Capitolo 25
EMMALINE
Lo specchio nella stanza rifletteva la mia immagine sfocata. Mi concentrai strizzando gli occhi. Niente. La mia visione restava dai contorni incerti e tremolanti. Mi sentivo come una polveriera pronta ad esplodere. Dopo la mia, chiamiamola così, "deificazione" da parte del clan, mi ero rifugiata nella mia camera. Con un ringhio avevo ordinato a Black, che aveva provato a seguirmi, di lasciarmi in pace; i licantropi, al contrario, non mi avevano dato problemi, probabilmente erano ancora in ginocchio nella radura dove li avevo lasciati. Non ero mai stata tanto sconvolta, neanche quando Duncan e Black mi avevano rivelato le mie origini perché, nonostante tutto, mi ero sentita ancora me stessa. Ma ora... Ora non facevo altro che chiedermi incessantemente chi ero, ed il fatto che i miei occhi non riuscissero a mettere a fuoco la mia immagine non aiutava. Lo spirito dell'animale che aveva preso possesso di me si era ritirato, ma non era sparito. Ero certa che sarebbe rimasto dentro di me, pronto ad uscire fuori alla prima occasione. Questo mi terrorizzava perché quando lo spirito aveva preso il sopravvento, io ero sparita, ero stata messa in un angolo; non ero stata più in me. Sentire il "suo" ( o era il "mio"? ) desiderio di sangue aveva gettato in un baratro l'essere umano che ero io. E se un giorno da quel baratro io non fossi riuscita più a risalire? Se l'animale avesse prevalso sull'umano?
Un bussare insistente alla porta interruppe le mie elucubrazioni. - Vattene! -
- Emmaline, fammi entrare. - La voce di Garret era decisa, l'adorazione e il timore reverenziale quasi spariti. Quasi. Sospirai. - Entra. - Forse era meglio parlare con lui che restare di fronte ad uno specchio a cercare di "ritrovare" la mia immagine. Mi girai per affrontarlo. Entrò con una certa cautela. Il corpo teso. Mi temeva. - È rientrato. Sta tranquillo. -
Mi guardò sorpreso. - Non ho paura di te. -
Feci un sorriso amaro. - No? -
Garret andò verso il mio letto, poi ci ripensò, scostò la sedia dello scrittoio e si accomodò. - Non vorrei che Duncan venisse a sapere che ho avuto l'ardire di sedermi sul tuo letto! - Mi sorrise per cercare di alleggerire l'atmosfera tesa. Scosse la testa e per un momento i suoi occhi verdi sparirono dietro una cortina di riccioli d'oro.
- Speriamo allora che capisca... Sentirà comunque il tuo odore in questa stanza. - Mi rasserenai un attimo pensando a Duncan e alla sua gelosia. Perché non tornava ancora? Andai io a sedermi sul letto trovandomi così di fronte a lui. Dato che non si decideva a parlare, presi la parola. - Ho paura io, Garret! Paura che prima o poi non riuscirò più a tornare indietro. Mi terrorizza restare in balia di un animale. - Mi accorsi subito, dopo aver finito di parlare, di come potesse suonare offensiva per lui la conclusione della frase. - Scusa, non volevo dire... -
Mi interruppe. - Non ti scusare, non è necessario e ti capisco. Noi nasciamo con una parte animale, la capiamo e la riusciamo a gestire emotivamente. Inoltre il fatto che possiamo trasformarci anche fisicamente in quell'animale, rende tutto semplice, naturale. -
Aveva senso quello che diceva, ma il problema rimaneva. - Ho paura di perdere il controllo prima o poi, di permettere all'animale di avere il sopravvento. - Garret scosse la testa. - Non succederà. - La sua sicurezza per me risultava inspiegabile. - Come fai ad essere sicuro?- Alzò le spalle. - Fa parte di te e lo controllerai come fai con gli altri tuoi poteri. - Disse semplicemente.
La sicurezza con cui lo affermò fu come un balsamo per i miei laceranti dubbi. Non erano spariti del tutto, ma si erano acquietati. Potevo per ora metterli da parte e passare ad un'altra cosa che mi aveva turbato non poco. - Ora mi tratterete come un dio? - Chiesi, non riuscendo a nascondere il fastidio che la situazione mi provocava. Garret scoppiò a ridere. - No, come una Dea! - Alzai gli occhi al cielo sbuffando.
- Già ti trattavamo tutti, o quasi, con rispetto ed eravamo pronti a seguirti ovunque e difenderti da chiunque, ora che abbiamo scoperto che in te vive anche lo spirito del lupo, ti venereremo e nessuna femmina gelosa oserà contestare la tua autorità. -
Si alzò e mi venne vicino, mi sollevò il viso delicatamente e annuì soddisfatto. - Le ferite sul viso che ti ha fatto Sabine sono quasi sparite. Il tuo "indifeso" corpo umano ha acquisito la capacità di guarigione. Quando ti ferirai, basterà richiamare il lupo. - Andai a specchiarmi, l'immagine che lo specchio mi rimandò era la mia. La mia guancia era tornata liscia, nessuna ferita la deturpava e la mia figura era nitida. - Se ne fosse rimasta la minima traccia, Duncan l'avrebbe ammazzata. - Disse Garret, serio.
Mi girai a guardalo. - Non sarà necessario dirglielo. - Ma lui scosse la testa. - Lo saprà. Non possiamo tacere. -
- Non voglio che sia punita ulteriormente. - L'avevo già umiliata abbastanza.
Mi rivolse un sorriso sornione. - Penso che tu sia capace di "ammansire" Duncan sul punto. - Detto ciò, uscì dalla mia stanza.
Non feci in tempo a chiudermi la porta alle spalle che Black si infilò dentro . - Posso? - Non avevo più voglia di sviscerare l'argomento, ma non potevo escludere il Caduto. Mi sentivo in colpa verso di lui. Più passava il tempo e più venivano fuori poteri che di angelico non avevano niente. Un giorno forse avrebbe gettato la spugna con me e mi avrebbe lasciato. Forse. Mi guardò in quel momento con quei suoi occhi di metallo, come se volesse leggermi nel pensiero. Gli evitai lo sforzo. - Più il tempo passa e più divento "demoniaca", prima o poi ti stuferai e mi lascerai. - Qualcosa passò nei suoi occhi. Sorpresa. Allora capii, lui non mi avrebbe mai abbandonata qualunque "cosa" fossi diventata. Da dove saltasse fuori quella consapevolezza non lo sapevo, ma ne ero sicura. Prima che potesse ribattere, continuai a parlare. - Perché? Non sei un licantropo che devi seguirmi per istinto di natura. I Caduti hanno libertà di scelta. Perché hai scelto me? Perché la tua fedeltà, la tua cura la rivolgi ad un essere che per metà è tutto ciò che più disprezzi? Potrei capirlo se tu fossi mio padre, ma sappiamo che non puoi esserlo. Allora perché? -
Black era rimasto immobile. Sembrava pietrificato. Una bellissima statua senza alcuna emozione. Quando parlò la sua voce sembrava provenire da un altro tempo ed un altro luogo. - Perché sei "sua" figlia... Perché in un'altra vita ho amato tua madre e sono stato la causa della sua dannazione e della mia caduta. _
Stranamente non ci fu sorpresa, inconsciamente lo avevo sospettato. - L'amavi ma non hai combattuto per il vostro amore. - Non era una domanda la mia, ma una semplice constatazione.
- All'inizio, quando Lilith fu scelta come progenitrice del genere umano, accettai la decisione del Trono. Ero un angelo, quello della Sapienza, la saggezza dell'obbedienza era radicata in me più che in qualunque altro dei miei fratelli. Se il Trono aveva deciso così, chi ero io per contestare quella decisione?! Non feci nulla e le dissi che dovevamo rassegnarci, che per il nostro egoistico sogno d'amore non potevamo contravvenire al nostro Creatore. -
Si mosse finalmente da quella posa innaturale. Non mi sembrò più una bellissima statua, ma profondamente umano quando curvò le ampie spalle e fece un amaro sospiro prima di continuare a parlare. - Poi però capii che forse si poteva trovare una soluzione. Con Uriel e Gabriel cercammo un'alternativa. Decisi di non coinvolgere Lilith, che ormai credevo si fosse rassegnata. Non volevo darle false speranze. Fu il mio errore più grave, perché mentre io la credevo rassegnata, lei tramava con Lucifero. Alla fine Uriel, nella sua immensa generosità, si offrì al suo posto. Lei ed io chiedemmo udienza al Trono per proporre quella soluzione e mandammo Gabriel ad avvertire Lilith. Troppo tardi. La ribellione era già iniziata e mentre pieno di speranza uscivo dalla sala de Trono, Gabriel veniva massacrato e lasciato in fin di vita. E poi non ci fu più tempo per altro se non per combattere. Angelo contro angelo. Fratello contro fratello. Riuscimmo a salvare Gabriel, ma per molti altri non ci fu salvezza. - C'era un dolore profondo nella sua voce, un dolore che trasudava colpa. Dopo millenni l'angelo Raziel non era riuscito ancora a perdonarsi.
- Non è stata colpa tua... - La mia voce uscì fioca.
- Ho sbagliato tutto quello che potevo sbagliare. Tempi e scelte. L'unica cosa giusta è stata rinunciare alle mie ali. Quando Gabriel è stato costretto a strapparmele, per un attimo mi sono sentito sollevato. Ma poi ho capito che non sarebbe bastato. Non basterà mai niente, la mia colpa è eterna. -
Un groppo mi serrava la gola impedendo alle parole di fluire liberamente. - Io sono la tua espiazione? -
Alzò le spalle e mi guardò negli occhi. - No. Tu sei la parte di quell'amore che non è morta quando Lilith è diventata un demone. Io ti amo come un padre, anche se non ti ho generato. Ti amo come il frutto del mio solo ed unico amore. - Avevo gli occhi umidi di lacrime. Lui non aggiunse altro, uscendo chiuse silenziosamente la porta.
Non so quanto rimasi in quella posizione, non sentii neanche Leila, che mi trovò nella stessa posizione in cui mi aveva lasciato Black, entrare nella stanza. Mi accorsi di lei quando mi scosse dolcemente. - Emmaline, ti sei dimenticata che devi andare dalla tua amica? - Non avendo ricevuto risposta, continuò. - Garret ed io ti aspettiamo giù... -
Cate... Mi ero completamente dimenticata di lei, dovevo incontrarla per spiegarle i misteri della mia vita. Andai in bagno e mi sciacquai il viso, non avevo tempo per altro, neanche per cambiarmi; presi un giacchetto dall'armadio e mi precipitai nell'atrio dove i due lupi mi stavano aspettando.
Camminavo svelta tra Garret e Leila, che avevano insistito per accompagnarmi. Non avevo fatto storie, mi ero solo raccomandata di lasciarmi parlare da sola con lei. Volevo fortemente che Cate capisse, che mi capisse, per cui dovevo cercare di spiegarmi al meglio, senza interferenze estranee. Era una questione tra lei e me. Inoltre non potevo prevedere la sua reazione di fronte ai due licantropi, una volta svelata la loro identità.
Il ponte che attraversava la città era affollato a quell'ora nonostante il clima non fosse dei migliori: da un po' di giorni l'aria era diventata gelida e penetrava violenta tra le ossa. Passato il ponte, imboccammo la via che ci avrebbe portati a destinazione, ma un odore particolare fermò bruscamente i miei passi. Nello stesso momento Garret mi afferrò per un braccio. Ci guardammo tutti e tre allarmati, lui mi fece un impercettibile segno di assenso con la testa. - È lo stesso odore. - Sibilò. Non ebbi bisogno di sapere altro per capire di aver trovato il lupo che aveva ucciso almeno due persone. O forse sarebbe stato più corretto dire che "quel" licantropo aveva trovato noi.
Mi guardai intorno allarmata, ma la gente attorno a me non sembrava avere niente di anomalo. Non si sarebbe mai fatto avanti se Garret e Leila continuavano a starmi accanto. Dovevo farlo uscire allo scoperto. - Allontanatevi da me. - Sussurrai. I miei due accompagnatori scossero simultaneamente la testa. - Non se ne parla, è troppo pericoloso lasciarti sola. - Alitò Garret.
Lo guardai indispettita. - Non mi pare di aver avuto problemi con Sabine! - Ribattei acida.
- Lei non... - Interruppi qualunque cosa lui stesse per dirmi. - Allontanatevi in modo che non senta più il vostro odore vicino al mio, Continuate a camminare, prendete il terzo vicoletto che troverete alla vostra destra e poi tornate indietro da lì verso di me. Se abboccherà mi seguirà e lo prenderemo in trappola. - Garret fece per protestare, ma Leila gli fece degno di seguirla con gli occhi. I due finalmente si allontanarono ed io allungai il passo, dovevo avvantaggiarmi su di loro, altrimenti la trappola non avrebbe funzionato. Imboccai la strada che mi avrebbe portato dritta dalla mia amica. Non c'era nessuno in giro e rallentai il passo. L'odore di foglie bagnate e di bosco si fece più intenso alle mie spalle. Mi girai lentamente e lo vidi. Un bambino piuttosto malnutrito mi stava fissando con occhi febbrili. Gli occhi di un lupo.
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