Capitolo 23
EMMALINE
Il verde delle foglie, colpito dai raggi del sole che filtravano dall'intrico dei rami, era troppo carico. Feriva i suoi occhi e ne rallentava i sensi. Il lupo non si fermò, avanzò tra quelle foglie e quei rovi, che non gli facevano male quando ci passava attraverso, limitandosi ad una morbida carezza, che lambiva la sua folta pelliccia nera.
Un fruscio attirò la sua attenzione e gli fece assottigliare gli occhi ferini. Dalla parte opposta di quella lussureggiante foresta una pantera nera gli veniva incontro. Appartenevano a specie diverse, perciò avrebbe dovuto temerla; ed invece non vedeva l'ora di raggiungerla. Appena vennero a trovarsi uno di fronte all'altra, sentì l'altra fiera parlare nella sua testa. - Ma petite soeur ... -
- Chi sei? - Chiese il lupo. La pantera si avvicinò ancora di più, poi la sua lingua saettò a lambirgli il muso. - Non mi riconosci, sorella? - Senza preavviso il grosso felino gli si buttò addosso facendolo cadere; lo sovrastò, ma il lupo non aveva paura. Si rimise sulle quattro zampe e si lanciò sulla pantera, che si era un po' scostata dal suo corpo. Rotolarono tra le foglie. Due macchie nere fra quel verde brillante. Cominciarono a mordicchiarsi, senza farsi male. Giocarono come due cuccioli.
Alla fine il lupo disse. - Sin ... - La pantera allora gli diede un leggero colpetto sul collo con la testa. - Perché siamo in questa forma? -
- In questo modo i nostri spiriti animali entrano in contatto in questo mondo. -
- Perché sei una pantera e non un lupo come me? -
- Sono un giaguaro perché ho ereditato lo spirito animale di mio padre, Ache, e non di nostra madre, come hai fatto tu. Ma questo non è rilevante. -
Il lupo aveva un'altra domanda. - Cos'è rilevante? -
La pantera allora si alzò sulle quattro zampe e gli diede un colpetto sul fianco col muso per invitarlo a seguirla. Camminarono affiancati per un tratto della foresta, fino ad arrivare ad una conca d'acqua limpidissima, dove si dissetarono. Faceva caldo. La pantera, dopo aver bevuto, strappò con le zanne il ramoscello di un arbusto, da cui cominciarono a stillare gocce di un rosso cupo. - Questo è il nostro potere, sorella ... Perché lo rifiuti? - Sussurro nella sua mente, mentre con la lingua lambiva le gocce di sangue che cadevano dal rametto reciso. L'aria intorno a loro divenne carica di elettricità.
- Non so come usarlo. - Rispose il lupo, vergognandosi un po'. La pantera piegò il capo. - Allora dovrò insegnarti io, sorella. -
Mi svegliai con gli occhi ferini di Sin ben impressi nella mente. Mi guardai intorno, smarrita. Passai una mano sulla faccia, scostando qualche ciocca di capelli castani, che mi erano finiti in bocca. Il ricordo di quello strano sogno era ancora nitido e lo ripercorsi, esaminandolo punto per punto. Io ero il lupo e Sin il giaguaro. La foresta, che aveva fatto da scenario al nostro incontro, aveva a che fare con il mio potere di Incubo, quello che non conoscevo e non avevo idea di come usare. Sin mi aveva detto che era disposto ad insegnarmelo. Perché? Come? E, soprattutto, il sogno era solo tale, oppure si trattava di una sorta di comunicazione che avevo aperto con il demone? Avevo bisogno di risposte. Guardai l'orologio sul comodino: erano le due. Avrei dovuto aspettare la mattina. O forse no ...
Mi alzai e aprii la porta della mia camera. Guardai in fondo al corridoio, dove si trovava la biblioteca. Da sotto la porta filtrava la luce. Come avevo immaginato, Black era ancora lì. Forse lui aveva le risposte. Arrivai in fondo al corridoio e bussai alla porta. Sentii la sua voce dirmi di entrare. Non c'era sorpresa nei suoi occhi quando lo guardai. Chiuse il libro che teneva in grembo e spostò una pergamena, su cui stava appuntando qualcosa, su un ripiano che aveva alle spalle.
- Scusami se ti disturbo, ma ho fatto un sogno e vorrei sapere se puoi aiutarmi a chiarire alcuni dubbi. - Mi fece un segno di assenso con la testa. - Che tipo di sogno? - Chiese.
- Io ero in forma di lupo nero ... - Lo vidi trasalire. - Perché pensi di essere tu? -
- Le sensazioni e i pensieri ... sono i miei. - Era difficile da spiegare, ma ero sicura di essere io il lupo. Mi soppesò con lo sguardo, poi mi fece cenno di continuare. - Nel mio sogno c'era un giaguaro nero. Era Sin. - Black non era sorpreso ed io mi sentii libera di continuare il racconto. - Mi ha chiesto perché non uso il mio potere da Incubo e si è offerto di insegnarmi . - Ora il Caduto si mostrava inequivocabilmente colpito. - No! -
Ignorai il brusco rifiuto, c'era altro che volevo sapere. - Questi sogni sono solo proiezioni del mio inconscio? -
- Può darsi ... -
Cercai di mantenere la calma, era esasperante quando dovevo cavargli le risposte di bocca. - È però possibile che lui stesse comunicando con me attraverso il sogno? - Mi guardò a lungo prima di rispondermi. - I demoni puri appartenenti alla stessa specie, possono farlo. Ma, tralasciando il fatto che tu non sei un demone puro, dovresti almeno saper controllare il tuo spirito guida animale per interagire con il suo. - Mi guardò con sospetto. Io non avevo nessun idea su come controllare un qualsiasi spirito ed in verità non sapevo neanche che fosse possibile farlo. - Cos'è questa storia dello spirito guida? Spiegati! -
- Se un demone puro è abbastanza potente il suo spirito guida animale può incarnarsi in lui e agire con esso come un tutt'uno, senza trasformarsi nell'animale come invece fanno ad esempio i licantropi. Ti è per caso successo? - Ero confusa, ma allo stesso tempo sicura che non mi fosse successo niente del genere, eccetto che nei sogni. - No. Solo nei sogni accade. -
- Allora non credo che sia un canale comunicativo fra te e "quel demone". - La voce di Black stillava disprezzo al solo pensiero di Sin. Non correva buon sangue tra i due. - Perché Sin ti ha attaccato? -
- È un demone. - Disse soltanto, poi si chiuse nel suo mutismo. Capii l'antifona, lo salutai e tornai in camera mia. C'era più di una cosa che Black si ostinava a tenermi nascosta. L'antipatia reciproca tra lui e Sin era una di queste. Quando Duncan sarebbe tornato, avrei indagato.
Chissà cosa stava facendo il mio licantropo in quel momento. L'idea di non sapere niente di lui da giorni, mi stava facendo impazzire. Garret mi aveva rassicurata che, se gli fosse successo qualcosa, il branco l'avrebbe saputo; inoltre dovevo rassegnarmi al fatto che quel tipo di riunione poteva durare anche una settimana. Cercai di calmare l'ansia ripensando a quello che era successo prima di partire tra di noi. Ogni suo gesto, atto, parola s'impresse nella mia mente ed un calore sbocciò tra le mie cosce. Lo desideravo da morire. Chissà se anche per lui era lo stesso. Mi rimisi a letto e dopo essermi rigirata a lungo tra le lenzuola, presi finalmente sonno.
La mattina seguente mi portai la colazione in camera e, visto che le lezioni ed ogni altro impegno in facoltà erano stati rimandati a causa del ritrovamento del cadavere, ne approfittai per portarmi avanti con lo studio. Studiare mi aveva sempre rilassato e risollevato da qualunque pensiero molesto avessi. Per pranzo mi feci un panino e mi rigettai nello studio. Avevo intenzione di passare così anche l'intero pomeriggio, ma la telefonata di Cate rovinò i miei programmi. Con voce squillante mi comunicò che ero attesa a casa sua per le diciotto per spiegarle in cosa ero andata a cacciarmi. Neanche la serata passata in compagnia del bel lupo aveva chetato la sua curiosità. Al telefono non mi aveva detto niente in proposito e non avevo incrociato Garret quella mattina per chiedergli com'era andata la serata con la mia amica. Stavo diventando un'impicciona? Avrei comunque avuto tutti i dettagli più tardi, quando sarei andata da lei, come le avevo promesso.
Quello che veramente mi interessava però era sapere come avrebbe reagito la mia amica alle rivelazione che le avrei fatto. Ne avevo a lungo parlato con Garret e Black . Il primo sosteneva che dovevo provare a dirle la verità e sperare che non chiamasse il reparto psichiatrico per farmi ricoverare; Black, al contrario, aveva proposto di continuare a mentirle perché non si fidava del fatto che lei potesse accettare la cosa e tornare a comportarsi come prima. Se quest'ultima soluzione era quella più "sicura", quella di Garret era la più "onesta". Cate era la mia migliore amica, mi era stata vicina anche quando quasi rifuggivo i rapporti umani, le dovevo la verità. Se non l'avesse accettata, o meglio, non mi avesse accettata, me ne sarei fatta una ragione.
Erano le sedici, avevo ancora tempo per portare Acheron a fare la sua passeggiatina pomeridiana, ormai era da un po' che dei miei animali si occupava Leila e mi sentivo un po'in colpa. Presi il guinzaglio e andai a cercare il mio cagnetto, che trovai comodamente sdraiato accanto i due gatti su di una poltrona del salotto. Appena mi vide, saltò giù scodinzolando. Agganciai il guinzaglio al collare e uscii con lui, dopo aver accarezzato i gatti che continuarono a sonnecchiare. Appena misi i piedi fuori dalla villa fui colta dall'aria fredda, tipica di quel periodo dell'anno. Black adeguava il clima della nostra dimensione a quello che c'era fuori, anche se riusciva a mantenere la vegetazione ancora lussureggiante, mentre sulla Terra gli alberi erano ormai spogli.
Ripensai al sogno che avevo fatto la notte precedente e alle sue possibili implicazioni. E se davvero il sogno non era stato altro che una sorta di comunicazione con il demone? ... Con mio fratello. Fratello. Mio. Perché era difficile pensare di essere la figlia di Lilith e soprattutto la sorella di Anger, ed invece mi veniva naturale pensare a Sin come a qualcuno della mia famiglia? Sentivo di potermi fidare di lui. Quando Black mi aveva detto di no all'aiuto che mi aveva offerto per imparare ad usare il potere da Incubo, mi aveva infastidito. Il Caduto non poteva capire. Lui non sapeva cosa avevo sentito in presenza di Sin e neanche l'affinità che c'era tra di noi in quel sogno. Io inoltre avevo bisogno di conoscere quel mio potere latente, ma presente dentro di me. Non potevo ignorare quello che succedeva quando facevo sesso con Duncan. Oltre al piacere, mi invadeva qualcosa di estremamente potente. Io volevo quel potere perchè mi apparteneva.
Un rumore di passi mi fece perdere il filo di quei pensieri. Mi guardai attorno, ma in un primo momento non vidi nessuno. Ero arrivata allo spiazzo dove Garret e Leila mi allenavano nel corpo a corpo. Il posto era deserto, avevamo interrotto le lezioni da qualche giorno. L'attacco di Anger, il ferimento di Black, la mia storia con Duncan e la sua improvvisa partenza avevano destabilizzato la mia routine. Se gli allenamenti con le armi insieme a Black mi mancavano, quelli con i lupi per niente, ne uscivo sempre terribilmente malconcia. Come a dare voce ai miei pensieri una voce parlò. - Ti manca farti rompere la faccia? -
Acheron ringhiò. Se fossi stata un cane, l'avrei fatto pure io, perché detestavo la persona a cui apparteneva quella voce, ed il sentimento era reciproco. Mi girai lentamente, trovandomi davanti l'alta e atletica lupa, che rispondeva al nome di Sabine. I suoi occhi verdi saettavano intorno a me, quasi a controllare che fossi da sola. Non mi piaceva per niente trovarmi in sua compagnia. Lei si avvicinò, ignorando il bouledogue, che continuava a ringhiarle. - Che vuoi? - Le chiesi, poco cortese. Mi guardò dall'alto in basso con aria di sufficienza. - Vedere se hai fatto progressi. -
Voleva sfidarmi sul suo terreno. Avrei potuto darle una lezione usando i miei poteri, ma non sarebbe stato leale. Così come però non lo era da parte sua sfidarmi in un corpo a corpo, visto che lei era un lupo ed io un'umana. Il suo sguardo, carico di disprezzo, mi fece decidere. In fondo era stata coraggiosa a sfidarmi, rischiando che io usassi tutto il mio arsenale, contro cui lei non aveva difese, ed io non volevo essere da meno, per cui accettai la sfida. Ero orgogliosa ed anche tanto idiota! Legai un Acheron ringhiante al tronco di un albero vicino, mi tolsi la giacca e andai dentro lo spiazzo. Sabine con un sorriso mi raggiunse.
Era più forte di me sul piano fisico, dovevo affidarmi alla velocità e confidare di riuscire a limitare i danni. Attaccai dunque per prima ed il colpo sui suoi reni andò a segno perché non se lo aspettava. Ma si riprese subito e sferrò un gancio diretto allo stomaco. Scattai di lato, evitandolo per un pelo. Sentii però un bruciore sulla guancia destra e poi qualcosa colarmi sul collo. Maledetta! Aveva usato il primo colpo come diversivo e nel frattempo aveva richiamato in superficie il suo lupo colpendomi con gli artigli, che le erano appena spuntati. Mi complimentai mentalmente con me stessa per l'idiozia di aver accettato quella sfida che, ora lo sapevo, si sarebbe conclusa con il mio massacro. Leila e Garret non richiamavano mai il loro lupo quando ci allenavamo proprio per non rendere troppo impari il confronto. Sabine non aveva quella preoccupazione, infatti gongolò. - Peccato per il tuo dolce visino, temo sia rovinato per sempre. -
Prima che potesse colpirmi di nuovo, le feci lo sgambetto e lei cadde. Si rimise in piedi in fretta. Troppo. Il suo colpo questa volta andò a segno sul mio stomaco. Era stato forte e quasi smisi di respirare. Rotolai per terra per impedire che potesse colpirmi di nuovo. Si lanciò su di me, ma un attimo prima che riuscisse a schiacciarmi a terra, alzai il gomito e la colpii al naso. Sibilò. Le avevo fatto male. Il suo sangue colò sul mio viso e si mischiò a quello che usciva ancora dalla mia ferita. Veloce mi spostai dalla traiettoria del suo nuovo attacco e mi rimisi a fatica in piedi. Lei fece altrettanto. Ci fissammo con odio.
Il sangue continuava a colarmi fastidiosamente fino alla bocca, lo leccai per togliermelo e qualcosa si agitò dentro di me. Quasi senza volerlo il mio corpo si accucciò e mentre un confortante calore lo invadeva spiccai un salto verso la mia nemica, che ora mi guardava con gli occhi sbarrati. Un ringhio fece vibrare l'aria attorno a noi. Era uscito dalla mia gola. Da quando ringhiavo? Ebbi appena il tempo di pensare, poi mi gettai su di lei, facendola cadere sulla schiena. La sovrastavo. Caricai il colpo con la mano destra, ma prima di arrivare a destinazione il mio pugno si aprì e vidi sovrapporsi alle dita della mia mano dei lunghi artigli. Non sembravano reali, erano quasi trasparenti. Frenai la mano, che era quasi arrivata alla gola della lupa. Poggiai piano gli strani artigli sul suo collo e feci una leggera pressione. Strisce di sangue si formarono sulla sua gola. Erano dunque trasparenti ma efficaci come quelli di un lupo. Avrei potuto ucciderla. Volevo farlo e quel desiderio oscuro cresceva ogni secondo di più.
Lei stava immobile, uggiolava, rassegnata al suo destino. La guardai negli occhi e mi specchiai in essi. Al mio corpo era sovrapposto in trasparenza il lupo nero dei miei sogni. I nostri occhi erano rossi e pieni del desiderio di uccidere. Noi non avevamo pietà nel vederla inerme, sconfitta, lei ci aveva sfidato ed ora avrebbe pagato per quell'atto con la sua vita. Affonda gli artigli, squarcia la sua gola. Merita la morte! Mi disse la voce dentro di me. No! A fatica mi separai da quella coscienza che si era unita alla mia. La ricacciai indietro e riemersi. Ora c'ero solo io.
Sentii un brusio levarsi intorno a me. Mi voltai, con gli artigli sempre puntati alla gola di Sabine, e vidi tutto il clan McCarthy, che circondava lo spiazzo dove ci trovavamo, cadere uno ad uno in ginocchio mormorando " Wahya".
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