XXI ~Attacchi sconosciuti~

Stringevo forte il corpo di mia sorella tra le braccia, mentre i singhiozzi le facevano vibrare la schiena. Il suo petto era schiacciato al mio e potetti sentire perfettamente il cuore batterle a ritmi molto, ma molto più veloci dei miei.

Siccome non avevo avuto il coraggio di chiederle cosa fosse successo, mi limitai a darle il mio supporto seppur in silenzio. Per noi gli abbracci valevano molto più delle parole, anche se personalmente poche volte mi avevano onorata con quel piccolo gesto.

Lentamente si staccò dal mio corpo e porta l'indice davanti alle labbra, facendomi segno di rimanere in silenzio. Con la mano pulita, dato che l'altra era sporca di quello che sperai non foss sangue, mi afferrò un braccio e mi trascinò verso il bagno. Una volta giunte lì per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva, vidi il lavandino pieno di carta igienica sporca e sul pavimento abiti da uomo con buchi suoi pantaloni e chiazza di fango insieme ad una maglia bianca anch'essa sporca.

«C-Cos'è successo?», chiesi finalmente.

Lei si lavò le mani energicamente, strofinando le dita sulla pelle talmente forte che non si rese conto che lo sporco ormai era andato via e le mani si erano arrossite dallo sforzo. «Avevi ragione... Così come avevo ragione io, quell'uomo non fa per mamma, ma lei è troppo stupida per rendersene conto, o è troppo intelligente per non dirci nulla.»

Non capii il senso delle sue parole. Stava parlando di Bilel, l'uomo con cui avevamo cenato qualche sera prima, colui che dal primo momento avevo odiato, ma non capivo cosa centrasse lui con ciò che mi ritrovavo davanti.

«È entrato in casa pieno di sangue, voleva l'aiuto di mamma per...», gli occhi le si riempirono di lacrime, «Dio, non posso crederci. Voleva che mamma lo aiutasse con una faccenda che non ha voluto chiarire. So solo che quando sono tornati, lui era ricoperto di fango e terriccio, mamma di... Di sangue», si voltò di scatto verso di me. «Non puoi capire come mi sono sentita in quel momento e come mi sento tutt'ora! Ho avuto paura, ecco perché ho chiamato te; mamma come se nulla fosse successo, si è tolta i vestiti e mi ha ordinato di lavarli. Capisci? Mi ha consegnato abiti ricoperti di sangue e non mi ha degnata nemmeno di una spiegazione! Io... Io non riesco più a vederla con gli stessi occhi di prima», scosse il viso, afferrando i panni di Bilel e mettendoli in una cesta di legno. «Non dopo quello che ha fatto. Non so di chi fosse quel sangue, ma non ho intenzione di stare nella stessa casa di una assassina!»

«A me Bilel non è mai piaciuto, ma non penso abbia il coraggio di uccidere delle persone. Forse voleva un aiuto da mamma per ammazzare qualche animale, ricorda che lui fa il macellaio, è suo compito. Non voglio assolutamente difenderlo, ma stai volando troppo con la fantasia; nostra madre non è un'assassina, nessuno lo è in questo paese. Hai solo subito uno shock per quello che hai visto, consiglio di andare dal mamma -adesso- e di chiederle spiegazioni.»

«Secondo te lei c'è le darà? Io... Io non so che pensare, se è vero quello che supponi, perché ha chiesto alla mamma di aiutarlo a seppellire chissà chi? Un macellaio quando sta per squartare un animale indossa gli abiti adeguati e non quelli che si usano tutti i giorni, inoltre non seppellisce i loro corpi! Altrimenti non saprei spiegare il fango e la terra.»

«Anisha», sospirai, passandomi una mano tra i capelli, «cosa vorresti fare? Andare dalla polizia e denunciarlo? Con quali prove poi? Per favore, esiste una spiegazione logica a tutto, ritorna con i piedi per terra e non farneticare cose senza senso; stai accusando un uomo di omicidio, è un'accusa bella pesante questa.»

«Come fai ad avere così tanta fermezza? Se avresti visto quello che-»

«Anisha, basta!», mi spazientii. «Parliamone con mamma e togliamoci ogni dubbio.»

«E cosa le dici? "Ciao mamma hai per caso ucciso qualcuno?"»

«Anisha ti prego smettila», sbottai esasperata. «Non ho visto la sua macchina, dunque deduco che non ci sia in casa», riflettei poi ad alta voce.

Lei annuì, «sì, dopo l'omicidio è andata da Bilel.»

«Hai per caso assunto qualche farmaco? Perché sto iniziando seriamente a preoccuparmi, non è da te perdere il controllo.»

Lei si strofinò gli occhi lucidi, dopodiché sospirò amaramente, come se in quel momento io fossi la bambina che non comprendeva la situazione e lei fosse la dolce mamma che faceva di tutto per fargliela comprendere. Mi afferrò la mano e, silenziosamente, ci incamminammo verso la sua camera. «Sono stanca, troppo stanca, andiamo a dormire e domani lo chiediamo alla mamma, come vuoi tu», borbottò, mentre io mi convinsi sempre di più che avesse assunto qualcosa; si comportava in modo troppo strano.

Si sdraiò sul letto e mi fece sdraiare accanto a lei. Non mi diede il tempo di ribattere che mi strinse forte. Io e lei avevamo un rapporto strano, ci parlavamo raramente, ma eravamo sempre presenti l'una per l'altra; dunque non avevo il coraggio di abbandonarla e di farla dormire da sola.

La notte passò velocemente e il mattino seguente mi svegliai con mezz'ora di ritardo, poiché avevo dimenticato di impostare la sveglia e mamma ancora non era arrivata per chiamarmi. Mi alzai frettolosamente dal letto ed andai al bagno per lavarmi.
Era giunto il grande giorno, finalmente le lezioni erano sospese per l'inizio dei campionati. Con tutta la fatica che noi studenti avevamo fatto per far sì che fosse una giornata memorabile, se qualcuno avrebbe avuto da ridire su qualcosa, lo avrei ammazzarlo.

Anisha mi raggiunse poco dopo tempo in cucina, con indosso ancora il pigiama. «Oggi c'è il festival vero?»

Annuii ed afferrai un bicchiere per bere. «Potresti venire anche tu, possiamo far venire chi vogliamo, non è qualcosa solo per la scuola.»

Tamburellò le dita sul tavolo e rimase in silenzio, mentre io preparai la borsa e l'occorrente per la giornata.
«Va bene, non potrei comunque aprire il negozio, dato che mamma ha portato con sé le chiavi. Mi farà bene passare una giornata diversa, con tutta questa monotonia rischio di impazzire.»

«Già e ne abbiamo avuto prova ieri sera, fai presto, o perderemo il pullman.»

«A tal proposito, ti chiedo scusa per ieri. Forse mi sono spaventata a tal punto da inventarmi una storia assurda, ma comunque voglio chiedere alla mamma cosa hanno fatto.»

«Non devi scusarti, ma adesso sbrigati, non voglio rischiare di prendere un'altra sgridata da Melinda.»

Lei annuì e sparì dalla mia vista dopo pochi secondi. Per fortuna riuscimmo a non perdere il pullman e arrivammo a scuola cinque minuti dopo la sua apertura.
All'ingresso vi erano due colonne di palloncini con un enorme striscione di benvenuto, fatto ovviamente da me.

Lungo il cortile erano state posizionate delle bancarelle con su dei volantini che illustravano lo svolgersi della giornata e le varie postazioni delle diverse prove. La scuola colse quella occasione per pubblicizarsi, ma mi chiesi il motivo, dato che era l'unico liceo presente in zona; infondo non aveva rivali.

Mi guardai attorno e mi resi conto che non avevo mai visto il cortile così affollato ed erano solo le otto e un quarto del mattino.
Non vi erano solo studenti con le proprie famiglie, ma anche tante altre persone che per l'occasione avevano chiuso il proprio negozio ed erano giunti fin lì.

Solitamente, in qualsiasi altro paese, quella giornata non aveva chiessà quanta importanza, ma da noi sì.
«Accidenti, erano anni che non entravo in un ambiente scolastico», affermò Anisha, guardandosi attorno meravigliata.

«Non ti perdi nulla tranquilla, dobbiamo andare nel cortile dietro la scuola, lì si terranno le gare di atletica», la informai, incamminandoci verso la pista da corsa.

Per fortuna quel giorno uscì il sole, nonostante non facesse tanto caldo.
«Oks!», sentii urlare alla mia sinistra. Non appena mi voltai, vidi Melinda scuotere la mano per richiamarmi, insieme ai genitori e a due ragazzi particolarmente familiari. Corse verso di me e mi strinse forte, era particolarmente arzilla quel giorno. Non concepii, però, come potesse indossare pantaloncini con quel freddo. «Anisha, non pensavo saresti venuta anche tu», si voltò poi verso mia sorella, mentre io salutai i suoi genitori.

«Sì, sempre meglio che stare in casa da sola. Ciao ragazzi», salutò con un timido cenno della mano i due presenti.

Gabriel, sorprendentemente, si guardava attorno sorridendo. Raramente avevo visto quel ragazzo sorridere e mi chiesi perché lo facesse proprio in un ambiente scolastico, forse per le striminzite divise delle cheerleader.

Entrambe ci sedemmo al tavolo di legno che avevano portato i genitori di Melinda. Ebbene si, come da tradizione, ogni famiglia portava un piccolo tavolino o delle lenzuola su cui potersi sedere. Dato che le gare sarebbero durate fino al tardo pomeriggio, si coglieva l'occasione per pranzare tutti insieme. Ecco perché era un grande evento per il paese, si poteva passare una giornata diversa dalle altre.

«I canditati si affrettino a raggiungere le proprie postazioni, ripeto: I canditati si affrettino a raggiungere le proprie postazioni», urlò la professoressa di educazione fisica all'altoparlante.

«Bene! Il primo turno è il mio, fate il tifo ragazzi!», urlò super felice la mia amica, facendomi sorridere.

Il mio sorriso, però, svanì quando un improvvisa e strana sensazione si impossessò di me. Un peso opprimente iniziò pian piano a gravare sul mio petto, bloccandomi il respiro e facendomi sudare freddo.

Era la medesima sensazione avvertita il giorno prima, eppure era una normale giornata, cosa sarebbe potuto accadere? La voce della professoressa che diede il via la sentii lontanissima. Il battito della mani e le urla dei presenti sembravano essere stati vittime di un pulsante che li faceva procedere a rallentatore. Mi guardai attorno con il respiro corto.
Provai ad individuare una qualsiasi cosa che fosse anomala, ma l'unica cosa che colsi furono gli abissi chiari di Gabriel che mi squadravano intensamente.

«Va tutto bene?»

«Io... Non lo so, ho una brutta sensazione», mi maledissi per averglielo detto. «Cioè...»

«Hai l'espressione di una che sta per avere un attacco di panico, di cosa hai paura? È una bellissima giornata e tutti si stanno divertendo.»

Non seppi il motivo, ma nella mia mente ritornò la figura di quella strana creatura vista il giorno prima. Quasi come se fosse lei il campanello di allarme. Un fischio mi fece serrare gli occhi e proprio in quel momento vidi una scena: il cortile scolastico avvolto da una nube oscura e verdastra, tutti i presenti che correvano impauriti e poi il nulla.

«Oks, stai sanguinando dal naso», udii la voce di mia sorella al mio fianco. Riaprii gli occhi sempre più confusa e provai a tastare il liquido che mi scorreva dal naso, ma una mano mi fermò.

«Non toccare, ti sporcheresti solo le mani», la mano di Gabriel era bollente a contrasto con le mie dita ghiacciate. Il caos che mi regnava in mente venne improvvisamente sostituito dalla quiete. Il mio corpo si rilasso subito a seguito di quel contatto e non ne capii il motivo.
Mia sorella mi passò un fazzoletto di carta che presi con la mano libera, mentre l'altra -forse me ne accorsi troppo tardi- era ancora ancorata a quella di Gabriel. Gliela stringevo quasi come se ne dipendesse la mia vita, temevo che se gliel'avessi lasciata avrei avuto nuovamente ansia.
Una volta aver tamponato per bene, voltai lo sguardo sulla pista. Non riuscii a vedere bene, in quanto ero ancora seduta al tavolino.

Vidi Sandel incitare la mia amica e  sostenerla, avrei dovuto esserci anch'io lì. Ebbi giusto il tempo di alzarmi che la mia attenzione venne catturata da un oggetto nel cielo che a grande velocità si avvicinava noi.

Sgranai gli occhi, non riuscendo a capire cosa fosse.
«Gabriel... Gabriel cos'è quello?», chiesi con voce tremante.

«Cos-», non ebbe nemmeno il tempo di concludere la parola che quel anomalo oggetto si schiantò sul terreno procurando un boato assordante e facendo addirittura tremare la terra.

La gente subito si alzò dalla propria posizione ed iniziò ad urlare, mentre altri oggetti ancora privi di identificazione si schiantavano al suolo.

«Oks, cosa sta succedendo?», chiese mia sorella impaurita.
Le afferrai la mano, ma non staccai gli occhi dal campo.

Sandel subito si sollevò ed iniziò a correre verso Melinda, la quale -avendo sentito la terra tremare sotto i piedi- aveva perso l'equilibrio ed era caduta.

Da quel momento in poi il caos regno sovrano: la gente urlava, scappava, mentre quelle cose continuavano a cadere dal cielo. L'aria iniziò ad appesantirsi, l'ossigeno a nostra disposizione sembrava mancare sempre di più.

Anisha iniziò a tossire, ma io no, nonostante i miei polmoni pian piano iniziassero a bruciare. Anche se gli occhi pizzicavano dal troppo sforzo per trattenere quanto più ossigeno possibile, tenni lo sguardo puntato sul campo.

Mia sorella iniziò a chiamare i genitori di Melinda, pronta a scappare il prima possibile. Un'improvvisa nube verde, però, mi costrinse a chiudere gli occhi ormai esausti.

Venni trascinata lontano, in mezzo alla folla che tentava di fuggire dal cancello principale. Durante la corsa avevo visto qualche uomo sdraiato a terra, altri che si inginocchiavano e si sorreggevano la testa. Tutto era troppo confuso, troppo era il caos e non riuscivo a capire nulla.

Quando il panico stava iniziando a salire, istintivamente mi portai la mano libera al collo per stringere nel palmo una delle mie collane preferite, regalatami un paio di anni prima dai miei nonni di Northside. La portavo ogni giorno, mi aiutava ad affrontare gli improvvisi attacchi di panico o le spiacevoli situazioni, ma sgranai gli occhi quando non percepii alcun metallo freddo.

Più volte provai a cercarla, ma nulla. Staccai la mano da quella di Anisha ed iniziai a guardare attorno e per terra. Purtroppo mi era molto difficile farlo e la gente che continuava a spintonarmi di certo non aiutava.

«Oks! Oks dove vai?», sentii urlare mia sorella da lontano.

«Segui i genitori di Melinda e gli altri, torno subito!», mi allontanai, facendomi spazio tra la gente

«Oks è pericoloso!»

Ma non le diedi ascolto, iniziai a spintonare le persone che correvano nella direzione opposta alla mia. Mi feci strada fino al cortile retrostante, respirando a fatica e muovendo velocemente le pupille per guardare quanti più punti possibili.

Mi inoltrai in quella strana nube verdastra e continuai a cercala. Non potevo perderla, era troppo importante per me.

Ripercorsi il tragitto che avevo fatto correndo e poggiai le mani al suolo per testarlo, con tutto quel fumo non vedevo un cavolo.

«Dove s-», borbottai, ma improvvisamente venni afferrata da dietro e sollevata d'un botto. «Ahh!!», urlai, senza capire chi mi avesse sollevata con tanta facilità. Iniziai a scalciare e a battere i pugni, ma quando la mia mano si poggiò su una schiena rugosa e viscida sgranai gli occhi e la ritrassi immediatamente. «Aiuto!», urlai ancora una volta, ma sapevo benissimo che nessuno sarebbe venuto.

Non riuscivo a vedere nemmeno la creatura che avevo davanti, ma ero certa che non si trattasse di un essere umano.
Venni scaraventata al suolo e la botta che presi alla schiena mi fece gemere dal dolore. Fu allora che riuscii a vedere un'ombra alta più di due o tre metri, con larghe spalle e gambe sottilissime. Mi sembrava di aver già visto una figura del genere, in quella sorta di visione.

La figura avanzò verso di me, ma io non retrocessi dalla troppa paura; ammisi anche che non vedevo l'ora di capire cosa fosse. Peccato, però, che improvvisamente fece un balzo all'indietro nel momento esatto in cui venni nuovamente afferrata dalle spalle e tirata su.

Ero pronta a voltarmi e a schiaffeggiare chiunque fosse, ma mi bloccai quando vidi il viso di Gabriel. Mi fissava serio o preoccupato, non riuscii a ben capire. Strinse notevolmente la presa sul braccio, per poi iniziare a correre verso l'uscita di emergenza della scuola.

Stavo per dirgli che la porta era chiusa dall'interno, ma con una strabiliante forza ruppe la maniglia e mi spinse dentro senza alcuna esitazione.

Con il respiro irregolare si poggiò poi alla parete adiacente ad essa e ciò mi fece intuire che avesse trattenuto il fiato per tutto il tempo. «Hai... Hai respirato quella cosa?», chiese con affanno.

«Erano solo fumogeni, perché mi hai portata qui dentro, io devo-?», avrei dovuto ringraziarlo per avermi aiutata!

«Fumogeni? Fidati, quelli non erano fumogeni e avrebbero potuto anche ucciderti se avessi continuato a respirarli.»

«Ho visto qualcuno», esclamai, «prima che tu arrivassi, c'era qualcuno in mezzo a tutto quel fumo, a lui non fanno male?»

Aggrottò la fronte, «hai visto qualcuno? Sapresti identificarlo?»

Scossi il viso, mentendo parzialmente. Cosa avrei potuto dirgli? Mi avrebbe presa per pazza. «No, mi dispiace.»

Sospirò, «comunque sia, tutti ti stanno cercando. Dobbiamo uscire dalla porta principale, se non vogliamo rischiare di morire soffocati», fece un passo in avanti per poi fermarsi, «perché li hai definiti fumogeni?»

«Osi anche chiedere? L'intero cortile è avvolto da quella nube verde!»

«Nube verde...», ripeté, «va bene, adesso andiamo.»

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