XLVIII ~Sorelle di sangue~
Oks
26 Dicembre.
L'unico giorno in cui ero riuscita a dormire come un ghiro fino alle undici e, a quanto pare, non ero stata la sola.
Non appena avevo aperto gli occhi ed avevo messo a fuoco la stanza, subito avevo notato una sagoma accanto a me.
A primo impatto mi ero spaventata, poi avevo ricordato quello che era successo la scorsa sera: ero stata io a chiedere a Gabriel di restare, doveva essersi addormentato con me dalla stanchezza.
Per ringraziarlo della sua gentilezza, gli preparai una buona -anche se misera- colazione e subito dopo andai a casa sua per aiutarlo con le pulizie e con i nuovi mobili.
Per tutto il tempo non aveva fatto altro che lanciarmi veloci occhiate, non ne capii il motivo, ma sentivo che -forse- aveva qualcosa da dirmi e non ne aveva il coraggio.
Dopo averlo salutato, mi diressi in farmacia per prendere delle bustine per il mal di testa, era dalla mattina che lo sopportavo e preferivo prendere qualcosa che mi aiutasse.
Mi strinsi le braccia attorno al busto e cercai di coprirmi quanto più possibile con il mio cappotto.
Il paese sembrava deserto, tutti i negozi erano chiusi e nemmeno un persona si vedeva per strada; solitamente solo la farmacia era aperta per le emergenze.
Continuai a camminare spedita, fin quando non intravedi una ragazza in lontananza. Piantai i piedi sul suolo innevato e il respiro mi si bloccò nei polmoni. La vidi avanzare verso di me, mentre io avrei voluto solo indietreggiare, ma ero letteralmente bloccata.
«Oks...», sussurrò lei con lo sguardo perso nel vuoto. Il suo viso era pallido, profonde occhiaie le contornavano gli occhi, i capelli erano unti e sembrava essere totalmente in un altro mondo. Non capii se fosse spossata, confusa, ma soprattutto non capii cosa ci facesse lì.
«Anisha», le parole si dispersero nell'aria. «Cosa ci fai qui? Ti hanno mandata loro?», era una gioia rivederla, ma non capivo se fosse scappata o se l'avessero lasciata andare di loro spontanea volontà.
Scosse il viso lentamente, «no... Cioè sì, mi hanno detto che molto presto tu saresti tornata dalla mamma e mi hanno lasciata andare. Ho passato tutta la notte a vagare per il bosco, non capivo dove fossi.»
La vidi abbassare il viso, «penso che il mio compito sia quello di sorvegliarti.»
La raggiunsi a passo lento, non sapendo cosa fare o dire. Lei era lì, davanti ai miei occhi, ma nel suo sguardo non vedevo la sorella con cui avevo vissuto per diciotto anni. «Se il tuo compito è sorvegliarmi, prima o poi dovrai fare rapporto e loro verranno a prenderti.»
«Quando quel giorno arriverà, ci prenderanno entrambe», sospirò, «dobbiamo tornare a casa, al sicuro: non sono l'unica ad essere stata liberata, Efrem è nei paraggi.»
Un sussulto mi percosse il corpo, mentre gli ultimi momenti passati con lui scorrevano come un filmino nella mia mente. «Perché?», le afferrai un braccio e velocemente mi incamminai verso casa nostra. Non sapevo se stavo facendo la cosa giusta, ma in quel momento era l'unica cosa che mi era passata per la mente.
«Non lo so, lui è diverso da me... Gli hanno fatto una sorta di lavaggio nel cervello, è cambiato.»
«Lo hanno fatto anche a te?»
«Non lo so, non ricordo molto», esclamò e sperai che fosse la verità.
Una volta giunte a casa, velocemente accesi i riscaldamenti e le portai un plaid con cui avvolgersi; era gelida come un ghiacciolo. «Va bene, facciamo una sorta di resoconto: ad Efrem è stato fatto il lavaggio del cervello e ciò spiegherebbe il suo comportamento l'ultima volta che l'ho visto, nostra madre sembra seguire alla lettera tutte le idee folli di Bilel e mi chiedo se anche lei non sia sotto qualche droga o ipnosi, Bilel è a capo di mostri chiamati Rosius...», mi portai una mano alla fronte, «ma c'è sempre qualcosa che mi sfugge.»
«Loro ti tengono d'occhio da tanto tempo, quasi dalla fine dell'estate; nonostante fossi prigioniera, sentivo i loro discorsi nella stanza accanto. So per certo che ti hanno indebolita prima psicologicamente, poi sono passati al controllo dei tuoi spostamenti e infine si sono accertati che tu fossi ciò che loro desiderano.»
Mi sedetti accanto a lei sul divano, «come controllavano la mia mente e il mio corpo?», chiesi più a me stessa che a lei.
«Bilel porta sempre con sé la tua collanina a forma di angioletto ed è grazie a quella che può seguirti sulla mappa, sa che ultimamente sei stata a Northside.»
Sgranai gli occhi e rimasi in silenzio, il respiro mi diventò pesante ed affannai. La collana, ma certo! Era un oggetto a cui tenevo particolarmente, un oggetto che mi rappresentava, ecco perché il giorno del festival non l'avevo più trovata, erano stati i loro seguaci a prenderla.
«Inoltre ho scoperto che è lui il responsabile della tua scomparsa, è stato lui a catturarti e a tenerti con sé per due settimane. Voleva scoprire a tutti i costi la tua vera natura, ma ammetto che questa parte non l'ho ben capita... Che natura dovrebbe scoprire? Tu sei mia sorella, abbiamo lo stesso sangue, sei nata e cresciuta con me accanto, cos'hai che non va?», la sua voce si incrinò e ciò mi portò a fissarla intensamente.
«Non sono tanto umana quanto sembra. Anisha, cazzo, siamo in una situazione troppo difficile da gestire, ma forse insieme possiamo farcela. Io non mi lascerò catturare da loro e non lascerò che Bilel faccia del male alla mia famiglia. Sono debole, irascibile, egoista ed insicura, ma quando una persona ottiene la mia fiducia e stima, non ci penso due volte a salvarla.»
«Non dire altro... Tu non capisci contro chi ti stai mettendo! Lui è peggio di quei mostri, lui è il Diavolo», gli occhi le si riempirono di lacrime, «non puoi nemmeno immaginare cosa è in grado di fare, ha un potere sovrannaturale immenso; riesce ad annebiarti la mente, a controllare gli oggetti e a sottomettere anche il peggior dei mali.»
«Non mi fa paura», affermai sicura, «non penso mi ucciderà facilmente, se è me che vuole. Comunque sia, hai per caso scoperto perché sono l'unica a vedere il veleno che i suoi seguaci gettano?»
Annuì, «quello faceva parte della prima fase: farti impazzire. Ti ricordi quando mamma ti ha accompagnato dal medico per il morso del coniglio? Bene, quel coniglio è il suo animale domestico e ti ha morsa affinché quel veleno entrasse dentro di te.»
Il coniglio... Ecco perché Gabriel mirava a lui, sapeva che in quell'esserino ci fosse qualcosa di anomalo. I pezzi del puzzle si stavano lentamente incastrando e forse Anisha mi avrebbe aiutata maggiormente.
«Queste informazioni mi sono molto utili, davvero, ma per ora non pensiamoci. Sei molto pallida e sembri parecchio stanca, che ne dici di fare un bel bagno caldo e di mangiare una zuppa? Non preoccuparti di altro, ci pensero io ad informare chi di dovere e a proteggerti. Ti giuro su chi ho di più caro al mondo che non sarai più sola.»
Con ancora lo sguardo nel vuoto annuì, ma ero sicura che la sua mente stava elaborando solo pensieri negativi; sicuramente pensava che per noi non c'era una via di uscita, che eravamo in un enorme tunnel sotterraneo con Bilel che controllava le valanghe: la nostra vita dipendeva da lui, ma si sbagliava di grosso. Non mi ero mai lasciata comandare da nessuno e non avevo intenzione di farlo proprio allora.
L'accompagnai in bagno e le riempii la vasca. Successivamente tornai in cucina e le preparai una buona zuppa di lenticchie, la sua preferita. Dovevo assolutamente informare Gabriel, ma per il momento volevo solo accettarmi che mia sorella stesse bene.
«Hai finito il bagnoschiuma», esclamò con voce roca, mentre si sedeva a tavola, seguita a ruota da me.
«Così come ho quasi finito i soldi», sospirai, «questo è seriamente un problema.»
«Sarebbe inutile aprire il negozio.»
Feci per darle ragione, ma un improvviso capogiro mi fece zittire. Fui costretta a portare una mano alla fronte, mentre la vista si offuscava. «T-Torno subito», mi alzai barcollando e mi avviai verso il bagno.
Mi sciacquai il viso con acqua ghiacciata, ma sembrò non funzionare. Come un veloce lampo, un immagine mi comparve davanti agli occhi e non scomparve in pochi secondi, anzi rimase lì e lentamente diventò sempre più nitida.
Vidi una sagoma alta, ma non ne distinsi i tratti. Provai a mettere bene a fuoco e man mano misi a fuoco le braccia, le gambe e il viso: Bilel.
Se ne stava in piedi con le braccia conserte e sembrava voler riflettere su qualcosa. Una porta alla mia destra venne aperta e da essa entra mia madre.
«Ha fallito», il suo tono sembrava stereo e lontano. «Dobbiamo agire?»
«Non ancora, non ha capito come usare i suoi poteri. Se agiremo adesso, avremo fatica doppia dopo.»
«Conoscendola potrebbe impiegarci anni, inoltre non sappiamo cosa di specifico deve sviluppare.»
«A gennaio ci uniremo e il frutto ricavato sarà in grado di darci ogni spiegazione. Ci vorrà del tempo, questo è certo, ma se affrettiamo le cose non arriveremo a nulla.»
«Sei sicuro di volerlo fare?»
«Sì, puoi stare tranquilla», le si avvicinò, afferrandole i fianchi. «Lui non correrà alcun rischio, te lo posso assicurare.»
Una forte emicrania mi spinse a serrare gli occhi e a gemere dal dolore. Di cosa stavano parlando? Chi non avrebbe corso rischio?
A tali domande non potei dare una risposta, poiché un buio opprimente mi circondò e mi risucchiò.
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