XXXV ~Lato nascosto~
Gabriel a quella mia risposta non aggiunse altro, si limitò a passarsi una mano tra i capelli e a scostarsi verso destra, in modo che io potessi uscire. Dopo essermi totalmente ripresa sia dallo stato confusionario dovuto alla strana voce che alla conversazione con il lupo, ritornai con un finto sorriso al tavolo e notai una strana e sorridente espressione da parte dei due piccioncini.
Il bipolarismo di Gabriel si azionò magicamente e tutta la calma e la preoccupazione che aveva mostrato pochi minuti prima nel bagno, scomparvero lasciando spazio alla rabbia e alla frustrazione.
«Oh... Oks, sei tornata, pensavo che ti fossi persa nel bagno», ridacchiò la mia amica.
«Gabriel non hai preso la bottiglietta d'acqua?», prese parola Sandel. Dunque Gabriele aveva mentito a suo fratello, non gli aveva detto che mi avrebbe raggiunto.
«Le avevano terminate», uhh Gabriel, pessima risposta.
A salvarci da quella stramba situazione fu proprio Melinda, che a gran voce ed euforica esclamò: «Oks, Oks, non potrai mai crederci, Sandel ha una fantastica notizia da darci.»
«Oh... Davvero? Sarebbe?», perché avevo la sensazione che quella fantastica notizia non sarebbe stata poi tanto fantastica?
«Abbiamo deciso di stabilirci qui definitivamente», mi rispose proprio il suo, forse, ragazzo.
Boom!
Il mondo mi cadde addosso, loro non potevano assolutamente trasferirsi definitivamente nel mio paese!
«Perché questa decisione? Ci avete sempre detto che la vostra famiglia ama viaggiare ed è per questo motivo che vi spostate in continuazione.»
«La nostra famiglia ha anche sempre richiesto un posto in cui poter vivere, avere una vita normale e non sempre frenetica. Abbiamo parlato con loro l'inizio di questa settimana e sono entusiasti dell'idea; inoltre qui abbiamo tante cosa da chiarire e sistemare.»
Uno sbuffo partì dalle labbra di Gabriel, facendo alzare gli occhi al cielo al fratello. «Non mi sembra che tu sia tanto entusiasta», borbottò Melinda.
«Non lo sono affatto, io avevo votato il contrario. Non voglio vivere qui, non mi piace come posto e non mi ci vedo a passeggiare tranquillamente per il paese.»
Mi dispiaceva per lui, potevo benissimo capire il suo stato d'animo. Anch'io ero costretta ad abitare in quel paese sperduto dal mondo contro la mia volontà e non era piacevole vivere una vita che non si desiderava.
La mia mente, però, volò ad un futuro imminente. Loro si sarebbe stabiliti a Woodsville a breve, ciò significava che avrei visto lupi ovunque: per i negozi, in piazza, nei pub, a scuola; un incubo!!
Considerando anche le strane voci e le sensazioni che provavo quando mi ero accanto, potevo considerarmi definitivamente fottuta. Come potevo evitarli se abitavano nel mio stesso micro paese? Se ogni volta che gli ero accanto provavo forti fitte al petto, rischiavo seriamente di morire per infarto... Forse stavo esagerando.
L'unica soluzione più logica era quella di indagare e scoprire di chi fosse quella voce e cosa precisamente provocasse i dolori. Mi ero ripromessa di non scavare a fondo su nulla, se non sullo stretto necessario per sopravvivere; come ad esempio, essere a conoscenza di un branco di lupi che presto sarebbero stati miei vicini di casa.
Tamburellai le dita sul tavolo e feci finta di continuare ad ascoltare la conversazione, mentre la mia mente volò via. Solo una parola fu in grado di farmi tornare con i piedi per terra: weekend sulla neve.
Sobbalzai e mi voltai di scatto verso Melinda. «Cosa?»
«Il weekend sulla neve, si sta avvicinando sempre di più, ecco perché dobbiamo fare assolutamente shopping.»
Lanciai una veloce occhiata a Sandel, era palese che avrebbe invitato lui e addio alle belle giornate da passare insieme, sarei stata costretta a starmene chiusa in camera o a fare le diverse attrazioni da sola. «Già, per fortuna mamma ha acconsentito a farmi andare, a patto che la chiami tre volte al giorno.»
«Te lo ricorderò io, così non corriamo rischi.»
«Mi sembra una bella iniziativa scolastica, però mi raccomando, divertitevi e non tornate a casa con gambe e braccia rotte», ridacchia Sandel... Quindi lui non viene?
«Io so pattinare e anche sciare, è Oks quella che si deve preoccupare», si bloccò mprovvisamente, «ho fatto la rima!!», esultò.
«Se sarai una brava insegnante, non ci saranno problemi.»
«Ma tutto dipende anche dal apprendimento dell'alunno!», mi resse il gioco e mi stuzzicò. «A proposito, ragazzi, possiate scusarci, ma noi abbiamo una lunga e bella giornata da passare insieme», si alzò improvvisamente, afferrandomi il braccio. «Dunque andiamo via», provò a trascinarmi fuori, ma la bloccai.
«Che ti prende? Prima gli dici di raggiungerci e poi li vuoi scaricare.»
«Oks», mi mise entrambe le mani sulle spalle, «noi dobbiamo andare, ricordi?»
«Ah sì vero, dobbiamo andare in quel negozio in fondo alla strada per comprare nuovi maglioni», inventai una balla. Ci alzammo per indossare i nostri piumini, ma qualcuno chiamò il mio nome.
«Oks!», alzò la mano un ragazzo poco lontano da noi.
Melinda si portò una mano alla fronte, mentre io continuai a far passare lo sguardo tra lei e il ragazzo che mi aveva appena salutata.
Non potei credere ai miei occhi, pensavo che non lo avrei rivisto fino al prossimo anno, invece era lì davanti a me in carne ed ossa che mi sorrideva raggiante.
«C-Chiwawa scemo? Cosa ci fai qui? Pensavo che non saresti ritornato.»
Si grattò la nuca, «sì, avevo deciso di non tornare per Natale, ma mia sorella è incinta e il bambino nascerà a breve; mi ha supplicato di tornare per aiutarla con gli ultimi ritocchi per la cameretta, ci tiene che sia presente quel giorno. Ho superato brillantemente tutti gli esami e mi sono concesso una vacanza.»
«È meraviglioso! Significa che sarai qui per Natale.»
«Già», abbassò lo sguardo sulla mia amica, salutandola con un mezzo sorriso. Ero abbastanza sicura che Melinda lo avesse visto prima di me ed avesse inventato una scusa per trascinarmi via prima ancora che mi accorgessi della sua presenza; mi chiesi solo il perché lo avesse fatto, però. «Se vuoi in questi giorni possiamo vederci e aggiornarci come nostro solito, ho saputo che ti sono capitate un bel po' di cose da quando sono andato via.»
«Sì, non immagini quanto si sia elevata la mia sfortuna. Oggi non sono libera, ma domani sì.»
«Perfetto, ti contatto io. Ciao ragazzi», salutò i due tizi alle mie spalle che non avevano proferito parola per tutto il tempo.
Una volta accertatami che fosse uscito, mi voltai verso la mia amica e -fregandomene altamente dei due ragazzi- esclamai: «cercavi forse di evitarlo? O peggio, di farlo evitare a me?»
«No, ma che dici? Certo che no, non lo avevo affatto visto.»
«Melinda quando imparerai che non sai mentire? Perché non volevo vederlo?»
«Non ho mai detto che non volevo incontrarlo, ma... Ecco, non mi piace come sta diventando. È cambiato e anche tanto. Se vuoi frequentarlo io non posso dirti nulla, ma non voglio averci nulla a che fare.»
L'improvviso cambiamento del suo tono e della sua espressione mi sorpresero, mai Melinda aveva odiato qualcuno così tanto e mi chiesi nuovamente il motivo, dato che una volta era sua amica.
«Va bene», sussurrai, prendendo la mia tracolla.
«Allora noi andiamo, ci vediamo domani.»
***
Era un giorno come gli altri, la mia classica routine di ripeteva come suo solito: la scuola, le lezioni e veloci e brevi dialoghi con Melinda.
Quel pomeriggio, però, qualcosa era cambiato: dopo scuola non ero tornata a casa, bensì ero uscita con Efrem.
Mi trovavo nella sua auto, essa sfrecciava lungo una via isolataa che conoscevo poco. Efrem dopo cinque minuti di tragitto, accostò.
«Perché ci siamo fermati?»
«Perché prima di proseguire c'è una cosa di cui voglio parlarti e non voglio aspettare ulteriormente.»
«Va bene, di cosa vuoi parlarmi?»
Lui rispose, ma non udii altro. Vedevo le sue labbra muoversi, ma alcun suono mi giunse, fin quando un fastidioso fischio non mi riportò alla realtà.
Sgranai gli occhi con la fronte umida di sudore e con un terribile mal di testa, spegnendo subito la sveglia.
Dal giorno del fantomatica scoperta dei fratelli Lupei era passata una settimana, nell'arco di sette giorni successerò un bel po' di cose. La mia vita per un attimo sembrò tornare nuovamente stabile, nonostante la preparazione dell'imminente matrimonio, alcune discussioni con Melinda e sogni a dir poco strani.
Non ricordavo esattamente da quanti giorni non riuscivo a dormire per più di quattro ore, ma per il momento -se quello era il mio unico problema grave- mi stava bene così. La paura di essere costantemente osservata e di essere in pericolo stava pian piano svanendo, ma non abbassai mai la guardia.
Tra una settimana sarei partita per il weekend sulla neve ed avevo acquistato alcuni abiti che avrei indossato in quei giorni. Per fortuna mia madre non scoprì che io e Melinda avevamo marinato la scuola per un giorno. I fratelli Lupei si tennero a debita distanza da me ed io non potei che esserne felice. Anche se, non ne comprendevo il motivo, quando Sandel veniva incontro a Melinda fuori scuola, una piccola parte di me sperava che ci fosse anche Gabriel. Che assurdità.
Tutto procede bene... Io sto bene e sono felice.
Continuavo a ripetermelo, ma perché sentivo che c'era qualcosa che non andasse? Ero troppo paranoica? Forse.
«Bene ragazzi, prima delle vacanze natalizie faremo un test di matematica e il giorno seguente quello di fisica. Non dimenticate che siete all'ultimo anno e non dovete permettervi un'insufficienza», suonò la campanella, fine della quinta lezione.
Tutti gli studenti si avviarono verso l'uscita dell'aula, mentre io chiusi con un botto il libro di matematica e lo riposi in cartella.
«Signorina Volkov, posso rubarle qualche minuto?», mi chiese la professoressa.
Melinda mi lanciò una veloce occhiata, dopodiché uscì fuori e mi rimase da sola.
«Mi dica.»
«Sono stata in segreteria questa mattina e ho notato che lei non ha compilato i moduli per il college. La sua media è leggermente calata dallo scorso anno e mi chiedevo quali fossero le sue intenzioni dopo il diploma, sempre se ci arrivi al diploma.»
Boom, un colpo al cuore.
Mi passai una mano tra i capelli ed afferrai con mani tremanti la mia tracolla, stringendola. «Onestamente non saprei. Ad inizio anno avevo le idee chiare, ma adesso no... Vorrei tanto andare al College, ma non so se la mia famiglia me lo permetterà.»
«Capisco, se vuole posso convocare sua madre e parlarle», si sistemò meglio sulla sedia, accavallando le gambe. «Ho anche notato che ultimamente è assente durante le mie ore di lezione. Penso che lei stia affrontando un brutto periodo e le consiglio -se non vuole parlarne a casa- di parlarne almeno con lo psicologo della nostra scuola. È semplice fissare un appuntamento ed andare, le potrebbe fare bene.»
Lo aveva veramente detto? Voleva che io andassi dallo psicologo della scuola? Sembravo tanto disperata dall'esterno?
«La ringrazio per i suoi consigli, vedrò di essere più presente», a passo deciso uscii fuori dalla sua aula e dalla scuola.
Mi maledissi per non aver portato una sciarpa con me quella mattina ed infilai velocemente i guanti di lana.
Melinda mi stava attendendo vicino ad un pick-up dall'aria vagamente familiare; per fortuna aveva mantenuto la sua promessa ed aveva evitato di coinvolgermi nelle uscite con il suo nuovo gruppo.
«Cosa voleva la professoressa?», chiese mentre Sandel le passò una gomma masticabile.
«Mi ha consigliato di andare dallo psicologo della scuola», ridacchiai nervosamente.
«Cosa? Perché?»
«Non saprei, ma seguirò il suo consiglio se servirà ad arrivare al diploma. Oggi non viene tua mamma?»
«No, vado a casa di Sandel. Vuoi... Si, ecco, vuoi un passaggio?»
«No, sta arrivando-», mi bloccai quando un clacson suonò per ben due volte. «Ah, eccolo», alzai il mento verso la macchina di Efrem. «Bhe io vado, ci vediamo domani», le stampai un bacio sulla guancia e corsi via.
Non appena entrai nell'auto di Efrem, subito una folata di aria calda mi investì e sospirai estasiata, togliendo il cappello.
«Ciao, tutto bene a scuola?»
«Più o meno. Allora? Dove mi porti di bello?», chiesi mentre mandavo un messaggio a mia madre, dicendole che ero ancora viva e vegeta; non era molto d'accordo con la mia brillante idea di pranzare con Efrem.
«In un posto a sorpresa.»
Abbozzai un sorriso e misi la cintura. Durante il tragitto in macchina parlammo dell'imminente nascita del suo nipotino; a quanto pare era eccitato all'idea di diventare zio e stava aiutando sua sorella praticamente in tutto, dato che suo marito era fuori per lavoro.
L'atmosfera che vi era in macchina era serena e mi mise a mio agio, ma iniziai a provare una certa agitazione quando poggiò una mano sulla mia coscia.
Mai, ed evidenziavo il mai, aveva osato farlo prima e mi chiesi perché lo avesse fatto.
Pur di non guardare lui, voltai lo sguardo verso il finestrino e cercai di far cessare i battiti del mio cuore, che improvvisamente eramo diventati più veloci. Mi chiesi se quel mio palpitare derivasse da un sentimento piacevole, ma mi ritrovai a pensare che ciò che stavo provando non era amore o altro, era paura.
L'adrenalina, le palpitazioni, erano frutto di paura.
Mi resi conto che stavamo percorrendo una strada isolata, la stessa che avevamo percorso quella volta che andammo al centro commerciale, e mi si bloccò il respiro quando lo vidi accostare sul ciglio della strada.
«Perché ci siamo fermati?», chiesi innocentemente.
«Perché prima di proseguire c'è una cosa di cui voglio parlarti e non voglio aspettare ulteriormente.»
A quelle sue parole non potei far altro che sgranare gli occhi e volare con la mente a ciò che ricordavo del sogno di quella notte, prodotto da quelle poche ore in cui avevo dormito: la stessa macchina, la stessa stradina, le stesse parole.
Che fosse solo una coincidenza? Sicuro, quello era solo un sogno, giusto?
«Va bene, di cosa vuoi parlarmi?», recitai le medesime parole che avevo usato nel sogno e quella volta la risposta mi arrivò ben chiara.
«Ormai ci conosciamo da tempo, abbiamo una certa confidenza e mi chiedevo se-», rispose con voce roca, completamente diversa dal dolce tono e dagli amorevoli gesti che solitamente mi riservava. La sua mano partì dal centro della coscia per spostarsi lentamente nell'interno coscia.
Ormai il mio cuore quasi esplodeva nel petto, lo sentivo pesante e dolorante dai duri colpi che stava incassando.
La situazione che stavo vivendo mi ricordava troppo il sogno, ma non era possibile... Non potevo permettere che andasse oltre, Melinda aveva ragione: lui era cambiato ed io non lo avevo notato, troppo accecata dall'immagine che avevo sempre avuto di lui.
Era mio amico, ma perché improvvisamente si stava trasformando in un nemico? In una persona che non avevo mai conosciuto, che stavo iniziando a temere ed odiare. Quel suo lato nascosto... Mi chiesi da quando lo stesse trattenendo.
Gli afferrai velocemente la mano e l'allontanai, provando a capire cosa gli passasse tra la testa. «Efrem, cosa stai facendo?»
«Nulla che anche tu non voglia. L'altro ieri mi hai confessato una delle tue più grande paure: l'isolamento. Scherzosamente mi hai chiesto perché non avessi un ragazzo che ti amasse, io posso essere quel ragazzo...»
Ciò che stava dicendo era vero, nei giorni precedenti eravamo usciti per delle innocue passeggiate ed io gli avevo confessato che in quel periodo mi sentivo tremendamente sola. Lui aveva compreso e mo aveva quasi compatito, ma il tono con cui lo disse quella volta e lo sguardo che mi indirizzò in quel momento mi spaventarono. In uno gesto veloce mi afferrò il braccio e mi spinse in avanti, incastrandomi tra le sue braccia. «Coraggio Oks, ti basta dire di sì. Potremmo essere tutte e due dalla stessa parte, collaborare...»
«Ma di cosa stai parlando?», provai ad allontanarmi.
«Capirai con il tempo, con me non dovrai avere più paura di nulla.»
«Efrem basta!», lo allontanai bruscamente. «Che ti prende all'improvviso? Stava andando tutto bene, perché vuoi rovinare tutto?»
«Rovinare tutto? Voglio solo aiutarti, tutti noi vogliamo farlo.»
«Tutti voi?», di chi stava parlando? «Efrem non so cosa ti passa per la testa, ma tu sei il mio migliore amico e ti conosco bene, ma adesso ti stai comportando come un qualsiasi stronzo.»
«Stronzo perché voglio renderti felice?»
«Rendermi felice come? Ricordati che frequenti il college, abiti lontano e vieni qui solo due volte all'anno!»
Mi afferrò di nuovo la mano, «se venissi con me, con noi, non staremo più lontani.»
La sua mano a contatto con la mia tremava e diventava fredda ad ogni secondo che passava. Incastrai il mio sguardo nel suo, provando a cogliere un messaggio che si ostinava a mandarmi e che non volevo ricevere.
La sua pupilla iniziò pian piano a dilatarsi e ad assottigliarsi. Quella sua anomalia mi incantò, mi affascinò, mi attirò, restai a fissare quegli occhi che pensavo di conoscere bene, ma che in realtà non era così. «Scegli di tua volontà di venire con me, non dovrai più soffrire, anzi, ti vendicherai di tutti coloro che ti hanno fatto del male.»
Ripensai subito ai miei compagni di scuola, agli anni in cui avevo sofferto la solitudine e la rabbia. «Potrò fargliela pagare...»
«Sì, ti aiuteremo noi.»
«Loro...», improvvisamente ripresi quel attimo di lucidità. Scossi il viso e serrai gli occhi. No, quello che sta succedendo non era previsto dal sogno; le sue parole erano cambiate... O probabilmente mi ero svegliata troppo presto. «Cosa sto dicendo? Questa è una cosa impossibile», slacciai la cintura di sicurezza e poggiò la mano sull'apertura della portiera. «Efrem, non so cosa ti stia succedendo, ma per favore non osare mai più avvicinarti a me.»
Lo vidi sussultare e sbatterò le palpebre; i suoi occhi erano diventati normali. Uscii dall'auto ed iniziai a correre il più lontano possibile, nonostante non sapessi dove andare.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top