XXIII ~Sguardo penetrante~

Oks

Un nuovo giorno era ormai arrivato e con esso anche i continui notiziari per l'accaduto del giorno precedente. La scuola aveva ufficialmente lanciato un avviso, secondo il quale si stabiliva l'interruzione delle lezioni per un'intera settimana.

Quella mattina, dunque, mi alzai più o meno verso le undici e mi godetti la tranquillità che solo l'ambiente montuoso può regalarti. Come loro solito, mia madre e mia sorella erano già in negozio.

L

a scorsa sera avevamo avuto finalmente l'occasione di chiarire con nostra madre, la quale ci aveva chiaramente prese per pazze. La cosa che più mi colpì, però, fu la sua faccia perplessa quando le dicemmo dell'accaduto; quasi come se non ricordasse di aver ricevuto una chiamata da Bilel. Subito dopo, oserei dire a macchinetta, ci fornì una risposta ad ogni nostro dubbio: Bilel aveva bisogno di un aiuto -come immaginavo- per prelevare un animale da portare al macello e il terriccio dei suoi vestiti non era altro che la tragica fine di una scivolata.

Anisha, imbarazzata, aveva subito iniziato a blaterare cose inutili pur di non dar peso a ciò che veramente aveva detto.

Abbozzando un sorriso per la stupidaggine di mia sorella, decisi svogliatamente di alzarmi dal letto e di andare in cucina per mangiare una fetta della torta avanzata. Nel mentre controllai le notifiche del cellulare.
Come se avesse le telecamere in casa e sapesse di trovarmi sveglia, mi arrivò una chiamata di Melinda.

«Hey, ancora innervosita per ieri?», le chiesi masticando.

«Sì e no, mi dispiace essermi allenata duramente per nulla, ma almeno qualcosa di positivo l'ho ricavato. Ieri Gabriel e Sandel sono rimasti a casa mia per quasi tutta la giornata e non puoi capire l'emozione di avere Sandel in camera mia…», ridacchiò, «comunque non ti ho chiamata per questo, sei libera oggi pomeriggio? Vorremmo andare in quel centro commerciale vicino paese, quello dove ti portò Efrem.»

Ripensai subito alla serata in discoteca, mi ero ripromessa di non uscire più con loro per non rovinare sempre tutto e ci tenni a mantenere la parola data. Non capii il motivo per il quale provavo sempre una strana e straziante sensazione in negativo ogni qualvolta che li incontravo. Forse non ero abituata alle uscite di gruppo, forse non mi sentivo a mio agio o forse ero invidiosa di come la mia amica fosse tanto fortunata. Fatto sta che era frustrante.
«Grazie mille per l'invito, ma oggi proprio non posso, devo aiutare mamma in negozio.»

«Davvero? Oggi non hai lo scarico merci e tu non aiuti mai in negozio. La vera domanda è: non puoi, o non vuoi?»

Non voglio...
«Davvvero... Non posso, sarà per la prossima volta.»

«Va bene, ma sai bene che non ci sarà una prossima volta, non andiamo praticamente mai lì. Comunque ci vediamo.»

«Perfetto, ciao.»

Staccai la chiamata e finii di mangiare con foga la mia colazione. Decisi di indossare una tuta e mi sdraiai come un bradipo sul divano. Ecco, quelle erano le belle giornate che amavo.

Il mio pensiero, però, volò alla collana che avevo perso ed istintivamente mi portai una mano al petto. Quella collana era di vitale importanza per me, me la regalarono i miei nonni di Northside poco prima della morte di mio padre. Sostenevano che quella collana fosse stata tramandata da generazione in generazione e che fosse stata creata da Seline, la quale era la mia bis bis bis -tanti bis- nonna. Mi avevano chiesto di non perderla mai, essendo particolarmente religiosi, credevano che la collana mi proteggesse da ogni male e che mi trovasse ogni qualvolta mi perdessi. Non avevo mai capito il reale significato di quelle parole e forse mai lo avrei capito.

La collana raffigurava un angioletto con le ali, fatto interamente in argento e brillantinato sulle spalle e sul vestito dell'Angelo, infine aveva un piccolo cuore all'altezza del petto composto da un raffinato intreccio in oro.

Ricordavo ancora l'emozione che provai quando aprii il regalo. Non avevo il coraggio di dirlo ai miei nonni, ma sapevo che prima o poi lo avrebbero scoperto.

Sbuffai ancora una volta e mi alzai con uno scatto dal divano. Impossibile che una collana fosse scomparsa magicamente, a meno che non l'avessero trovata e presa. Forse uno di quei vandali, o forse la polizia durante la perlustrazione.

«Mamma vado un attimo da Melinda, torno per pranzo!», urlai, correndo fuori dal negozio.

A passo spedito mi incamminai verso la fermata del bus, sperando di non dover attendere tanto. La scuola, nonostante avesse interrotto le lezioni, aveva di sicuro aperto i cancelli per le indagini in corso, dunque potevo benissimo chiedere ai presenti se avessero trovata una collana.

Quando giunsi davanti all'edificio, un brivido mi percorse la spina dorsale ed osservai attentamente gli uomini che camminavano avanti e indietro con fogli bianchi in mano.

A passo lento mi avvicinai ad uno di loro, chiedendomi il motivo di tutto quel mio coraggio, i nonni avrebbero potuto benissimo regalarmene un'altra, no?  Stavo realizzando che forse la mia idea non era tanto geniale.

«Buongiorno», borbotto educatamente.

«Buongiorno, posso aiutarti?»

«Sì, in realtà sì, volevo chiedervi se ispezionando il cortile avete trovato una collana a forma di Angelo. L'ho persa ieri e ci sono molto affezionata.»

«No, non mi sembra.»

Come immaginavo, anche se un briciolo di speranza ce l'avevo. «Va bene, scusi il disturbo.»

Sconsolata mi incamminai verso il paese, pensando a come potevo dirlo ai nonni. Scacciai via qualche sassolino e fissai il marciapiede come se potesse darmi una risposta immediata.

Improvvisamente, però, senza che qualcuno pronunciasse il mio nome, alzai il viso e mi guardai attorno. Dentro di me nacque una nuova ed inquietante sensazione, la convinzione che qualcuno mi stesse chiamando, ma in quella stradina c'ero solo io e due cani randagi.

Continuai a guardarmi attorno, ma proprio nel momento in cui stavo per darmi dell'idiota, vidi un uomo fissarmi da lontano.

Il mio sesto senso non sbagliava mai ed era ciò che più mi spaventava. Deglutii ed iniziai a camminare dalla parte opposta. Il modo in cui mi guardava metteva i brividi, la sua espressione era seria e non batteva le palpebre nemmeno per un secondo. Il suo sguardo era penetrante e sembrava volermi spogliare a nudo.

Mi fermai e mi voltai, trovandolo ancora lì a fissarmi. Rimasi imbambolata ad osservarlo, fin quando non lo vidi fare un passo in avanti e fu allora che mi risvegliai dal mio stato di trans ed iniziai ad avanzare sempre più velocemente verso la fine del viale. Ero sicura che quell'uomo non era residente in paese, non l'avevo mai visto prima, altrimenti avrei sicuramente ricordato la sua faccia da maniaco.

Una volta arrivata in piazza, mi voltai per un controllo di sicurezza e per fortuna non lo vidi. Sospirai con ancora il cuore a mille e feci per proseguire, ma venni bloccata dalla voce della mia amica.
«Oks che ci fa qui?», chiese allegra con in mano la sua spesa.

«Melinda!», quasi sobbalzai, «commissioni, tu sei andata a fare la spesa?»

«Sì, ho preso qualcosa per il bar. Comunque sono andata a casa di Sandel stamattina presto e, non ci crederai mai, ma ho cambiato totalmente la mia idea sulle roulotte. La sua è molto grande e ben arredata, mi piacerebbe vivere lì», sorrise sempre radiosa.

Cosa aveva appena detto? «Sei andata a casa sua? Tu non sei mai entrata in casa di un ragazzo, specialmente se non ci sono i genitori.»

«Lo conosco da due mesi e lo vedo praticamente ogni giorno, inoltre mi fido di lui.»

«Non dovresti fidarti. Ricorda che se ne andranno tra pochi mesi, potresti rimanerci male da questa amicizia.»

«Sandel mi ha detto che devono risolvere alcune faccende, dopodiché potrebbero decidere di restare.»

«Io ti consiglio comunque di non dargli troppa confidenza... insomma non sappiamo praticamente nulla di loro: vivono in roulotte, non hanno un lavoro fisso e potrebbero essere addirittura zingari», le confessai finalmente i miei pensieri.

«Va bene Oks, stai vaneggiando. Non sono zingari, come lavoro fanno i cacciatori e ti assicuro che-»

«Abbiamo opinioni diverse sul loro conto», la interrompi, «è inutile discutere.»

«È questo il vero motivo per il quale oggi non esci con noi, vero?», si rattristò improvvisamente e ancora una volta mi congratulai per aver rovinato la giornata ad un'altra persona.

«Non è l'unica causa, adesso devo andare, sono letteralmente fuggita di casa e mia madre sarà su tutte le furie.»

«Va bene», abbassò il viso, «ci sentiamo allora.»

La lasciai andare via, consapevole che quella era la nostra prima semi-discussione.

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