Capitolo 20
EMMALINE
La sua stanza mi ricordava la mia, stessi colori, stessa disposizione. Buffo, che l'unica cosa che sentissi di avere in comune con Black fosse il colore e la disposizione di uno spazio abitativo. Non ero mai entrata in quella stanza, anzi avevo sempre sospettato che lui neanche ne usasse una per dormire, perché l'unico posto in cui la mia mente riusciva a collocarlo era nella grande biblioteca in fondo al corridoio. Ed invece, eccolo sdraiato in quel letto bianco, così simile al mio, con lo sguardo lontano. Oltre. Stava guardando cieli tersi. Un tempo abitava lì. Stava percorrendo correnti ascendenti. In un'altra epoca si spostava così. Stava ascoltando una melodia dolcissima. Una volta la sua anima se ne nutriva. Ma poi qualcosa cadde sul suo sguardo, che tornò al presente; ora vedeva l'oscurità muoversi in fretta in un cielo greve che stava sbiadendo. Non c'era più alcun suono a nutrire la sua anima. Ora lui viveva qui.
Il Caduto spostò gli occhi su di me, era leggermente sorpreso, forse pensava che fossi andata via con tutti gli altri, che fino ad un momento prima si trovavano con noi nella sua stanza. Mi staccai dal canterale di frassino, identico al mio, e mi avvicinai al suo letto. - Come stai? -
Mi sorrise, quasi triste. - Quasi come nuovo. - L'angelo, Uriele, gli aveva poggiato le mani sulla ferita e questa, pian piano, si era rimarginata. C'era stata molta elettricità in quel momento nel pezzo di strada in cui ci trovavamo. Non avevo capito se fosse a causa di ciò che stava facendo l'angelo, oppure perché in quel posto c'era stata una battaglia e il potere usato aveva impregnato l'aria circostante. Intorno a noi c'erano macerie e muri sbrecciati. Avevo chiesto come mai gli abitanti della zona non fossero corsi fuori dallo loro case in preda al panico. Sembrava di trovarsi in uno scenario di guerra post bombardamento. Duncan allora mi aveva spiegato che c'era una barriera metafisica, che impediva agli umani di accorgersi di ciò che stava succedendo; quando si sarebbe dissolta, tra qualche ora, ci sarebbe stato il caos. A quel punto mi ero allarmata, non avevo voluto usare il Fuoco per evitare di ferire qualche umano, ed ora scoprivo che anche con il potere della Terra avrei messo in pericolo la gente del posto. Uriele mi aveva rassicurata dicendomi che avrebbe sistemato alla meglio la zona, in modo da non far correre pericoli ai suoi abitanti.
Poi Duncan e Leila avevano aiutato Black ad alzarsi per riportarlo a casa. L'angelo e il Caduto si erano guardati negli occhi per un istante, che era sembrato lungo un secolo. Era passato di tutto in quel loro sguardo, in una comunicazione silenziosa da cui noi altri eravamo esclusi. Non si erano detti niente a parole, neanche un saluto. Io, invece, l'avevo ringraziata per l'aiuto e lei mi aveva candidamente risposto che non l'aveva fatto per me. Non c'era ostilità in lei, ma una quieta indifferenza. No, se fosse stato ferito qualcun altro, lei non avrebbe mosso un dito. L'avevo lasciata lì e avevo seguito i due lupi che sorreggevano Black. Fortunatamente il portale era vicino.
Duncan e Leila avevano messo Black a letto e poi erano andati via. Io ero rimasta perché mi sentivo un po'in colpa. Lui lo capì proprio in quel momento. - Lo farai ancora? - Mi chiese. Avrei voluto dargli una risposta rassicurante, ma sarebbe stata una gran bella menzogna. La verità era che io avevo bisogno anche della mia vita precedente, quella che loro mi avevano più o meno tolto. - Probabilmente sì. - Non aggiunsi altro e lui non sembrò troppo deluso.
- Da quando sai usare il potere della Terra? - Il mio "piccolo segreto" era venuto a galla. Sapevo che non avrei potuto tenerlo nascosto ancora a lungo. Sospirai. - Dal giorno del mio compleanno. - Sgranò i suoi occhi di metallo fuso. - Due poteri ... - Era una gran bella notizia anche per lui constatai. Poi, quasi per scusarmi di averglielo celato, aggiunsi i dettagli, senza bisogno che lui me li chiedesse. - Al contrario del Fuoco, che scateno con la rabbia e che controllo poco ancora, la Terra riesco a richiamarla raccogliendo l'energia intorno a me. Mi è più facile controllarla, anche se mi stanco dopo un po'. - Mi sorrise. - Sei una sorpresa continua. -
Non avrei voluto subissarlo di domande, visto che si era appena ripreso da una ferita molto grave, ma non riuscivo a frenare una curiosità che mi stava divorando. La demone che mi aveva attaccata era "mia sorella" in quanto figlia anche lei di Lilith, ma il demone sexy, sexissimo, ultrasexy, che l'aveva fermata, mi aveva chiamata "petite soeur", anche lui era quindi mio "fratello"? - Il demone che ti ha ferito, chi è? -
- Sin, l'altro figlio di Lilith. -
- Ho altri fratelli o sorelle? -
- No, Lilith ha solo loro due. - Mi ripose a disagio. - Non sono propriamente tuoi fratelli ... Avete la stessa discendenza ... Non devi pensare ad un legame come quello che esiste fra gli umani. - Era agitato all'idea che potessi vedere quei demoni come membri della mia famiglia. Avevo capito che non erano dei veri e propri "parenti", ma mi faceva un certo effetto pensare di avere qualcosa in comune con loro. Forse perché io una famiglia vera e propria non l'avevo mai avuta. In realtà, la demone bionda ed eterea non mi aveva per niente colpita, anzi speravo di non rivederla più, da lei mi erano arrivate solo sensazioni negative, per non parlare delle ferite che mi aveva inferto. Avevo le braccia piene di tagli che bruciavano. Avrei dovuto almeno disinfettarle. Scacciai quella futile preoccupazione, ci avrei pensato dopo. Il demone invece ... Tutta un'altra storia. Vicino . Lo avevo sentito così vicino. Avevo avuto l'inspiegabile desiderio di andare da lui, di lasciarmi "accogliere". Lui mi avrebbe accolta, ne ero sicura. Mi era sembrato che per me fosse un porto. Una casa. Lo trovavo avvenente, anche troppo, a dirla tutta, ma c'era "qualcos'altro"che ci univa. Black si accorse della mia inquietitudine. - Cosa ti turba?-
Gli dovevo la verità. - Ho sentito "qualcosa" per lui ... Un legame. -
Il Caduto strinse i denti prima di rispondermi. - Sin è come te, un Incubo sessuale. - Ottimo! Avevamo in comune quel mio potere sconosciuto, che mi spaventava un po'. - Anger è molto simile a Lucifero, anche se non ha il suo potere e, soprattutto, la sua intelligenza; ma Sin è il degno figlio di sua madre ... - Avevo come l'impressione che volesse aggiungere qualcosa, ma si fermò. Non insistetti, sapevo che con lui non avrebbe funzionato. Inoltre lo vedevo molto provato. Era giunto il momento di ritirami e lasciarlo in pace. - Riposati ora. - Gli dissi mentre andavo verso la porta. Lui mi ripose appena prima che me la richiudessi alle spalle. - La tua famiglia siamo noi, Emmaline. -
Chiusi gli occhi e mi maledissi perché gli avevo mostrato la mia debolezza verso quel demone. Accidenti a me! Io stavo bene lì, nonostante le limitazioni a cui dovevo sottostare e il comportamento ambiguo di Duncan. Ero riconoscente a tutti loro per avermi trovata, accolta, protetta. Ma c'era una parte di me che loro non avrebbero mai capito, perché neanche io ci riuscivo; sapevo però che c'era ed io avevo bisogno di conoscerla, di conoscermi. Scossi la testa e andai in camera mia.
Spinsi la porta e non mi sorpresi troppo di trovare Duncan appoggiato al mio canterale, il gemello di quello nella stanza da cui provenivo, nella stessa posa in cui poco prima ero stata io, mentre parlavo con Black. Il suo viso e il suo corpo si stagliavano nel buio appena sfumato della stanza. Solo i suoi occhi facevano luce. Troppo brillanti in quella oscurità. Senza dire una parola, andai ad accendere la lampada vicino al letto. Lui non fiatò, seguì ogni mia mossa con un'attenzione quasi dolorosa. Poi si decise a rompere il silenzio. - Non sei andata da Sierra a farti medicare ... Sanguini ancora ... - C'era rabbia nella sua voce ed anche una punta di stanchezza.
Senza rispondergli andai in bagno, accesi la luce e tirai fuori da un cassetto dell'acqua ossigenata e del cotone. Il bruciore delle ferite divenne più intenso quando ci passai sopra la medicazione improvvisata, ma era niente rispetto al dolore fisico che mi provocava avere Duncan a due passi da me e non poterlo toccare, accarezzare, baciare, amare. Tutti verbi in are, constatai. Lui non era solo il mio Lykaon ... Era soprattutto il mio desiderio doloroso. Stava lì, immobile, le braccia incrociate, il corpo pigramente appoggiato al canterale, quel suo sguardo ambrato che non si staccava da me. Ci guardavamo attraverso lo specchio sopra il lavabo. Uno specchio e il suo riflesso. Capelli, occhi, labbra, petto, braccia ... Cosce. Più lo guardavo e più sentivo dolore alla bocca dello stomaco. Abbassai gli occhi sulle ferite e finii di medicarmi. Avevo voglia di una doccia fredda, ma lui era ancora nella stessa posizione e non sembrava volersi muovere. Feci un respiro profondo e andai verso di lui. Ancora non parlava. Toccava dunque a me farlo, ma la mia gola era piena di sale e faticai a far uscire le parole. - Ho medicato le ferite ... Puoi andare. -
Fu allora che scattò in modo così repentino che non avrei potuto sfuggirgli, anche se lo avessi voluto. Mi afferrò per le braccia ferite, non c'era nel suo gesto alcuna dolcezza, solo crudo desiderio. Era molto più alto di me, perciò mi sollevò verso di lui chinandosi contemporaneamente per incontrare le mie labbra. Le morse leggermente per spingermi a schiuderle e accoglierlo. Labbra. Denti. Bocche. Un intreccio che sembrava impossibile da sciogliere. Avrei dovuto frenarlo e appellarmi alla mia dignità, al mio orgoglio ferito. Avrei dovuto, ma non lo feci. Ero stanca di combattere con lui e con il desiderio che provavo. Domani sarebbero riiniziati i comportamenti scostanti, la finta indifferenza, la gelosia. Domani. Oggi no. Oggi potevo abbandonarmi e non pensare. Per pensare ci sarebbe stato domani.
Tuffai le mie dita in quelle sue ciocche di miele dorato e le tirai per spingerlo ad approfondire il bacio e farlo aderire maggiormente al mio corpo. Lo sentii gioire per quel muto invito. Mi afferrò sotto le natiche portandomi verso il letto e mi depose sopra di esso con un certo riguardo. Staccò leggermente la sua bocca dalla mia per passare ad assaggiare il mio collo. Mi sentii gemere. Lui si fermò un attimo. - Ti avevo promesso che la prossima volta avremmo fatto con più calma ... Non so se ci riuscirò, ma voglio provarci. - La sua voce roca andò a colpire ogni mia terminazione nervosa. Non trovai niente da rispondergli, perché non mi importava poi molto se avesse fatto con calma o meno. Non volevo smettere di baciarlo, ma fui costretta a farlo quando cominciò a spogliarmi, o per essere più precisi, a strapparmi i vestiti di dosso. Mi tolse tutto con le mani e i denti finché non rimasi completamente nuda sotto il suo sguardo. Lui invece era ancora vestito e questo mi indispettì. Volevo sentire la sua pelle nuda contro la mia. Poi ogni pensiero e fastidio scomparve quando ricominciò a baciarmi, dalla bocca passò alla guancia, al collo, dove si fermò un po' più a lungo. Scese verso i seni, a cui dedicò un'attenzione certosina, fino a che i miei capezzoli non diventarono dolorosamente sensibili. Sentii la sua bocca passare allo sterno e poi all'ombelico. Trattenni il fiato quando giunse sul mio inguine, ma lui non vi indugiò molto, ricominciando a percorrere quella strada, che era il mio corpo, lungo la coscia,fino ai polpacci per poi passare all'altra gamba in un percorso inverso.
Quando dalla coscia ritornò all'inguine, non potei trattenermi dall'implorarlo. - Ti prego ... - Singhiozzai. Ed allora lui mi accontentò, infilando finalmente la lingua tra le mie cosce. Leccava e mordeva leggermente il fulcro della mia femminilità, portandomi lentamente verso un'agonia di piacere. Cominciai a tremare e mi inarcai con un grido quando il primo orgasmo mi colpì; ma non mi bastava, afferrai la sua testa con le mani spingendolo con decisione ad affondare più in profondità dentro di me. Ancora e ancora. Il secondo orgasmo arrivò veloce e potente. Gli tirai leggermente i capelli per farlo staccare, avevo voglia di sentire il mio sapore nella sua bocca. Lui capì subito e mi accontentò ancora una volta cercando e trovando le mie labbra. Scoprii che non avevo assaggiato niente di più buono del mio piacere sulle sue labbra.
Mentre continuavo a baciarlo, scesi con la mano ad accarezzare la sua erezione, che smaniava per essere liberata. Con un gemito si costrinse a staccarsi leggermente dal mio bacino per abbassarsi i pantaloni. Come al solito, sotto i jeans non portava niente e lo sentii bruciare quando si sfregò contro la mia intimità. Lo accarezzai prendendolo in mano mentre Duncan si liberava, strappandola, della sua camicia. Ansimava dentro la mia bocca per le mie carezze. Mi afferrò sotto le cosce per spalancarle ancora di più, poi mi penetrò con un unico colpo. Per quanto fossi eccitata e bagnata lo sentii squarciarmi. Sarei sempre stata troppo stretta per lui. Ma quel dolore misto a piacere mi fece perdere completamente la testa. Mi bastarono un altro paio di spinte energiche e raggiunsi un altro orgasmo. Lui allora cominciò a controllarsi, i colpi diventarono più lenti, ma sempre più profondi. Si staccò dalla mia bocca solo per attaccarsi al mio seno, suggendo e mordendo i capezzoli.
Il mio piacere ricominciò a montare e un'ondata di energia invase il mio corpo. Qualcosa dal mio profondo cercò di uscire fuori; non fui in grado di trattenerlo e, per alcuni istanti, tutta la stanza fu illuminata da uno strano lucore, che sembrava provenire dal mio corpo stesso. In quel momento Duncan si girò portandomi sopra di lui, voleva che fossi io a decidere il nostro ritmo. Lo feci, ondeggiando su di lui, cavalcandolo a lungo e senza fretta finché con i miei occhi scuri legati ai suoi d'ambra sentii i miei singhiozzi infiniti, i suoi sospiri nell'ombra, i nostri echi senza ritorno, il nostro idioma primordiale, il mio corpo tremare insieme al suo.
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