XXVIII ~Il suo passato~

Gabriel

Sapevo che Oks avesse paura dei lupi, così come sapevo che con la mia rivelazione l'avrei sconvolta, ma non mi sarei mai aspettato di vederla svenire davanti ai miei occhi.

In quel momento dormiva, ancora una volta, sul mio letto e non avevo la minima idea di cosa fare. Le avevo svelato il mio segreto solo perché ero fermamente convinto che -nonostante fosse in pericolo anche per quella confessione- lei prima o poi avrebbe dovuto affrontare il mio mondo in tutte le sue sfumature. Se veramente era stata rapita dai Rosius, o da qualsiasi nostro nemico, era molto più sicuro darle tutte le informazioni possibili, affinché sarebbe stata preparata su ciò che poteva accadere.

Sandel, sentendo il suo grido, era subito corso qui e non era per niente d'accordo con la mia decisione; la sua idea era ben diversa dalla mia, voleva svelarle solo informazioni riguardanti il nostro nemico.

«Devi averla spaventata parecchio se è addirittura svenuta», borbottò, appoggiato sullo stipite della porta.

«Non le ho fatto nulla, mi sono semplicemente trasformato.»

«Semplicemente trasformato, ovvio, non hai fatto nulla di estremamente anomalo», fece spallucce con noncuranza. «Gabriel devi imparare ad essere più razionale e meno istintivo, sarà in preda al panico non appena aprirà gli occhi.»

«Non sono in preda al panico», la sua flebile voce ci fece sussultare entrambi. Con un nodo alla gola, mi voltai verso di lei, vedendola alzarsi lentamente. «Sono tutta indolenzita ed indebolita, penso sia stata questa la causa dello svenimento.»

Sospirai mentalmente per il sollievo ed abbozzai un sorriso forzato. Dovevo chiarire assolutamente con lei, ma non volevo farlo davanti a mio fratello; mi sarei solo agitato maggiormente, temendo di poter commettere un altro errore. Per mia sfortuna, l'unico difetto di Sandel era il giudicarmi continuamente e ciò mi dava i nervi. «Sandel non ha senso che tu resti qui, puoi andare.»

Sgranò leggermente gli occhi, «davvero Gabriel?»

«Davvero.»

«Va bene, ma ritieniti responsabile di qualsiasi cosa succederà», detto ciò, andò via sbattendo la porta.

«Non succederà nulla, come promesso, terrò la bocca chiusa», la sentii borbottare alle mie spalle.

«Io...», non sapevo cosa dire, le dovevo delle scuse? Assolutamente no, non mi pentivo di ciò che avevo fatto, non ero come mio fratello Sandel che -da codardo- nascondeva la sua vera natura per paura. Tossii ed incrociai le braccia al petto, «per fortuna sei una ragazza matura e non crei problemi.»

«Più che matura, sono una ragazza che si adegua a qualsiasi situazione. Ti ho visto trasformarti sotto i miei occhi, non posso negarlo», abbassò il viso, «ma devo ancora realizzare la tua esistenza. Io non credo a queste cose, Gabriel, non credo ai lupi mannari.»

A passo lento mi avvicinai a lei e, afferrando il suo mento tra l'indice e il pollice, glielo sollevai. «Va bene, posso capirti.»

Si scostò quasi subito e scende dal letto, stropicciandosi gli occhi. «Melinda... Lei lo sa?»

«Non ancora, Sandel non ha il coraggio di dirglielo.»

«Fa bene a non dirle nulla, se svelandole il segreto la metterete in pericolo, è meglio che resti all'oscuro di tutto.»

«La situazione è leggermente più complicata di quello che sembra», mi grattai la nuca, «comunque sia, il problema lo deve risolvere lui, noi abbiamo altro a cui pensare. Innanzitutto non ti ho mostrato la mia vera natura tanto per divertimento, ma l'ho fatto cosicché tu possa prepararti psicologicamente a ciò che vedrai in seguito. È appurato che sei entrata anche tu in questo circolo, incoscientemente, e dobbiamo scoprire cos'hai che non va... Cioè, dobbiamo sapere perché hanno scelto te.»

«Mi era sembrato di capire che fossi contrario alle idee di tuo fratello.»

«Infatti mio fratello voleva solo svelarti metà della verità, ma sono convinto che più sai e meglio è. Non devi preoccuparti di essere nuovamente rapita, ti proteggerò io», mi lasciai cadere sulla poltrona in pelle accanto al tavolo.

«Sono benissimo in grado di proteggermi da sola, non mi serve una balia. La prima volta sono stata presa alla sprovvista, ovviamente farò più attenzione.»

«Oh sì, ho visto come ti sai proteggere», esclamai ironicamente. «Facciamo il punto della situazione: tu sei in grado di vedere un veleno molto potente, tu stessa la chiami nube verde, quella nube non è visibile a nessuno ed ha il potere di ucciderci; sei stata rapita e subito dopo rilasciata con una perdita di memoria, il che significa che avranno fatto qualcosa su di te per i loro scopi e successivamente ti hanno rispedita tra di noi per testarti.»

«Cosa avrebbero dovuto farmi?», aggrottò la fronte.

«Non lo so, dobbiamo prima capire cosa sei e perché sei tanto speciale per loro. Ti ricordo che, prima di svelarti il mio segreto, avevamo fatto un accordo... Ebbene, è arrivato il tuo momento: devi spiegarmi cos'è successo la notte in cui tuo padre è morto, tutta la vicenda: se sono successe cose anomale, se era presente qualcuno di tua conoscenza... qualsiasi cosa.»

La vidi sussultare e sgranare gli occhi, sicuramente non si aspettava una domanda del genere. Ovviamente poco mi importava della vicenda in sé, ma ero curioso e soprattutto mi serviva per capire cosa stesse succedendo. La vita degli umani scorreva come una retta senza intralci e bastava un singolo evento critico per cambiarla totalmente. A seguito delle deviazioni, che fossero piccole o grandi, l'essere umano cambiava percorso e in alcuni casi, la devianza poteva far scaturire la vera natura del soggetto.
Di mio, sapevo che l'unica devianza degenerativa nella vita di Oks era stata la morte del padre: la gente del paese la incolpava e non parlava di altro. Se così era, l'unica spiegazione ruotavo attorno ad un omicidio e ciò sarebbe stata la soluzione ad alcuni problemi che si erano creati.
«Con un colpo di fucile», risponse decisa e tagliante. La sua classica espressione da timida ragazza aveva lasciato spazio ad una ragazza rigida e seria.

«Va bene, raccontami l'intera vicenda.»

«Perché vuoi sapere come è morto mio padre? A cosa ti serve?»

«Te lo spiegherò dopo. Tu hai visto qualcosa che rappresenta la mia vita, adesso devi mostrarmi qualcosa del tuo passato. Sei una ragazza di parola, non puoi deludermi.»

Incrociò le braccia al petto e puntò lo sguardo sul pavimento. «Ho sempre odiato mio padre, sin da quando avevo otto anni. Lui è cambiato veramente tanto durante il corso della mia infanzia, ha smesso di lavorare, di uscire con la sua famiglia. Se ne stava rintanato in casa, seduto sul divano a non fare un cazzo dalla mattina alla sera. Mia madre si è dovuta fare in quattro per permettere a me e a mia sorella di mangiare ogni santo giorno e lui si prendeva il merito di tutto. Con il passare degli anni iniziai a vederlo come un estraneo, Anisha gli voleva bene e faceva di tutto per compiacerlo, ma io no. Ricordo che alle medie, per un progetto di arte, feci un dipinto e quel dipinto fece scattare l'allarme. Il professore chiamò mia madre, dicendole che avevo bisogno di uno psicologo», rise amaramente, ma ancora non aveva il coraggio di guardarmi in faccia. «Per fartela breve, mia madre capì quanto lo odiassi e quanto lui fosse inutile, ma non ebbe mai il coraggio di divorziare, di sbarazzarsi di lui. Quando vidi arrivare veramente il culmine, ossia mio padre che diventava sempre più nervoso e ci picchiava anche se non gli davamo un semplice bicchiere di acqua in tempo, decisi che era arrivato il momento di farla finita.
La sera prima della sua morte feci un sogno, forse un sogno premonitore, chissà. In quel sogno c'ero io, mio padre ed un uomo di notte, eravamo nel nostro negozio ed io gli puntavo la pistola contro. La notte seguente, io e la mia famiglia fummo svegliati da un rumore proveniente dal negozio. Ovviamente il primo a scendere fu lo stronzo e successivamente io, mamma e Anisha erano troppe spaventate per fare anche solo un passo. Vidi un uomo, proprio quello del sogno, che teneva stretto per la gola mio padre e urlava di dargli i soldi. Come ben sai nel nostro negozio vendiamo ogni genere di attrezzi per la caccia, dunque afferrai il primo fucile che mi capitò a tiro e lo puntai sull'uomo, intimandogli di andarsene o avrei sparato. Lui, ingenuamente, se la rise di gusto perché non sapeva quanto io fossi brava con un'arma da fuoco tra le mani.
Glielo puntai ancora una volta contro, ma...», si fermò per deglutire rumorosamente. Dalla sua fronte vidi scendere gocce di sudore e il suo labbro inferiore per poco non sanguinava a causa dei denti che affondavano in esso. Sembrava essere totalmente in un altro mondo, parlava, ma non mi guardava e il suo sguardo era vuoto e privo di luce. «Ma non so perché puntai il fucile contro mio padre e, guidata da chissà chi, premetti il grilletto. Mio padre morì sul colpo e subito dopo l'uomo che aveva provato a rapinarci fuggì via», emise un lungo sospirò, come se avesse trattenuto il respiro per troppo tempo.
«Sai, gli ho sparato proprio qui», si portò l'indice alla fronte, «cosicchè quel cervello privo di neuroni potesse esplodere in mille pezzi», solo in quel momento alzò il viso verso il mio.

Il mio corpo ebbe un sussulto quando i suoi occhi incrociarono i miei. Lo smeraldo brillante di essi aveva dato spazio ad un pozzo di alghe prive di vita. Era spaventosa, persino io ne avevo paura, la sua espressione seria non si addiceva al suo dolce e angelico viso infantile, caratteristica che adoravo.
«Per fortuna tu non l'hai conosciuto. Avresti dovuto vedere come si imponeva su di noi: voi dovete temermi, dovete avere paura solo di me! Quando vi chiamo dovete scattare! Oks sei una fannullona! Oks mi fai schifo! Oks non combinerai nulla di buono nella tua vita! Oks non avrai un futuro!», provò ad imitare una voce maschile.

Una volta concluso il suo sfogo rimasi in silenzio, mentre lei serrò gli occhi, respirando affannosamente. Quando li riaprii, notai che erano tornati normali. Lei mi guardò confusa, aggrottando la fronte. «Perché mi guardi in quel modo? Sei rimasto scandalizzato dal mio passato?»

Dunque era vero, lei aveva veramente ucciso il padre. Era talmente accecata dall'odio e dalla rabbia che gli aveva puntato il fucile contro e lo aveva sparato e ciò che più mi spaventava era il coraggio che aveva per raccontarlo. Nonostante il suo tono serio, non potei non scorgere un margine di soddisfazione di ciò che aveva fatto. La gente in paese aveva ragione.

«Non guardarmi in quel modo, conosco bene quello sguardo. La mia vita dopo quella notte è cambiata totalmente, sarò anche pazza, ma non mi pento al cento per cento di ciò che ho fatto. L'unica conseguenza è stata il totale isolamento da parte dei cittadini, ma poco mi importa di loro.
Tu non puoi capire com'era vivere con lui, mi insultava ogni santo giorno, mi picchiava per qualsiasi cosa perché riteneva che solo in quel modo io mi educassi.»

«Non mi sarei mai aspettato qualcosa del genere», trovai finalmente la voce, «comunque sia, grazie per aver mantenuto la tua parola. Ho qualche idea sul perché tu sia speciale, ma non ne sono sicuro.»

«Bene, spero che le mie disgrazie ti possono essere quanto più di aiuto, ma adesso desidero tornare a casa mia.»

«Va bene.»

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