XXVIII ~I segreti prima o poi vengono svelati~
Oks
Quando si dorme si perde totalmente la cognizione del tempo. Tutto per te sembra scorrere lentamente, mentre per le persone che ti sono accanto è l'opposto.
Non capisci nulla, sei in un mondo totalmente tuo: quella era la sensazione che avevo provato in quei giorni.
In realtà non sapevo dare una spiegazione dettagliata, tutto ciò che ricordavo non era frutto di un sogno, ma nemmeno di un incubo, era una vera e propria tortura: ritrovarsi continuamente bloccati in un luogo oscuro, mentre il tempo passava e ti sfiorava. La sensazione di poter essere imponente, di non riuscire ad aprire gli occhi e a fuggire.
La luce, astrattamente, riuscivo a vederla attraverso le palpebre abbassate ed era intensa, quasi dolorosa da percepire. Il coraggio di vedere dove mi trovassi e cosa mi fosse successo si nascondeva dietro agli spessori della paura, ma purtroppo sapevo per certo che non potevo rimanere in eterno in quella condizione.
Lentamente provai ad alzare le palpebre e a mettere a fuoco, ma era davvero una tortura. In lontananza riuscii ad udire delle voci, ma erano talmente ovattate da non riuscire a riconoscerle.
«Oks?», finalmente capii una delle innumerevoli parole pronunciate.
Davanti al mio viso vidi una figura, ci impiegai un bel po' per capire chi fosse.
«Oks...», pronunciò ancora, ma io avevo la gola talmente secca da non riuscire a dire nemmeno una parola.
Provai ad alzarmi, dato che mi sembrava di essere sdraiata su di un letto, ma il busto sembra essere bloccato. Il ragazzo accanto a me, mi avvolse le spalle con un braccio e mi aiutò ad alzare il busto.
«Come ti senti?», chiese Gabriel mentre suo fratello si avvicinò.
Cosa ci facevo con loro? Mi avevano drogata? Perché non ricordavo ulla?
Sobbalzai quando improvvisamente davanti al mio viso comparve un bicchiere di plastica bianco con all'interno dell'acqua. Nonostante la mia mente mi suggerisse di non berlo, il mio istinto ebbe la meglio; infatti lo presi e bevvi il suo interno a grandi sorsi.
Un immenso sollievo subito mi colpii e, dopo un paio di colpi di tosse, chiesi: «cosa succede? Cosa ci faccio qui?»
«Non ricordi proprio nulla?», chiese sempre Gabriel, piegandosi sulle ginocchia ed arrivando alla mia altezza.
Scossi il viso, mentre il panico pian piano svaniva. Non sapevo dare una spiegazione concreta, ma la loro presenza in un certo senso mi rassicurava. Se dapprima pensavo che mi avessero fatto qualcosa, in quel momento quella assurda idea era volata letteralmente via; come avrebbero potuto farmi del male? Infondo loro erano amici di Melinda, soprattutto Sandel che aveva già l'etichetta di futuro ragazzo, inoltre anche Gabriel aveva passato il mio test valutativo a seguito della serata passata insieme.
«Cos'è l'ultima cosa che ricordi?»
«Io e te... Che mangiamo da Dobbis', poi il nulla.»
Lo vidi deglutire, mentre Sandel gli lanciò una veloce occhiata. «Subito dopo abbiamo perso l'autobus e per tornare a casa ci siamo inoltrati nel bosco, è lì che sei scomparsa.»
Aggrottai la fronte, «scomparsa? Non capisco, penso di essere svenuta per un po'...»
«Oks, da quel giorno, è passata quasi una settimana.»
La sua risposta mi fece sgranare gli occhi, ma non ebbi la forza di aprire la bocca e dire qualsiasi cosa, infatti fu lui a continuare: «Tutto il paese pensa che tu sia scomparsa, ci sono dei volantini sparsi per la cittadina e anche nei paesi circostanti con la tua faccia sopra, tanti annunci sui social e persino il telegiornale ne ha parlato.»
«Come posso essere scomparsa? Io non ricordo che qualcuno mi abbia rapita, né tantomeno che io mi sono allontanata così tanto da non sapere più la strada di ritorno. Cosa ci faccio qui? Siete stati voi a ritrovarmi?»
«Ti ha trovata Gabriel ieri mattina, all'alba, nei pressi del lago. Abbiamo deciso di non portarti dalla tua famiglia perché...», lanciò una veloce occhiata al fratello, il quale scosse la testa, «bhe... Ecco, pensiamo che qualcuno di nostra conoscenza sia l'artefice di tutto e vogliamo capire cosa-»
«Oks non sei obbligata a restare qui, se vuoi tornare dalla tua famiglia, sei libera di farlo», lo interruppe Gabriel, per poi alzarsi, prenderlo per un braccio e trascinarlo fuori.
Li seguii con lo sguardo, chiedendomi ancora una volta cosa diavolo stesse succedendo. Siccome il letto su cui ero seduta, era situato accanto alla finestra, mi era possibile ascoltare in parte quello che si stavano dicendo:
«Avevamo detto che non l'avremmo coinvolta!»
«Gabriel ragiona, potrebbe esserci di grande aiuto.»
«Non sono d'accordo! Potremmo metterla in pericolo, pensa se al posto suo ci fosse Melinda.»
«È già in pericolo, non si fermeranno! Deve sapere la verità.»
Ero in pericolo? Perché? Qualcuno mi aveva rapita e poi rilasciata, ovvio che fossi in pericolo. L'identità dell'aggressore, però, era ancora un mistero. Molte persone mi volevano fuori da Woodsville, ma nessuna di esse aveva mai avuto il coraggio di fare il primo passo.
Mi massaggiai le tempie dolenti e sospirai.
«Tutto bene?», Dio un giorno mi avrebbe fatto venire un infarto.
«Solo un leggero mal di testa.»
«Dovrei avere qualche aspirina, che ne dici se ti preparo un bel panino? Dopo ti accompagno a casa.»
Il mio pensiero volò a mia madre e a mia sorella: erano sicuramente disperate ed esasperate dalla mia scomparsa.
Avrei tanto voluto tornare subito da loro, ma prima di tutto dovevo capire cosa stesse succedendo.
«Sì, mi andrebbe un panino... Sandel non entra?», chiesi, voltando il viso verso la porta.
Scosse semplicemente il viso e si voltò verso la cucina. Solo il quel momento mi resi veramente conto che ero nella sua roulotte, quindi casa sua. Essa era molto grande, nonostante all'esterno potesse sembrare piccola. Il letto era situato vicino all'unica finestra rettangolare presente, davanti ad esso -verso il fondo- vi era un tavolo in legno di quattro posti accanto al divano -infatti quest'ultimo fungeva anche da sedia a chi volesse sedersi sul lato destro-, accanto ad esso era presente una porta dove -ipotizzai- ci fosse il bagno e subito dopo c'era la cucina.
«È la prima volta che entri in una roulette?», chiese mentre tagliava il panino.
«Si», confessai, poggiando i piedi sul pavimento ricoperto da un grande tappeto beige che ricopriva quasi tutta la superficie.
Pochi attimi dopo me lo ritrovai davanti e mi porse un panino al prosciutto. Iniziai a mangiarlo silenziosamente, non sapendo cosa fare o dire. C'erano tante cose che non quadravano, domande a cui non riuscivo a dare una risposta, paure fondate su qualcosa a me ancora ignoto.
«Gabriel, perché improvvisamente sei gentile con me? Ricordo che non osavi nemmeno parlarmi.»
«Perché non ti conoscevo, agli sconosciuti non presto molta attenzione», borbottò, sedendosi accanto a me con in mano una lattina di birra, ma sempre a dovuta distanza.
«È vero, siamo usciti in compagnia un paio di volte e da soli una sola, ma scommetto che non mi dirai mai in che genere di guaio sono finita», abbassai il viso e diedi un ultimo morso al panino. «Inizialmente pensavo che fossi stata rapita da un cittadino di Woodsville per un dispetto o altro, ma poi vi ho sentiti parlare fuori. Non volevo origliare, avete alzato la voce e la vostra conversazione mi è arrivata ben chiara. Se c'è qualcuno che sta cercando voi, perché sono anch'io in pericolo? Cosa c'entro? Inoltre in che genere di guaio siete? Avete per caso debiti per droga?»
Si strozzò con un sorso di birra, per poi tossire. Inconsapevolmente gli avevo posto le domande che maggiormente mi premevano, ma -infondo- ero sicura che non mi avrebbe dato una risposta. «Mi hanno dato dell'alcolista, ma mai del drogato», ridacchiò per cercare di smorzare la situazione, «no, Oks, non stiamo in nessun giro di droga.»
Lo avevano accusato di essere un alcolista?Non avevo mai conosciuto un ragazzo tanto misterioso quanto lui, c'erano tanti aspetti della sua vita che non conoscevo e non capivo se volessi conoscerli o meno.
«Oks», si passò una mano tra i capelli, «posso capire che in questo momento ti senti stordita e confusa ed hai ragione, ma ci sono delle verità che ti sono ancora ignote e non so se sia un bene svelartele o meno. Il fatto che tu sia stata rapita non migliora la situazione, inoltre non ricordi assolutamente nulla di ciò che ti è successo e ciò potrebbe aiutarti, ma io e mio fratello temiamo che potrebbe ricapitare, inoltre non sappiamo dare una spiegazione al perché abbiano scelto te.»
«Ho visto un uomo», risposi di getto, «il giorno stesso in cui sono "scomparsa"», mimai le virgolette. «Mi ha seguita per un tratto e mi fissava, dopodiché è scomparso.»
«Un uomo?», aggrottò la fronte, «sapresti descriverlo?»
«Purtroppo no, non ricordo il suo viso.»
Sospirò, «va bene. So che vuoi delle risposte alle tue domande, ma è difficile parlarne, soprattutto agli umani.»
«Agli umani, ne parli come se non lo fossi.»
Abbassò lo sguardo, ma subito dopo lo rialzò. «Ti svelerò un mio segreto, solo se tu me ne svelerai uno tuo. Oks, fidati, mi sto fidando ciecamente di te.»
«Non ho segreti.»
«Allora risponderai sinceramente ad una mia domanda.»
«Va bene. Ti posso assicurare che sono brava a mantenere i segreti, con me non devi mai dubitare.»
«Lo so, lo sto capendo a passi. Questo segreto che ti svelerò, risponderà alla tua domanda su come io e mio fratello siamo coinvolti. Devi promettermi, però, che non urlerai né ti agiterai... Io non ti farò del male.»
Mi morsi il labbro inferiore ed annuii, temendo per qualsiasi cosa mi avesse detto.
«Al mondo esistono cose che forse per te sono anormali. Cose che, forse, hai visto solo nei film. Cose che hai letto in uno dei tanti libri che hai a casa. Io sono una di quelle cose», iniziò ad indietreggiare, fino ad arrivare in prossimità della porta del bagno.
Non capii il senso delle sue parole, forse mi stava solo giocando un brutto scherzo, ma sicuramente non lo avrebbe fatto in una situazione del genere; quindi era serio?
Lanciò una veloce occhiata alla porta, facendomi puntare lo sguardo su di essa e notare che era stata chiusa a chiave.
Iniziò a salirmi la paura nel momento esatto in cui lo sentii ansimare profondamente. Il mio sguardo ritornò su di lui, stava male?
Chiuse gli occhi, serrò i pugni e poi il finimondo accadde. A frazioni di secondi, il tempo di inspirare un po' di ossigeno, che assistii a qualcosa che non credevo che potesse esistere, né in cielo né in terra.
Davanti ai miei occhi vidi una sorta di trasformazione. Lui non era più in piedi, ma piegato a quattro zampe. Lunghi artigli spuntarono al posto delle unghie, i capelli sembravano essersi allungati su tutto il corpo, creando una folta peluria.
«Ahh!», lanciai un urlo, ma mi tappai immediatamente la bocca, ricordando la promessa che gli avevo fatto. Non potevo, non riuscivo a negare ciò che in quel momento stavo vedendo: un lupo enorme, dalla peluria nera, talmente grosso da trovarsi stretto nella piccola roulotte.
Feci un balzo in piedi, ma un feroce giramento di testa mi investii e fui costretta a sorreggermi al lavello della cucina.
«Tu... No è impossibile, non esisti... Non in natura.»
Vedendomi in difficoltà, fece un passo in avanti, ma io allungai una mano per bloccarlo. «Fermo, non ti muovere... Eri tu? Quel enorme lupo che mi ha aggredita eri tu e osi dire che non mi faresti del male.»
Si bloccò all'istante, ascoltando il mio ordine. Scosse il muso e si sedette, proprio come un cane docile. «Non miravo a te quella sera.»
«Ahhh!», lanciai l'ennesimo urlo. «Oddio parla, sa anche parlare.»
«In realtà non sto parlando, non muovo la bocca, vedi?»
Effettivamente aveva ragione, come faceva dunque a parlare? «Io non... Mi gira un po' la testa», borbottai poggiando la mano sulla fronte.
«Ti senti male?», quella fu l'ultima cosa che udii, prima di perdere lentamente la vista e ogni senso in mio possesso.
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