Capitolo 28

                                                            EMMALINE


Due occhi scuri e selvaggi erano fissi nei miei. Il ragazzino aveva richiamato il suo lupo in superficie: potevo vedere le sue sembianze ferine sovrapporsi a quelle umane. Tutto quello che c'era intorno a noi sembrava essere sparito per qualche istante. Un'eco di passi, sempre più vicini, mi avvertì che Garret e Leila stavano arrivando. Li aveva sentiti anche lui perché la sua testa scattò verso l'alto e le pupille, ormai in forma ferina, scintillarono. Il suo corpo si tese. Cercai di riscuotermi dal torpore che sembrava pervadermi da quando lo avevo visto. Dovevo fermare lo scontro che si stava preparando e c'era un solo modo per farlo: richiamare lo spirito del lupo. Non passò molto tempo prima che la mia coscienza umana fosse relegata in un angolo da quella dello spirito animale. Mi sentii bruciare. Il calore che emanava il mio corpo richiamò nuovamente l'attenzione del ragazzo su di me. Cadde in ginocchio.

Mi accorsi con la coda dell'occhio che Garret si stava avvicinando. 

- Non osare toccarlo! - La mia voce giunse alle orecchie ovattata. Lui fece per ribattere, ma non poteva. Il mio potere come spirito del lupo non gli dava alcuna possibilità di contrastarmi. Era "mio" così come lo era il piccolo in ginocchio di fronte a me.

Con un enorme sforzo Garret riuscì comunque a sibilare tra i denti di fare attenzione. Mi avvicinai al ragazzo, che sembrava ora più giovane e debilitato di quanto mi fosse apparso all'inizio. Un ringhio scaturì dalla mia gola. 

- Chi ti ha ridotto così? - C'era qualcosa in lui che mi spingeva ad avvicinarmi, a toccarlo per dargli conforto. Posai la mia mano sulla sua guancia con cautela. Non volevo spaventarlo. Sentii i due lupi adulti trattenere il respiro. No, non mi avrebbe attaccata. Lo sapevo io così come in fondo lo sapevano anche loro. Lui era nostro. Non mi respinse, ma fece pressione con la sua guancia sulla mia mano e si lasciò sfuggire un sospiro.

Annullai ogni distanza tra i nostri corpi e lo strinsi in un abbraccio. Tremava. Era vicino allo sfinimento. Chissà da quanto tempo era in quelle pessime condizioni! Notai però che i suoi abiti erano relativamente nuovi e puliti. La coscienza del lupo mi spingeva a portarlo via di lì il più in fretta possibile. Era stato un miracolo che nessuno fosse passato da quella strada e ci avesse visto. Non era certo una via principale, ma c'erano molte case abitate nei dintorni. La scena era troppo strana per non attirare l'attenzione. Anche un umano si sarebbe accorto che i nostri corpi avevano qualcosa di anomalo, di inumano.

Senza smettere di accarezzare il piccolo che stringevo tra le braccia, mi rivolsi a Garret e Leila. - Dobbiamo toglierci di qui e portarlo a casa. -  Entrambi mi guardarono basiti. La tensione si riverberava nei loro corpi. Stavo mantenendo lo spirito del lupo, oltre che per calmare il ragazzo, anche per evitare che i due licantropi facessero storie e si opponessero alle mie decisioni. Lo vedevo dalle loro espressioni che non approvavano e, se avessero potuto, si sarebbero opposti.

- Sei sicura di quello che fai? - Era stata Leila questa volta a parlare. Non le risposi, ma i miei occhi si fissarono nei suoi sfidandola a contraddirmi. Abbassò la testa. Poi, sia lei che Garret si avvicinarono. Il ragazzo si agitò.

- Fermi! Precedetemi verso casa, noi vi seguiremo cercando di dare il meno possibile nell'occhio. - Ordinai loro.

Addolcii il tono di voce quando mi rivolsi a colui che tenevo ancora tra le braccia. - Ti porto a casa. Vieni... - Ci alzammo insieme e, sempre tenendoci abbracciati, seguimmo Garret e Leila, che intelligentemente, avevano scelto la strada più in ombra. 

Arrivati al ponte, mi strinsi maggiormente al ragazzo. C'era troppa gente e troppa luce per non rischiare di essere notati. - Richiama il tuo lupo. C'è troppa gente qui. -

Nei suoi occhi ci fu una piccola esitazione, ma fu solo un attimo, poi obbedì. Ora c'era solo il ragazzo. Tentai di fare la stessa cosa con lo spirito del mio lupo, ma questo oppose resistenza. Era facile richiamarlo ormai, più difficile riportarlo dentro. Una piccola lotta mentale e cedette.

- Dove andiamo Wahya? - Aveva una voce limpida con una leggerissima inflessione straniera.

Gli sorrisi. - A casa mia. Vuoi venire? - 

Lui si morse il labbro inferiore e mi guardò negli occhi. - Ti ho cercato tanto... Sentivo il tuo odore in questa città, ma non riuscivo a trovarti. -

- Ti ho trovato io. - Alle mie parole fece di sì con la testa. - Non mi hai detto ancora il tuo nome. Io mi chiamo Emmaline. -

- Jago Ortiz. -

Garret e Leila si fermarono in sincrono e si girarono verso di noi. Due paia d'occhi guardavano allarmati il ragazzo. - Cosa c'è? - Chiesi. Garret continuava a guardare Jago, dopo qualche minuto, si decise a parlare. 

- Ortiz era il clan di lupi stanziati in Andalusia... -

Non mi era sfuggito l'uso del verbo al passato. - Era? - Jago cominciò a tremare. 

- I Montfort li hanno quasi tutti sterminati. Tutti i maschi del clan sono stati giustiziati. -

Il tremore del ragazzo si era accentuato. Lo accarezzai per cercare di calmarlo. - Tranquillo, qui sei al sicuro. -

Garret mi lanciò un'occhiata preoccupata. Lo ignorai, sorpassandolo. Eravamo arrivati al muro che nascondeva il portale. Mi guardai intorno per assicurarmi che non ci fosse nessuno nei paraggi, poi spinsi una mano sul muro, continuando a tenere abbracciato Jago. Ci ritrovammo dall'altra parte con Black che mi guardava come se volesse incenerirmi. Le novità viaggiavano in fretta a quanto pareva. Come Black avesse fatto a sapere del nostro arrivo in così breve tempo era un mistero!

Jago si staccò da me e cominciò a ringhiare al suo indirizzo. Non ce la potevo fare... - Basta, lui è un amico. - Ordinai, secca, al ragazzo, che allo stesso modo del Caduto, mi lanciò uno sguardo scettico, a dir poco. 

- È un Caduto! - Sputò fuori il più giovane dei due con disprezzo. 

- Ed io sono un mezzo demone, un mezzo angelo e accolgo nel mio corpo lo spirito del lupo. Dov'è il problema? - Lui si limitò ad aggrottare le sopracciglia scure e non mi rispose, ma mi seguì docilmente.

Dietro di noi Black stava facendo una ramanzina a Garret e Leila, accusandoli di non essere in grado di proteggermi, visto che mi avevano fatto tornare a casa con un bomba ad orologeria. Jago si girò verso di lui mentre salivamo avvinghiati gli scalini  che portavano all'entrata della villa. - Ascolta vecchio babbione, lei è la Wahya, nessun lupo può opporsi al suo volere; quindi smettila di fracassare le palle a questi due. - 

Soffocai una risata e spinsi l'impertinente cucciolo dentro casa. Lui si guardò intorno con occhio critico. - Troppo bianco qui dentro! - A questa uscita non riuscii a trattenermi e risi liberamente.  - Somigli a qualcuno di mia conoscenza... - Mi guardò dubbioso e scosse la testa. I colori e i lineamenti erano diversissimi: capelli lisci e castani, occhi scurissimi e lineamenti dolci e fanciulleschi da una parte, capelli mossi color del miele, occhi d'ambra e lineamenti spigolosi e virili dall'altro. Ma l'insolenza ed il piglio spicciolo era lo stesso. 

- E chi sarebbe questo tizio che mi assomiglia? - Mi chiese con voce carica di scetticismo. 

- Duncan, il Lykaon dei McCarthy. - Risposi automaticamente senza pensarci due volte. Il ragazzo sbuffò. - Quello di cui porti addosso l'odore? - Avvampai. Ma che storia era mai questa?! Erano passati giorni e docce dall'ultima volta che ero stata con Duncan, e quest'insolente ragazzino sosteneva che portavo addosso ancora il suo odore?! Repressi l'istinto di annusarmi e gli lanciai un'occhiata ammonitrice dall'insistere su quel punto.

Intanto i tre dietro di noi non si erano persi neanche una virgola del nostro botta e risposta. - Sediamoci e vediamo il da farsi. - Disse a quel punto Black, serio. Ormai il salotto era diventato una sorta di sala riunioni pianificazione e strategia. Nella villa in realtà c'era, al secondo piano, uno studio degno di tale nome, ma non lo avevamo mai usato da quando io abitavo lì. 

- Perché hai ucciso quelle persone? - La cruda domanda di Garret interruppe le mie futili elucubrazioni. Jago non lo guardò ma, sedendosi  accanto a me sul divanetto centrale, fissò i suoi occhi nei miei. - Ho ucciso quegli uomini per proteggermi... - Forse avrei dovuto chiedergli di più, ma a me bastava quella risposta. Evidentemente agli altri no, visto che fu subito incalzato da un'altra domanda. - Da cosa dovevi proteggerti? Erano solo umani! -

Per un attimo sembrò che non avesse nessuna intenzione di rispondere alla domanda che Black gli aveva posto. Poi, sempre continuando a guardare solo me, come se mi ritenesse la sola ad aver diritto alle sue spiegazioni, cominciò a raccontare di come, cercando di fuggire dai Montfort, fosse arrivato qui in Italia. Aveva vissuto di espedienti per qualche tempo in Liguria, poi era arrivato qui e, vagabondando di notte per la città, aveva captato l'odore di un branco. All'inizio si era spaventato ed era stato tentato di fuggire lontano, ma poi aveva percepito anche il mio odore ed allora aveva cercato di trovarmi perché io ero la Wahya. Per quanti sforzi facessi però non ci ero riuscito e, una notte un uomo lo aveva sorpreso in un capanno in campagna in cui aveva trovato rifugio. L'uomo lo aveva afferrato malamente dicendogli che un bambino della sua età non poteva stare lì di notte e che lo avrebbe portato alla polizia. Mentre lottava per cercare di sfuggirgli, confessò con vergogna, non aveva saputo trattenere il suo lupo, si era trasformato e lo aveva ucciso.

Black e Leila avevano un'espressione inequivocabile di condanna negli occhi. Garret invece lo interruppe per dirgli solo che doveva imparare al più presto a controllare il suo lupo. Nei suoi occhi non c'era condanna. Mi ricordai che lui e Duncan avevano vissuto come reietti quando avevano più o meno l'età di Jago. Anche loro probabilmente si erano trovati costretti ad uccidere perché troppo piccoli per controllarsi senza un adulto, che avrebbe potuto aiutarli. Per la prima volta il cucciolo smise di guardare me e si concentrò su Garret e tra di loro passò qualcosa. Comprensione. 

Il più giovane poi distolse lo sguardo e continuò a raccontare. Il secondo uomo lo aveva sorpreso mentre rubava da mangiare dal suo ristorante. All'inizio era sembrato comprensivo e, anzi, lo aveva invitato a sfamarsi liberamente, ma poi aveva tentato di approfittarsi di lui e, ancora una volta, il suo lupo aveva preso il sopravvento e lo aveva ucciso. Neanche Black e Leila questa volta ebbero sguardi di condanna. Mi si strinse il cuore a pensarlo così piccolo e in balia degli eventi. - Nessuno ti farà più del male. Ora sei al sicuro. - Gli dissi. No, non avrei permesso a nessuno di torcergli un capello.

- Come faremo con i Montfort? - Era stata Leila a porre la spinosa questione.

- Non devo dare nessuna spiegazione ai Montfort. - Ribattei seccamente.

Black ci guardava interrogativamente. Fu Garret alla fine a decidersi a dargli una spiegazione. - È un Ortiz... Un anno fa i Montfort, con una scusa, hanno dichiarato guerra al suo clan. Puoi immaginare come sia andata a finire. - Terminò, rassegnato. Fece per continuare a parlare, ma Jago non glielo permise. - I Montfort e quei vigliacchi dei loro alleati hanno ucciso mio padre, Ramon, il Lykaon, e mia madre, Anna; ma mia sorella Maite e mio fratello Diego con il clan hanno continuato a combattere. Erano troppo pochi rispetto a loro e sono stati sconfitti. Tutti i maschi sono stati massacrati. Maite ed io io eravamo riusciti a fuggire... - La sua voce, così sicura, nonostante l'età, per la prima volta si spezzò. Gli accarezzai il  braccio. Il contatto parve dargli la forza di continuare il racconto. - Ci hanno raggiunti e catturati... Maite però è riuscita a farmi fuggire di nuovo prima che mi uccidessero... -

Una grande tristezza si impadronì di me. - Mi dispiace... - Riuscii solo a sussurrargli. 

Lui mi guardò con gli occhi lucidi, ma quando parlò, nella sua voce c'era risolutezza. - Un giorno, Wahya, io vendicherò il mio clan e libererò mia mia sorella. -

Garret lo guardava con rispetto. - Dunque tua sorella è ancora viva... -

- Mia sorella è all'inferno, nelle mani di quel porco di Guillaume Montfort! Lui l'ha sempre voluta per sé. - Sputò fuori ogni singola parola con disprezzo.

- Si è unito a lei? - Chiese Leila. Solo la morte poteva spezzare il legame tra i due lupi. Un ghigno apparve sul volto di Jago. - Ha tentato di instaurare il legame con lei, ma non c'è riuscito... - 

Non sapevo molto delle abitudini dei lupi, ma mi pareva di aver capito che se un maschio potente, e Guillaume  lo era, essendo il primogenito dei Montfort, voleva come compagna di vita una femmina, c'era poco da fare per impedirlo. Fu Leila a dare voce al mio dubbio. - Se lui la voleva come compagna, com'è riuscita tua sorella a sottrarsi, visto che è sua prigioniera? -

- Mia sorella è troppo forte... - Disse Jago con una certa soddisfazione.

 Continuavo a non capire, ma Garret invece sì. - Non è riuscito a farla trasformare... -

Il ragazzino fece di sì con la testa. Poi Garret si accorse che né io né Black avevamo ancora capito granché della situazione e, con pazienza, si apprestò a darci le dovute spiegazioni. - Per completare un legame i licantropi devono unirsi in forma di lupo. Di solito l'unione avviene per scelta di entrambi, ma in alcuni casi, se il maschio è molto potente, può costringere la lupa, come un qualsiasi altro lupo, a trasformarsi per l'accoppiamento. Evidentemente la sorella di Jago è più potente del primogenito dei Montfort e resiste alla costrizione a trasformarsi. -

Leila scosse la testa affranta, poi mi guardò. - Può resistere al legame come lupo... ma non lo può come donna. - C'era rabbia nella sua voce. Improvvisamente capii e il sollievo, che avevo provato nel sapere che a quella ragazza non poteva essere imposto un legame non voluto, sparì. La lupa poteva difendersi da un abuso, la donna no. Digrignai i denti. I Montfort avrebbero pagato i loro soprusi, dal primo all'ultimo.

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