Capitolo 15
EMMALINE
Il lupo nero vagava in una terra brulla. Sperso. Non c'era nulla intorno a lui ad indicargli una direzione, una meta, un sentiero. Alzò gli occhi ferini al cielo, ma non c'erano stelle con cui orientarsi, solo stracci di nubi gonfie di pioggia. La solitudine era una cappa opprimente. Nessuno della sua specie abitava quella terra.
Spinse lo sguardo più lontano e li vide. Orde di topi affamate si stavano riversando fuori dalle profondità della terra. Fameliche, si avvicinavano. Guardò in alto e si accorse che qualcosa di immondo cominciava a cadere dal cielo, come grossi chicchi di grandine melmosa. Denti aguzzi penetrarono attraverso lo strato di pelliccia, affondando nella sua carne. Il dolore cominciò a cantare nel suo corpo.
Al di là delle orde di topi, una fiera color della notte calpestava tutto ciò che trovava sulla sua strada. Il felino dal pelo lucente era ormai vicino e si preparò al peggio. Ma l'animale non lo attaccò, solo un pensiero gli sussurrò nella mente. - Sorella, non avere timore ... - Il lupo si riscosse, cominciò a fendere anche lui il tappeto di topi brulicanti per andare incontro alla pantera.
Era quasi giunto a toccarla quando un ruggito lacerò l'aria. Un leone si frappose tra di loro. - Non lasciarti tentare dalla bellezza del demonio. - Gli disse feroce. Poi le due fiere si lanciarono una contro l'altra. Il lupo li guardò sbranarsi a vicenda; ma un attimo prima che il leone squarciasse la gola della pantera, dal cielo calò con rumore stridente un drago. Dapprima gli apparve lucente, scaglie verde-oro abbaglianti, ma mentre si avvicinava, notò che le squame da cui era ricoperto il suo corpo si stavano decomponendo. Un odore di zolfo si spandeva nell'aria, impedendogli di respirare. Prima che potesse fare qualunque cosa, il drago si avventò sui due felini. Gli occhi della pantera si chiusero guardandolo e qualcosa nel petto del lupo si spezzò. Si accorse appena del rantolo del leone. Il suo ultimo sguardo lo aveva rivolto al cielo.
Il drago ora era pronto ad occuparsi anche di lui, ma un fulmine dal cielo lo distrasse. Guardò la pantera con rimpianto. - Peccato, ma non è mai stato particolarmente obbediente! E tu, saprai obbedire? -
Tutto taceva, anche il pensiero. Poi quello strano silenzio fu interrotto dalla pioggia, che si mischiava al sangue appena versato. Nutriva quella terra la linfa vitale mischiata di topi e pipistrelli, di una pantera, di un leone e di un lupo. Anche lui infatti sanguinava. Uno strano languore gli aveva invaso le membra. Reagire? Perché? Non c'era più niente. Solo. Sangue. Nuvole. Pioggia.
- Vieni con me. - Sussurrò nella sua testa il drago che stava marcendo. - Mi darai nuova linfa. -
Tra il rumore della pioggia battente e i sussurri suadenti del drago, il lupo sentì un battito d'ali. Alzò la testa e vide un rapace: un'aquila, che scendeva in picchiata verso di lui. - Vola - Gli ordinò. - Tu puoi volare ... -
Mi svegliai madida di sudore. Guardandomi intorno spaesata, scoprii che ero nella mia stanza. Era stato solo l'ennesimo brutto sogno. Guardai l'orologio sul comodino: le cinque. Avevo sete. Buttai le gambe giù dal letto in cerca di una bottiglia d'acqua, ma mi accorsi che le avevo finite. Mi rassegnai a scendere in cucina. La casa era immersa nel silenzio. Black probabilmente dormiva. Di solito trascorreva parte della notte in biblioteca; mi ero un po' sorpresa di non trovare anche il suo letto tra tutti quei libri. A quanto pareva anche il Caduto aveva una vera e propria camera da letto in quella villa. Se poi ci dormisse, non era dato sapere. Ma chi ero io per criticare il modo di trascorrere le notti di qualcuno!
Dal mio compleanno erano trascorsi una decina di giorni. Dopo "essermi meritata" ben due tatuaggi, che ora adornavano la mia persona, tutto era tornato alla "normalità". Avevo ripreso la mia vita universitaria e quindi rivisto Cate, che mi aveva bombardato di domande, a cui avevo dovuto più o meno dare risposte. Me l'ero cavata raccontandole l'improbabile storiella di essere andata a vivere per un po' dai miei nonni, che avevano voluto riprendere i rapporti dopo ben due anni. Come no!? Lei ci aveva creduto. Quando invece mi aveva chiesto di Duncan, non avevo dovuto inventare niente; le avevo detto la verità, tralasciando naturalmente tutta la parte sovrannaturale. Dopo aver passato una notte di fuoco, lui era sparito. Lei allora aveva cominciato ad inveire contro l'universo maschile e certi suoi rappresentanti e offerto una spalla su cui piangere. Ma io non ero riuscita a versare neanche una lacrima. Il dolore sordo che sentivo, non riusciva a sgorgare. Rimaneva muto e aggrovigliato dentro di me.
Il giorno dopo il mio compleanno, non vedendolo, avevo provato a cercarlo; ma Garret mi aveva comunicato che era impegnato e che si sarebbe occupato lui dei miei allenamenti. Non convinta, mi ero inoltrata nel bosco e l'avevo trovato che "conversava" con Sabine. Una "conversazione" fatta di mani e lingue. Avrei voluto fuggire lontano, ma lui mi aveva visto e, con tono infastidito, mi aveva comunicato che se avevo bisogno di qualcosa, c'era Garret a cui rivolgersi perché lui aveva da fare. Ero riuscita, non so come, ad assentire e tornare alla villa in uno stato di trance.
Avevo ripreso così la frequenza della facoltà, gli allenamenti con Black e incominciato quelli con Garret. Era stata dura perché il corpo a corpo non faceva per me, visto anche il fisico delicato che mi ritrovavo. Nonostante Garret ci andasse piano, ne uscivo sempre con le ossa rotte e lividi più o meno diffusi sul corpo. Ma non mi lamentavo, il dolore fisico mi dava un momentaneo sollievo.
Sia Black che Leila avevano cercato di parlarmi, ma io avevo ostinatamente glissato. Non volevo sprecare parole. Volevo dimenticare, sperando che il vuoto che sentivo dentro, si sarebbe riempito prima o poi. Le immagini e le sensazioni di quell'unica notte mi assalivano di continuo, per quanto mi sforzassi di reprimerle. Convivevo con un dolore sordo all'altezza del cuore e manciate di sale nella gola. Era questione di tempo, mi diceva Cate, poi sarebbe passato. Ed io tentavo disperatamente di crederle.
Presi una bottiglietta dalla dispensa e tornai al piano di sopra. Una luce fioca trapelava da sotto la porta della biblioteca; mi avvicinai e, accorgendomi che era solo accostata, entrai. Black era seduto su di una grossa e, a mio parere, scomoda sedia di legno intagliata con un tomo dalla copertina usurata in mano. Alzò gli occhi dal libro e mi sorrise. Mi andai a sedere sul divanetto di fronte. Era bellissimo, specie quando sorrideva come in quel momento. I capelli castano mogano scendevano morbidi fino alla mandibola; gli occhi grandi e grigi screziati d'argento illuminavano i tratti del suo viso perfetti ed armoniosi. - Gli angeli sono tutti così belli? - Gli domandai in un sussurro. La sua era una bellezza che metteva in soggezione.
Qualcosa passò nei suoi occhi. Rimpianto forse. - Non lo sono più. -
- Perché? - Non avevo saputo frenarmi, nonostante sapessi che la mia non era una domanda delicata e che non avrei avuto risposta. - Perché non hai fatto una scelta? O meglio, perché non hai fatto "la" scelta? - Di una cosa ero certa, lui non era stato neanche tentato dal passare dall'altra parte. E allora perché ...
- Espiazione ... - La sua voce intrisa di tristezza mi sorprese. Mi aveva dato una risposta. Ci guardammo per lunghi momenti, poi distolsi lo sguardo perché il suo era diventato carico di troppo dolore.
***
La mattina in facoltà trascorse veloce tra una lezione e due chiacchiere con Cate. Alle 13.35 avevo finito, così m'incamminai verso casa. Casa. Ero riuscita a trovare la mia casa finalmente, ma in un'altra dimensione! Attraversai il ponte e imboccai il vicoletto che mi avrebbe portato direttamente al muro dove si trovava il portale. Mi bloccai. C'era qualcosa che non andava. Un odore ferroso m'intasava le narici. Sangue. Mi guardai intorno. Un vecchio portone socchiuso attirò la mia attenzione. L'odore veniva da lì. Mi avvicinai cauta. Sospinsi con il piede il portone e l'odore si fece più forte. Era buio, accesi il cellulare. E lo vidi. Un mucchio di stracci era accatastato nel sottoscala. Mi feci più vicina. Un corpo straziato giaceva lì sotto. Non sapevo che fare. L'odore del sangue non mi faceva respirare. Mi feci coraggio e mi abbassai per guardare meglio, uno squarcio alla gola spiccava osceno su quel corpo abbandonato. Mi ritrassi e fuggii via. Non controllai neanche se ci fosse qualcuno nei paraggi ed entrai nel portale, precipitandomi verso la villa.
Trovai Black in soggiorno. Un raggio di sole illuminava il suo viso sereno. Appena però vide la mia espressione, si alzò e mi venne incontro. - Sei sconvolta. - Mi appoggiò entrambe le mani sulle braccia, poi mi strinse a sé. Mi calmai all'istante e gli raccontai la mia macabra scoperta. - La ferita era uguale a quella che Duncan aveva inferto ad uno dei due uomini che avevano tentato di aggredirmi la prima volata che l'ho incontrato. -
- Potrebbe essere stato un animale. -
Scossi la testa. - In città un animale in grado di procurare quel tipo di ferita? No ... -
- Non ci sono branchi qui, oltre a quello dei McCarthy. -
Mille dubbi mi martellavano in testa, ma sapevo che dovevo aspettare per avere risposte. Non potevamo andare lì in pieno giorno ad indagare, era già stato un miracolo che qualcuni non mi avesse visto. Guardai Black. - Stanotte sapremo. - Mi disse greve.
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