Capitolo 2
EMMALINE
La mattinata era stata pessima e il pomeriggio inquietante. Avevo avuto la sensazione di essere spiata. Paranoica. Per non parlare del fatto che avevo accettato quello stupido invito. Me ne ero pentita subito. Ma la cosa che più mi aveva turbata era stato l'attimo in cui avevo incrociato quei due occhi ambrati. Ferini. Sicuramente era stato frutto della mia fantasia. Non bastavano i sogni che da qualche settimana mi tormentavano, ora vedevo "cose".
Il mio sguardo venne attratto dal PC. C'era una mail. Il cuore cominciò ad accellerare il suo ritmo. Era lui. Non avevo dubbi. La notte precedente gli avevo inviato dei versi ed avevo aspettato. Invano. Aprii la mail. Allora sei la luna!
Il primo sorriso della giornata. Merito suo. Era da un po' che quei messaggi andavano avanti. Non riuscivo a spiegarmi il perchè avessi fatto entrare nella mia vita un emerito sconosciuto. Non sapevo niente di lui. Ci scambiavamo versi e questo mi faceva stare bene.
In vent'anni nessuno aveva attirato così il mio interesse. Non mi interessavano in genere i ragazzi, né le ragazze. Nella mia vita c'erano solo gli animali di cui mi circondavo, un paio d'amici e i miei studi. Nient'altro. Era difficile che facessi entrare qualcuno nella piccola bolla che mi ero creata. Avevo vissuto fino a nove anni in un istituto, poi ero stata adottata. Avrei dovuto sentirmi sollevata da quella sensazione di solitudine che mi accompagnava fin dalla nascita, ma non era stato così. Bruna ed Aldo, i miei genitori adottivi, erano state due persone distratte. Anaffettive. Mi avevano scelta perchè ero tranquilla, studiosa, carina. Me l'aveva gettato in faccia la madre di Bruna dopo l'incidente in cui lei ed il marito avevano perso la vita. La signora aveva chiarito che dalla loro famiglia avrei avuto solo i soldi, nient'altro. Ero tornata ad essere l'orfana che nessuno voleva.
Avevo passato un'infanzia ed un'adolescenza sterili. Anche con i coetanei non andava meglio. Per loro ero quella privilegiata, a cui la vita aveva riservato un gran colpo di fortuna. Ogni rapporto che intrattenevo mi sembrava sempre troppo superficiale. Volevo altro. Sentire. E non sentivo niente. Era affamata e non riuscivo a saziarmi. A diciotto anni avevo lasciato la grande casa ereditata da Bruna ed Aldo e mi ero trasferita in un appartamentino nel centro storico. Ed eccomi, studentessa universitaria con un cane e due gatti al seguito. Brillante, ma asociale. La mia condizione non mi pesava troppo. Navigavo in un mare placido.
Poi era arrivato il mio amico virtuale e un fremito aveva percorso la mia vita. Non era sano. Non mi importava. Volevo vivere. Ed anche un surrogato di vita mi andava bene.
Acheron, il mio cane, mi osservava assorto dalla porta di camera. - Vieni. - Mi accucciai per prenderlo in braccio e, grattandolo diero l'orecchio, mi sedetti sulla sedia della scrivania. Me lo sistemai in grembo e risposi al mio misterioso"angelo buono". A volte penso che naufragare non mi è consentito perchè non so nuotare. Ma tu sei specchio, eco fatta carne, che mi riflette i pensieri. Ed in te a volte vedo il mio abito cambiare colore. Inviai. Il tempo passava lento. Poi ecco il suo messaggio di risposta. Nello specchio della Strega! Tu nel mio mondo.
Io nel mondo di qualcuno?! Non riuscivo a gestirli ancora bene i germi di questi sentimenti per me nuovissimi.
Lo squillo del telefono mi riportò alla realtà. - Emma! Quando avevi intenzione di dirmi che saresti venuta alla festa di Sergio con Claudio? Avere a che fare con te è come avere a che fare con i servizi segreti! -
Avrei dovuto sorbirmi tutta quella tiritera. Ora avrebbe infierito contro la mia natura da eremita e mi avrebbe predetto che sarei finita come quelle vecchie zitelle circondate da una miriade di gatti. Dimenticava sempre il cane. E la cosa un po' mi offendeva. Dimenticarsi di uno dei miei cuccioli, era come dimenticarsi di un pezzo della mia famiglia, l'unica che avessi avuto.
- Quando Claudio me lo ha detto, stentavo a crederci. Finalmente esci con qualcuno! Ormai non ci contavo più. Mi ero rassegnata al fatto che saresti finita vecchia e circondata da gatti! Non parli? -
- Ascolto, Cate. -
- Sai almeno cosa metterti? -
- Mi vesto da sola da quando avevo cinque anni. -
Sentii sbuffare dall'altra parte del telefono. - Ci vediamo dopo allora. - Riagganciò.
Povera Cate, la maggior parte delle volte la trattavo male, ma continuava a restare mia amica. Non mi andava che stesse sempre a sottolineare la mia poca socialità. A me quella vita andava bene. Più o meno.
Mi alzai poggiando Acheon a terra. Il cane si accucciò, ma continuò a seguire ogni mia mossa. La porta di camera cigolò e Phebe, uno dei miei due gatti, entrò nella stanza e venne a strusciarsi sulle mie gambe. Mi chinai per accarezzarla. Mi fece le fusa offrendomi la gola. Mi alzai e aprii l'armadio. Lo sguardo si appuntò su un vestito nero a tubino nascosto sul fondo. Cate avrebbe approvato la scelta. Due approvazioni della mia amica in una sola giornata avevano del miracoloso. Il vestito, constatai guardandomi allo specchio sul canterale, mi stava bene. Non ero entusiasta di andare a quella festa, ma dato che avevo accettato, tanto valeva andarci al meglio delle mie possibilità. Scovai delle scarpe con dei tacchi vertiginosi. Non ricordavo neanche di averle. Rassegnata, le infilai.
Diedi un'ultima occhiata al PC, niente. Lui era sparito. Fui tentata di restare ad aspettere il suo messaggio. Sfigata!
Il citofono gracchiò. Era arrivato Claudio. Sospirai. Acheron mi raggiunse. -Torno presto, tranquillo. - Una grattatina sotto il collo tarchiato non consolò il bouledogue francese. Sembrava agitato. Strano, non si comportava mai così. Aprii la porta e uscii chiudendomela velocemente alle spalle. Sentivo Acheron fermo dall'altra parte. Scossi la testa e scesi le scale.
Claudio mi aspettava. Era un bel ragazzo. Castano, atletico, occhi verde bosco. Ma non mi attraeva per niente, anzi qualcosa nel suo viso mi disturbava. Forse la bocca troppo piccola e carnosa. Mi stava guardando avidamente. - Sei bellissima! - Mi prese per un braccio e mi scortò verso la sua auto. Aprendomi lo sportello si soffermò più del dovuto a carezzarmi la schiena. Il contatto, anche se mediato dai vestiti, mi diede fastidio.
All' improvviso un odore fortissimo mi invase le narici. Arance mature. Troppo. Mi guardai intorno nell'abitacolo. Niente. Quell'odore proveniva proprio da lui, che stava tentando di dirmi qualcosa. Assentii distratta. Il tragitto per fortuna fu breve. Parcheggiò l'auto e mi aprì lo sportello scortandomi verso l'entrata della villetta di Sergio.
Dentro era affollato. Perfetto! Proprio quello che desideravo: una folla vociante sarebbe stata una panacea per quel fastidioso mal di testa, con tutta probabilità procuratomi dal "particolare profumo" del mio accompagnatore. Vidi Cate venirmi incontro raggiante. Cioccolato?! No, non proprio. Era qualcosa di più grezzo. Cacao. Ma cosa succedeva?! Perché all'improvviso il mio olfatto era diventato così sensibile? E cos'era quella girandola di odori?
- Sei proprio figa, fattelo dire. - Cate mi abbracciò. Poi si rivolse a Claudio. - Meriti una ricompensa per averla fatta uscire di casa. -
L'accompagnatore di Cate si avvicinò a noi. Questo era decisamente cioccolato. Ma l'odore era più flebile degli altri due, come se non fosse indirizzato a me. Arrivò tutto il loro gruppo di amici e altri odori si unirono. La testa mi stava scoppiando. Ancora arance, aspre e mature, menta, limone, pepe. Pepe?! Gli altri erano tutti impegnati a chiacchierare. Con un flebile scusatemi, mi allontanai verso i bagni.
Entrai. Appoggiai le mani sul lavandino e mi guardai allo specchio. I miei occhi brillavano. Onice scintillante. Era normale?! Non avevo toccato ancora niente alla festa. Non potevo essere ubriaca. O drogata. E allora, cosa mi succedeva?! Per lo meno lì dentro gli odori non mi perseguitavano.
La porta si aprì di scatto. Claudio entrò con un sorriso a trentadue denti. - Ti sei già nascosta? Le cose belle devono stare alla vista di tutti per essere ammirate. -
Idiota! Quel suo odore di arance mature cominciò a nausearmi. - Le "cose"? - Feci per andare via. Lui mi afferrò per un braccio spingendomi contro il muro. Idiota. Cercò di baciarmi. Mi scansai. Poi, come se il mio corpo non mi rispondesse più, alzai il gomito e lo colpii sulla faccia. Allo stesso tempo il mio ginocchio picchiò sul suo inguine. Lui urlò piegandosi in due. L'odore di arance marce non c'era più, al suo posto un odore di pepe. Aprii la porta e uscii lasciandolo a leccarsi le ferite.
Mi accorsi che il mio vestito si era strappato sotto l'ascella destra. Era ora di tornarmene a casa. La serata era stata fallimentare sotto più punti di vista. La mia voglia di mondanità era finita. Uscii di soppiatto dalla villa, volevo evitare di imbattermi in Cate o in qualche altro conoscente.
L'aria era fredda. M'incamminai verso casa. Gli alberi del viale offrivano uno spettacolo magnifico. Tutti i colori autunnali, i gialli, i rossi, i ruggine, si riversavano sulle foglie riempiendomi lo sguardo. L' aria era umida. I tacchi risuonavano sul lastricato e il fiume scorreva lento e placido.
Mi guardai intorno. Non c'era anima viva, ma avevo la sensazione di essere seguita. Non pensavo che Claudio si fosse messo sulle mie tracce. Probabilmente l'idiota stava tentando di rimediare la serata. Sempre che non gli avessi fatto troppo male. Quasi non riuscivo a credere di averlo messo KO. Non avevo mai seguito alcun corso di autodifesa, eppure il mio corpo sapeva esattamente cosa fare. Forse avevo esagerato. No. Lui se l'era meritato. Nessuno lo aveva autorizzato a mettermi le mani addosso, né tanto meno a baciarmi. Non avevo mai baciato nessun uomo. Sapevo però farlo, me lo aveva detto Cate. Lei l'avevo baciata più volte, per gioco o per scoraggiare baldi ragazzotti che ci baccagliavano le rare volte che uscivano insieme. Era piacevole baciare Cate, ma non sentivo nessun trasporto. Se pensavo a qualcuno da cui voler essere baciata, quello era il mio corrispondente misterioso. Dovevo ammetterlo, avevo una specie di ossessione per quello sconosciuto. Un giorno mi sarei fatta coraggio e gli avrei chiesto di incontrarci. Era tempo di vivere ... di vita!
Era arrivata ad una biforcazione: potevo continuare a percorrere il viale, ma avrei impiegato più tempo, oppure passare da una scorciatoia e arrivare subito a casa. Il vantaggio di ritrovarsi prima a casa era vanificato però dalla sterpaglia attraverso cui sarei dovuta passare. Per non parlare del fatto che quel viottolo era tristemente famoso per i personaggi poco raccomandabili che vi si aggiravano. Avevo troppa fretta di ritornare a casa per farmi spaventare. Optai quindi per la scorciatoia. Con passo deciso mi inoltrai nel cunicolo.
Avevo appena fatto qualche passo, quando sentii una risata sguaiata alle mie spalle. - Ma guarda che bel bocconcino ci siamo ritrovati tra le mani, Elias. - Mi girai. Prima ancora di vederli, mi arrivò il loro odore. Arance marce. Nauseante. Erano due ragazzi sulla trentina dall'aspetto losco. In testa mi balenò a caratteri cubitali la scritta PERICOLO. Questa volta non potevo sperare in un colpo di fortuna come con Claudio. Erano due. Non sarei riuscita a scappare, né i tacchi, né l'opzione piedi nudi me lo avrebbero consentito.
I mie occhi furono attratti da uno scintillio alla cintola di quello che era stato in silenzio. Acciaio. Un coltello. Quel luccichio mi attraeva. Avevo un'ottima preparazione da schermidore, frutto di anni di allenamento; ma quello era un coltello, non un fioretto.
L'istinto ancora una volta prese il sopravvento. Mentre i due si stavano avvicinando sempre di più, andai loro incontro. - Non stavo cercando compagnia, ma potrei farmela piacere. - Sorrisi con malizia. E da quando sapevo fare la smorfiosa?! I due parvero abboccare e mi circondarono. L'odore di arance marce mi sopraffece per un attimo. Quello con il coltello mi premette addosso la sua erezione. Lo cinsi con le braccia e feci scorrere le mani lungo il suo corpo. Sentivo l'altro dietro di me che mi stava tirando su il vestito. Ora o mai più! Diedi slancio al ginocchio e colpii violentemente il chiacchierone. Afferrai il coltello alla cintola dell'altro. Scattai di lato e mi ritrovai dietro di lui puntandogli il coltello alla gola. L'altro era caduto a terra, probabilmente più per la sorpresa dell'attacco che per la violenza del calcio.
- Però, chi l'avrebbe mai detto, la gattina ha le unghie! -
Sempre tenendo puntato il coltello alla gola del tizio, mi girai verso quella nuova voce. Occhi color ambra. Non sembravano umani. Quegli occhi però li avevo già visti. Erano quelli che per un attimo avevo "immaginato" quel pomeriggio portando Acheron a spasso. Quei pensieri mi distrassero e non mi accorsi che l'uomo caduto a terra si era alzato ed ora si trovava a un passo da me.
- Non ci provare, stronzo! - Occhi gialli sorrise nel dirlo. Un sorriso inquietante. In un attimo fu sull'uomo. Le mani gli artigliarono il petto e lo dilaniarono. Odore di sangue impregnò l'aria. L'uomo a cui puntavo il coltello alla gola ebbe un singulto. Due forti braccia lo allontanarono da me. Uno spruzzo di sangue mi investì. Guardai il suo corpo che, un attimo dopo, giaceva a terra con la gola squarciata. Il sangue scorreva imbevendo il terreno circostante.
Avrei dovuto essere terrorizzata, urlare, svenire, ma tutto ciò che riuscivo a fare era fissare l'uomo che aveva compiuto quel massacro. Era alto, imponente. Sembrava scolpito nella pietra. Era vestito tutto di nero. A dargli luce una chioma biondo miele, che incorniciava un volto bello ma feroce, e gli occhi... Ambra pura.
Mi sorrise in modo crudele. - Milady, per servirti! - E, chinandosi in una sorta di inchino beffardo, indicò il massacro ai miei piedi.
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