XXIX ~Non aver paura di me~

Oks

Il paesaggio scorreva davanti ai miei velocemente, mentre il pickup su cui ero seduta aumenta la sua velocità e poi la diminuiva.
Gabriel aveva deciso di portarmi dalla polizia, per evitare di creare altri problemi. Mi aveva confessato che alcuni uomini avevano trovato la mia borsa nel bosco e subito dopo l'avevano consegnata alla polizia; dunque, seguendo il suo piano, avrebbe rivelato la verità sull'avermi trovata nel bosco e successivamente io avrei inventato una serie di bugie, consapevole che sicuramente mi avrebbero riempita di domande.

In macchina regnava il silenzio. Ammisi a me stessa che forse avevo commesso un grandissimo errore nel raccontargli la verità, anche se in quel momento le parole erano uscite fuori come un fiume senza fine. Durante il racconto mi ero completamente persa in quella notte e non ero particolarmente lucida. Poco dopo, avevo una terribile paura, paura che potesse spifferare tutto alla polizia. Avevo detto a mia madre che era stato il rapinatore a sparargli, ero riuscita ad ingannare persino i poliziotti -anche perché la sicurezza in quel paese faceva veramente schifo-, ma quel giorno c'era Gabriel accanto a me e sapeva tutta la verità. Avrebbe potuto anche registrare la mia confessione ed avere delle prove concrete... Non ci avevo pensato prima.

«Gabriel», lo chiamai a bassa voce, «per favore, non dire a nessuno quello che ti ho confessato. Io... Io so di essere un'assassina, ma non puoi capire quanto ho sofferto per ben sei anni.»

«Non dirò nulla, non ne avrei motivo, poco mi importa di ciò che hai fatto. Sono un assassino anch'io, Oks, ho ucciso molti dei nostri nemici e non me ne pento affatto.»

«Perché volevi che ti raccontassi proprio di quella notte? Potevi benissimo chiedermi qualsiasi cosa.»

Si morse il labbro inferiore e scalò di marcia per rallentare; sembrava quasi che alla stazione di polizia non ci volesse mai arrivate. «Il nostro mondo, i nostri poteri, ciò che realmente siamo, è frutto di un lungo processo che si attiva solo dopo aver subito un trauma o aver commesso una particolare azione: un omicidio, una violenza, qualsiasi cosa che porta la nostra parte emotiva a spingersi al massimo. Sono qui da soli tre mesi e l'unica cosa che ho capito è che tutti ti temono e ti odiano per ciò che hai fatto a tuo padre, inizialmente li credevo, poi mi sono auto-imposto di credere solo ed esclusivamente alle tue parole. Comunque sia, sapevo sin da subito che quella notte è stata una delle più traumatiche della tua vita e mi sono chiesto se tutto non ha avuto inizio da lì.»

«Ma io non sono come te», ci tenni a precisare. Avrei mirato sicuramente al suicidio se fossi stata veramente un lupo.

«No, ma nel nostro mondo non esistono solo i lupi: esistono le streghe, le fate, i Rosius, le Maddaline e tante altre creature. Molte di esse scoprono la propria natura in maggiore età, altri sin da bambini. Tutti loro hanno un passato diverso e nella maggior parte delle volte tali caratteristiche vengono ereditate dai propri discendenti.»

Mi voltai di scatto verso di lui, «esistono le streghe e le fate?»

«Sì, ma proprio come noi, non amano mostrarsi.»

«Questo sì che è un trauma», mi portai una mano alla fronte, non credendo a ciò che avevo appena sentito.

Quella fu l'ultima conversazione che ebbi  con Gabriel. Subito dopo avermi consegnata nelle mani della polizia, andò via ed io fui sottoposta a tre ore di interrogatorio, durante le quali avevo risposto sempre allo stesso modo: non lo so, forse, non mi ricordo.
Mia madre e Anisha erano state subito chiamate e successivamente un medico mi aveva fatto una serie di accertamenti, tra cui anche una visita ginecologica per accettarsi che non avessi subito delle violenze sessuali.

Le giornate a casa si susseguirono lente e monotone, mia sorella continuava a restarmi accanto, persino la notte perché aveva paura che potesse succedermi qualcosa. La mamma aveva parlato con il preside della scuola, il quale mi aveva concesso tredici giorni per riprendermi dal trauma subito. Melinda era scoppiata a piangere nove volte su dieci in cui era venuta, mi aveva portato tanti piccoli regali che mi avevano strappato un sorriso e per ben tre notti aveva dormito con me e mia sorella.

Al nono giorno mi ritrovai sdraiata sul letto e per fortuna mi ero totalmente ripresa dalla stanchezza sia fisica che mentale. C'erano ancora tante domande a cui non avevo risposte e Gabriel ancora non mi aveva chiamata né mandato un messaggio per informarmi su cosa avesse scoperto.

La sua rivelazione su un mondo paranormale era ancora impressa nella mia mente e mi chiesi come potesse realmente esistere. Ciò che più mi sconvolgeva era che io -una ragazza che non aveva mai creduto a quelle sciocchezze- potesse far parte di esso.

L'evento traumatico della mia vita era la morte di mio padre e da esso chissà quale natura si era sviluppata in me. Non potevo definirmi speciale, perché non lo ero affatto, ma vi erano molte stranezze in me a cui non sapevo dare una risposta.

Sbuffando mi alzai dal letto e presi dalla mia borsa -restituitami dai poliziotti pochi giorni prima- il libro che avevo preso in prestito dalla biblioteca. In esso vi erano rappresentate tutte le creature mitologiche e forse mi sarebbe potuto essere di aiuto, avrei scoperto qualcosa anche sui lupi mannari.

Non ebbi nemmeno il tempo di aprirlo, che qualcuno bussò alla mia porta. Frettolosamente ritornai a sedermi sul letto mentre mia madre fece capolinea in camera, seguita da tre persone. Il mio cuore, involontariamente, iniziò a battere a ritmo irregolare nel petto non appena i miei occhi si posarono su Gabriel.

Dopo un tempo indefinito, quando in realtà non era nemmeno tanto, era di nuovo di fronte a me e non capivo se ciò mi rallegrava o meno. Lui non era un essere umano, era una creatura orribile, uno dei pochi esseri al mondo che riusciva ad inquietarmi.

Melinda, come suo solito, subito avanzò verso di me e mi strinse in un abbraccio, mentre i ragazzi restarono impalati sotto l'uscio.
«Oks, io e tua sorella dobbiamo fare delle commissioni per il negozio, ho chiesto a Melinda di venire per stare con te.»

E gli altri due cosa ci facevano in casa mia?
«Mi raccomando», ultime parole che pronunciò, prima di lanciare una veloce occhiata ai due ragazzi ed andare via. Mia madre che permetteva a due esseri di sesso maschile di mettere piede nella mia stanza? Era sicuramente ubriaca.

«I ragazzi hanno insistito tanto per venire, spero non ti dispiaccia», sussurrò Melinda. Scossi la testa. «Bene! Allora ho organizzato una perfetta serata tra amici, qualcosa di molto semplice: che ne dite di fare qualche gioco da tavola, vedere un bel film e mangiare una buona pizza?»

«Per me va bene, ma non penso che ai ragazzi  pia-»

«Anche per noi va bene», mi interruppe Gabriel.

Decidemmo dunque di fare una partita a Monopoli, spostandoci al piano inferiore. Il camino era accesso e la stanza era avvolta nella penombra, di cui l'unica fonte di luce proveniva dalla lampada accesa posta all'ingresso.
Ci sedemmo sul pavimento, vicini al tavolino in legno e non potei non notare le continue occhiate che Gabriel mi lanciava.

Non si nascondeva minimamente a me, bensì rimaneva a fissarmi con uno sguardo indescrivibile; sembrava quasi che volesse perforarmi la carne e capire cos'avessi o a cosa stessi pensando.

«Allora io voglio l'omino bianco...», sentii in lontananza la voce della mia amica, mentre qualcosa catturava la mia attenzione: un'ombra alla finestra. Socchiusi gli occhi per mettere a fuoco, ma evidentemente ero solo paranoica, dato che l'unica cosa fuori alla finestra era l'enorme albero piantato da mio nonno tanti anni fa. «Oks... Oks!»

Sobbalzai e voltai velocemente lo sguardo nuovamente al gioco, «mmh... Scusate, allora io voglio quello blu», afferrai l'omino di quel colore.

Il gioco iniziò ed andò avanti per le successive due ore. I ragazzi sembravano essere intenzionati a non mollare e a mio parere stavano prendendo il gioco troppo seriamente.
Sandel rischiava la bancarotta, mentre io e Gabriel avevamo già due alberghi.

Sbuffando, incrociai le gambe e bevvi un sorso di Coca-Cola, mentre Melinda cercava di persuadere i due ragazzi dal continuare. «Perché adesso non ci vediamo un bel film? Proporrei un horror, vi va?»

«Sì, ma questa volta niente lupi, ne abbiamo fin troppi qui dentro», borbottò e all'unisono lo sguardo di tutti si posò su di me. La mia amica abbozzò un sorriso forzato mentre gli altri due rimasero in silenzio.

«Va bene, va bene, niente lupi. Ci sono tanti film da poter scegliere. Possiamo vedere-», qualcuno suonò il campanello e -siccome ero la padrona di casa- mi toccò alzarmi e ad andare a vedere chi fosse.

Scesi al piano inferiore, nel negozio, e mi avvicinai alla porta. «Chi è?», urlai per farmi sentire, ma non sentii nessuno dall'altra parte. Aprii di poco la porta in legno massiccio, lasciando chiusa l'altra metà e mi sporsi verso l'esterno.

Tutto attorno a me era buio, i lampioni illuminano la strada solo parzialmente, il forte vento e i grossi nuvoloni mi fecero intuire che presto sarebbe arrivata una tempesta.

Ciò che mi inquietava, però, era l'assenza di qualsiasi anima viva se non io; chi aveva bussato alla porta? Era un'idiota che voleva solo spaventarmi?

Chiusi nuovamente la porta e la bloccaj con la doppia serratura, sperando che non suonasse il campanello nuovamente.
Indietreggio lentamente, per poi correre su per le scale e rientrare in casa. «Che film avete scelto?»

«Una bambola posseduta... Non ricordo il titolo, chi era?»

«Nessuno, uno stupido scherzo.»

Lei annuì, ma dal suo sguardo potei intuire che era sul punto di chiedermi qualcosa, eppure rimase muta e si sedette accanto a Sandel sul divano.
Siccome l'ultimo posto rimasto era accanto a Gabriel fui costretta a sedermi lì, ma mi appiattii vicino al bracciolo del divano.

Il film iniziò ed io non riuscii a rilassarmi, l'essere che respirava lentamente accanto a me mi distoglieva da ogni attenzione esterna, facendomela focalizzare solo su di lui.
Improvvisamente, qualcosa si avvicinò al mio orecchio e il respiro mi si mozzò in gola. «Smettila di essere così rigida, sento il tuo cuore battere all'impazzata.»

Il suo fiato vicino al mio orecchio mi fece venire i brividi sulle gambe. Deglutii e restai con lo sguardo fisso sullo schermo.
«Non so cosa devo fare per farti capire che non devi aver paura di me, se avessi voluto farti del male lo avrei già fatto. Io voglio proteggerti, da coloro che dovresti veramente temere.»

Le sue parole mi fecero sgranare gli occhi e, lentamente, mi voltai verso di lui. Il suo viso era a pochi centimetri dal mio e la cosa non mi piacque affatto. La mia immaginazione volò troppo e, in un nano secondo, ciò che mi ritrovai davanti non era più in viso di un ragazzo, bensì il muso di un lupo.

Sapevo che non era vero, sapevo che non si era trasformato, ma quando lo guardai negli occhi, vidi solo un lupo feroce pronto ad uccidere la sua preda.
«Non ho bisogno della protezione di nessuno», borbottai nel momento esatto in cui il campanello suona nuovamente.

Sandel stoppò il film, mentre Melinda borbottò un "le pizze" e si affrettò a scendere al mio posto.
«Davvero? Eppure mi sembra che tu sia stata rapita per giorni e che io ti abbia ritrovata...»

«Per puro caso nella foresta», conclusi lanciandogli un'occhiata. «Ascolta, non capisco il motivo per il quale tu mi abbia svegliato io vostro segreto e non capisco nemmeno perché ti ostini tanto ad entrare nelle mie grazie. L'unica certezza che ho è che voglio dimenticare tutto e tornare alla mia deprimente vita adolescenziale. Ho tante domande a cui vorrei delle risposte, ma se queste mi porteranno alla pazzia, ne faccio volentieri meno. Stai lontano da me, non mi sei mai piaciuto e mai proverò simpatia per te», dissi tutto d'un fiato.

«Ti ho mostrato la mia vera natura perché voglio che tu ti fida di me, pensavo che ormai lo avessi capito. Ormai ci sei troppo dentro e non puoi semplicemente dimenticare, quello che ti è successo potrebbe ricapitare e da sola non potrai mai andare avanti.»

«Non parlare come se ti preoccuparsi veramente per me, vuoi semplicemente proteggere te e tuo fratello.»

«Sì, è la verità e non te lo nego, ma penso che mi dispiacerebbe se morissi.»

«Non hai peli sulla lingua a quanto pare.»

«No, oltre a quello che ti ho mostrato non ho segreti da nascondere.»

Abbassai il viso ed osservai la sua mano a quasi dieci centimetri di distanza dalla mia. «Quella volta... Con il coniglio, so che sei stato tu e vorrei sapere il perché.»

«Il perché ti ho aggredita? In realtà non eri tu la mia preda, io miravo al coniglio; sia chiaro, non per mangiarlo, ma perché aveva un odore sospetto.»

«Un odore sospetto?»

«Aveva lo stesso dei Rosius, pensavo che in qualche modo fossero collegati.»

Il coniglio... C'era qualcosa che mi era sfuggito, qualcosa a cui non avevo mai dato molta importanza. «Gabriel, ricordi quando ti dicevo che vedevo una nube verde?»

«Sì, lo ricordo, dunque?»

«Ho iniziato a vederla subito dopo il morso, prima non l'avevo mai vista.»

«Mmm...», emise solo un suono, dopodiché abbassò il viso immerso in chissà quali pensieri.

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