempio. Ero stata sollevata. Di pietà per la fine che avevano fatto quei due neanche l'ombra. Anzi, mi ero quasi rammaricata perché non li avevo massacrati io con le unghie e i denti. No, il coltello sarebbe stato molto meglio. Quel pensiero mi sconvolgeva, ma reprimerlo avrebbe significato mentire a me stessa.
Altra stranezza era che i giornali non riportavano alcuna notizia del delitto. Quando avevo portato a spasso Acheron, mi ero fermata all'edicola. Avevo dato un'occhiata alla cronaca nera, ma non c'era nessuna notizia. Forse "lui" aveva ripulito tutto. Non potevo essermelo sognato, avevo avuto il vestito insanguinato tra la mani solo qualche ora prima.
Come se tutto ciò non fosse abbastanza, gli odori continuavano a perseguitarmi. Avevo capito che provenivano dalle persone con cui entravo in contatto. Erano i più disparati. Prima della scorsa notte non mi era mai successo.
Il telefono squillò interrompendo le mie elucubrazioni. - Emma! Ma che fine hai fatto? - Il tono di voce di Cate mi arrivò stridulo.
- Sono andata via quasi subito dalla festa. Claudio ha fatto l'idiota ed io l'ho mollato lì. -
Sospiro dall'altra parte. - Potevi almeno avvertirmi che te la svignavi! -
- Mi dispiace, ma ero incazzatissima. -
- Va bene. Ci vediamo più tardi in facoltà. Mi dispiace che Claudio abbia fatto l'idiota, considerato poi come l'ho sponsorizzato. -
- Ok. A dopo. - Chiusi il telefono. Era ora di tornare in città. I miei tormenti mi avrebbero accompagnata, ma meglio darsi da fare che restare lì a rimuginare.
***
La facoltà era affollata. Scorsi Cate che teneva banco con un gruppetto di studenti. Alta e rossa spiccava come una fiamma. Mi feci strada tra la calca e la raggiunsi. - Ciao, raminga... Scusate gente, ma abbiamo un problema da risolvere la mia amica ed io. - Mi prese per un braccio e mi trascinò verso l'atrio della facoltà.
- Allora? ... Emma, ho detto, ALLORA? -
- Possiamo parlare di fronte ad un cappuccino e ad una fetta di torta? -
- Emma, sono a dieta! -
Alzai gli occhi al cielo. -Vorrà dire che io mi berrò il mio cappuccino e mangerò il mio dolce e tu, stoicamente, starai lì ad ascoltarmi.-
Ci incamminammo verso il bar. C'era poca gente. Scelsi un tavolino appartato e ordinai il cappuccino e la fetta di torta della nonna. Cate, rassegnata, seguì il mio esempio avvertendomi che avrei avuto i suoi chili di troppo sulla coscienza. Le dissi sorridendo che odorava di cacao.
- Emma, mi prendi per il culo? Parlami piuttosto di Claudio. L'ho incontrato poco fa. Mi ha volutamente evitato, ma mi sono accorta che aveva il viso pesto. -
Fui colta da un senso di soddisfazione. No, questa non ero io. Non era da me essere soddisfatta per aver menato qualcuno. Ero una pacifista convinta io. Cate mi stava guardando con aspettativa. Le raccontai che arrivata alla villa, ero stata colta da un improvviso mal di testa ed ero andata in bagno. Claudio mi aveva seguita e mi era saltato addosso. Siccome il "no" a parole non l'aveva capito, glielo avevo ribadito con i fatti. Lei mi guardava allibita, non riusciva a credere che fossi riuscita a darle ad uno come Claudio. Non solo perché fisicamente avevo l'aspetto di una bambolina delicata, ma anche perché ero una convinta pacifista.
Sospirai. - Non so come ci sono riuscita e non mi importa, ma ha avuto quello che si meritava. Questione chiusa. -
- Va bene. Allora è in arrivo per te una richiesta che ti piacerà, devi aiutarmi a studiare per l'esame altrimenti non lo passo neanche stavolta! - Le sorrisi, lo studio era decisamente un terreno sicuro per me. Ci accordammo per vederci quella sera stessa per una sessione di studio matto ed intensissimo. La salutai e mi diressi verso l'aula dove mi aspetta la mia lezione. Appena entrai, un effluvio di pepe mi investì. Guardai nella direzione da cui proveniva e non mi sorpresi di trovare Claudio che mi fissava con il suo occhio pesto. Gli avevo spaccato anche il labbro. Andai a sedermi nel posto accanto al suo. Sobbalzò e si girò dall'altra parte. Con la massima tranquillità gli misi una mano sulla spalla e lo costrinsi a girarsi vero di me.
- Allora come stai? Domanda stupida, vedo che non sei in gran forma. Spero ti serva da lezione.-
L'odore di pepe si intensificò, ma lui non reagì. In quel momento entrò in aula il professore. Dimenticai chi avevo accanto e rivolsi tutta la mia attenzione alla lezione.
Erano le diciotto quando uscii dalla facoltà. Cominciava a far freddino. A quell'ora il Lungarno era in fermento. Anche io lo ero.
"Il mio cuore è il tuo cuore? Chi mi riflette i pensieri? Chi mi presta questa passione senza radici? Perché cambia il mio abito? Tutto è crocevia! " Ero confusa. C'erano stati dei momenti in quella giornata in cui ero riuscita ad andare oltre, a sentirmi su un binario di normalità. Sprazzi soltanto. Era come trovarsi davanti ad uno specchio e non riconoscersi. I contorni tremolavano, sbiadivano e poi venivano sostituiti da altri. Sconosciuti. Era come se da dentro me volesse uscire un'altra persona. Diversa.
La strada sembrava lucida per l'umidità. L'aria ne era pregna.
Arrivai a casa. Phoebe e Storm erano dietro la porta che mi aspettavano con un coro di miagolii. Acheron non c'era, lo trovai di guardia fuori dal balcone. Una strana ansia mi assalì. Sbirciai fuori, ma non vidi nessuno. Mi tolsi la giacca e mi buttai sul letto. La testa era piena di pensieri confusi. Dovevo distrarmi. Accesi il PC, le dita corsero veloci sulla tastiera.
" Rinata da stelle rovinate dondolando in un vento di spine, vorrei ricordarmi com'ero quando ancora non esistevo: acqua famelica o anemone innevato."
Scrivere mi aveva acquietata. Non aspettai molto prima che lui mi rispondesse. Sono il tuo lupo affamato! Un lupo affamato ... Eccitante. Da dove mi veniva quel pensiero. Provai a scacciarlo. Non ci riuscii. L'eccitazione crebbe mentre rispondevo al messaggio. " Sei tu la mia preda che m'offri un'ora breve di tremore umano, fa che non ne perda neppure un attimo prima che riprovi il peso di me, che l'incanto cessi. "
Troppo Montale. Lui mi rispose ancora una volta. Amata subito!
Non ebbi tempo di riflettere sulla sua risposta perché il citofono suonò. Non aspettavo nessuno. Andai a rispondere - Chi é? - Nessuna risposta. I gatti cominciarono a miagolare istericamente e Acheron si mise di fianco a me in allerta. Il portone, chiuso a chiave, si aprì e due individui entrarono chiudendoselo dietro.
Il ragazzo che mi si parò davanti era altissimo, di una bellezza impossibile. Lineamenti classici perfetti facevano da contorno a due occhi argento fuso che mi paralizzavano. Panico puro mi assalì. Poi scorsi l'uomo che era rimasto indietro. Era "lui". I suoi occhi color ambra scintillarono divertiti. -Ci rincontriamo, Milady... E noto che non mi hai dimenticato. -
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