XLVII ~Emozioni uniche~
Oks
Sinceramente parlando, non avrei mai pensato che il giorno di Natale -dopo tutto quello che avevamo passato- Melinda si presentasse a casa e mi portasse una colazione a sorpresa.
La sua presenza mi rallegrava e per un po' non mi faceva pensare alla mia famiglia e a tutti i problemi che dovevo ancora risolvere. Avevo notato che per la maggior parte del tempo aveva risposto a continui messaggi e mi chiesi se avesse qualche altra sorpresa in serbo; la risposta era sicuramente no, eravamo appena tornate da Northside e non aveva avuto tempo per organizzare una delle sue stratosferiche sorprese.
«Allora, facciamo il resoconto generale: i miei genitori sono molto tradizionalisti e pretendono che io passi il Natale a casa, ma sanno che oggi è il tuo compleanno e mi hanno permesso di passare metà giornata qui-»
«Melinda!», la interruppi, «sono giorni che non vedi i tuoi genitori, non preoccuparti per me e per il mio compleanno», ridacchiai, «resta con loro e non progettare nulla; infondo la colazione che mi hai portata è un ottimo regalo... Sai quanto sono golosa.»
«È vero, hai ragione, ma non posso darti ascolto, non ora almeno. Oks compiere diciotto anni è l'ingresso in Paradiso, lo capisci? È l'unico giorno dove puoi essere al centro dell'attenzione e sulla bocca di tutti, l'entrata in società non è una cosa da poco. Meriti di festeggiare come qualsiasi altra ragazza, so che la tua famiglia non è presente e ciò mi dà molta più motivazione: è un modo per non farti stare da sola durante il Natale. Permettimi di renderti felice, per favore», mi afferrò le mani, supplicandomi quasi.
Cosa potevo dirle oltre? Lei era testarda come un mulo, qualsiasi cosa le avrei detto, non le sarebbe importato.
Sospirai e mi sedetti a gambe incrociate sul letto, «quindi fammi capire: passerai il pranzo di Natale in famiglia e poi verrai qui?»
«Esatto! Nel frattempo tu ti devi fare un bel bagno caldo e possibilmente anche uno shampoo, puzzi da far schifo e hai ancora la lacca dal giorno della cerimonia.»
«Lo so», sospirai ancora, «ma ieri non ho pensato minimamente a-»
«Hai pensato solo a deprimerti? Bene, trasferisci questa depressione a domani», con un balzo si alzò dalla sedia e si avvicinò alla porta. «Adesso devo andare, oggi pomeriggio sarò di nuovo da te. Mi raccomando, non imbambolarti davanti alla finestra e datti una mossa!», concluse, sbattendo la porta ed abbandonando casa mia.
Rimasi in silenzio a fissare il punto nel quale pochi secondi prima c'era lei e, sospirando per l'ennesima volta, mi incamminai verso il bagno.
Mi feci un lungo e rilassante bagno, nel quale annegai non soltanto il corpo, ma soprattutto la mente. Disattivai tutto e mi lasciai andare in quel piacevole tepore.
Quando mi resi conto che era passata un'ora, se non di più, decisi di asciugarmi i capelli e il corpo e di indossare una grande felpa nera -ovviamente presa dall'armadio di Anisha- e un paio di calze nere.
Ebbi solo il tempo di gettarmi sul letto, che il suono del campanello mi feci sobbalzare.
Era a malapena l'una, impossibile che fosse di nuovo Melinda.
Con il cuore in gola scesi al piano inferiore e, lo giuravo su ciò che avevo di più caro al mondo, mai mi sarei aspettata di vedere lui sull'uscio del negozio: Gabriel.
«Ciao», dissi in un soffio, mentre l'aria gelida di dicembre mi investì fino ad entrarmi nelle ossa.
«Buon compleanno», cantilenò, entrando -senza il mio permesso tra l'altro- dentro. «Spero di non averti disturbata», lanciò una veloce occhiata al mio outfit.
«No, stavo per rimettermi a letto», chiusi per bene la porta a chiave e lo invitai a salire su. Notai subito che tra le mani stringeva un enorme busta bianca in plastica dura, non vi erano scritte né altro, quindi non capii cosa ci fosse al suo interno.
«A letto? È ora di pranzo e tu vuoi dormire?»
«Non ho molta fame, come mai sei qui?»
«C'è da chiederlo? È il tuo compleanno, pensavo fosse scontato che sarei passato a darti gli auguri.»
«Potevi anche chiamare, anziché uscire con questo tempaccio.»
«Stranamente oggi non nevica e non butta vento, il freddo che senti è causato dalla neve depositata ovunque. Comunque sia, per telefono non avrei potuto darti questo», mi sventolò davanti al viso la busta. La aprì prima lui, estraendo una seconda busta di plastica semi-trasperante, dal quale mi sembrò di intravedere del cibo. «Questo non fa parte del regalo», ridacchiò.
Mi aveva davvero fatto un regalo? Mentre lui, di sua spontanea volontà, accense il camino, io rigirai tra le mani la busta. Tutte le luci del salone vennero accese, ridando alla casa una vita che pensavo fosse ormai finita.
«Non lo apri?»
«Mi hai davvero fatto un regalo? Perché?»
«Per ringraziarti di avermi fatto da damigella durante la festa di benvenuto.»
«Non c'era bisogno di fare un regalo», borbottai.
«Lo vuoi aprire o no?», alzò gli occhi al cielo.
Abbozzando un timido sorriso, decisi di staccare le spillette che tenevano chiusa per bene la seconda busta all'interno di quella gigante. A primo impatto vidi un ammasso di stoffa blu. Mi alzai in piedi ed estrassi tutto il contenuto dalla busta, che si rivelò essere un bellissimo abito blu notte. Il corpetto era a forma di cuore e su di esso vi erano tanti -ma veramente tanti- punti luce che sembravano essere messi in risalto dalla scurità della stoffa del vestito, il busto era sicuramente stretto in vita, mentre la gonna si apriva dai fianchi in giù.

Era un abito bellissimo e mai nella mia vita avevo ricevuto un regalo tanto costoso ed apprezzato.
Mi salirono letteralmente le lacrime agli occhi, quando aprii l'ultima scatolina rimasta all'interno della busta e trovai una bellissima coroncina in argento, arricchita da perle in oro e alcune in rosa.

«Stai piangendo?», chiese Gabriel seriamente sorpreso.
«No! Certo che no», mi strofinai gli occhi, posando poi il vestito sul divano. Ancora non potevo crederci, una persona -un mio amico- mi avrva fatto un regalo per il mio compleanno. «Gabriel io... Non posso accettare, avrai speso una cifra per questo abito, ma quando l'hai acquistato?»
«In realtà te lo volevo regalare per il giorno della cerimonia, però ero molto titubante. Ho colto l'occasione al balzo e ho deciso di dartelo per il compleanno, ti servirà fidati», fece l'occhiolino.
Ancora una volta non potei evitare che le lacrime salissero. Ero felice, sorpresa, oserei dire addirittura onorata da un regalo tanto prezioso. «Però non devi piangere, un regalo dovrebbe suscitare un emozione opposta», si avvicinò e -senza pensarci due volte- mi avvolse tra le sue braccia.
In quel momento avrei dovuto provare paura, o rabbia, eppure mi lasciai andare totalmente in quel meraviglioso abbraccio, godendomi un calore che solo lui poteva donarmi. «L-Lo so scusami, ma nessuno mai.... Mi ha fatto un regalo tanto bello. Mi sento onorata, davvero», emisi un singhiozzo, mentre lui mi stringeva più forte.
«Siamo solo ad inizio giornata, il meglio deve ancora arrivare!», ridacchiò, facendomi aggrottare la fronte, non comprendevo a pieno le sue parole.
Da quel momento il tempo passò ad una velocità assurda. Gabriel restò con me per il restante della mattinata e anche per il pomeriggio. Avevamo pranzato insieme e, ammetto ne sono rimasta sorpresa, Gabriel aveva portato con sé tutti gli ingredienti necessari per preparare un ottimo pranzetto.
Dopo pranzo avevamo visto un bellissimo film e successivamente avevamo giocato con una strana applicazione.
Era stata una giornata tranquilla, seppur così tanto intensa, eppure mi ritrovavo a classificarla come il miglior compleanno di sempre. Stare con Gabriel mi era piaciuto tanto e il solo pensiero che a breve sarebbe andato via mi rattristava.
«Bene, sono quasi le diciannove, devo andare», si tolse il plaid da dosso e si sistemò i jeans. Devi davvero andare? Avrei voluto chiedergli.
«Sì, è meglio che torni a casa prima che faccia più freddo. Se vuoi domani vengo da te e ti aiuto a pulirla e a sistemare tutto ciò di cui hai bisogno.»
«Non mi sembra una brutta idea, mi farebbe piacere. Oh... È arrivata», esclamò, aprendo di scatto la porta.
Meravigliata, vidi Melinda entrare in casa con enormi buste tra le mani. Non capii cosa stesse succedendo, ma qualcosa mi suggeriscii che sicuramente ne aveva pensato una delle sue.
Nelle ore successive al suo arrivo, appunto, mi ero ritrovata più volte a chiedermi se la mia amica avesse problemi mentali.
Non mi aveva detto dove saremmo andate, non mi aveva dato alcuna spiegazione, bensì si era limitata a farmi indossare l'abito che mi aveva regalato Gabriel e ad alzarmi i capelli in una perfetta acconciatura, arricchita dalla coroncina.
Anche lei aveva indossato un bellissimo abito corto ed aveva usato la piastra per arricciarsi i capelli. Mi sentivo leggermente a disagio conciata in quel modo e il non sapere cosa sarebbe successo mi rendeva molto nervosa.
I ragazzi erano venuti a prenderci con un auto nera e lucida, sicuramente non appartenente a loro, e -con lo stereo ad alto volume- ci eravamo diretti fuori paese. Ero rimasta in silenzio per tutto il tempo, ma in cuor mio ero felicissima ed elettrizzata da ciò che sarebbe successo. Non mi sarei mai aspettata che i ragazzi si organizzassero per una serata del genere.
Arrivammo fuori all'entrata di un ristorante di cui non sapevo nemmeno l'esistenza. Gabriel, da gentil uomo, mi prese a braccetto e mi condusse lungo un classico tappeto blu.
Ad accoglierci vi era un uomo in smoking, che ci invitò a seguirlo fino al secondo piano, dopodiché ci lasciò davanti ad una porta scorrevole in legno bianco.
Gabriel si fermò a parlare con Sandel, mentre Melinda mi disse di aprire perché voleva sedersi immediatamente a causa del dolore ai piedi. Feci per aprire le due ante e, a frazione di secondi, la sala venne illuminata da luci bianche e dei coriandoli esplosero in aria, accompagnati da un boato di applausi ed urla.
«SORPRESA!»
Rimasi immobile sull'uscio, i ragazzi mi raggiunsero, ridacchiando tra di loro. Feci fatica a trattenere le lacrime ritornano. Non poteva essere vero, mi immaginavo una tranquilla cenetta tutti e tre per festeggiare, ma non una vera festa con tante persone.
«Non piangere, ti si scioglie il trucco!», mi sventolò una mano davanti al viso la mia amica. Forse per molte persone una festa non era nulla, ma per me era tanto.
«Io... I-o, oddio non posso crederci», singhiozzai mentre gli invitati, tra cui intravedi anche la ragazza con cui avevo fatto amicizia, si avvicinarono per farmi gli auguri.
Il cuore sembrava esplodermi nel petto, un sorriso ebete si stampò sul mio volto per tutta la serata. La sala era addobbata con colori che si alternavano tra il blu e l'oro, un tavolo lungo era posto al centro, mentre i restanti rotondi erano posti attorno.
«Ti è piaciuta la sorpresa?», chiese Sandel, «è stata un'idea di Melinda.»
Bevvi un sorso di Pepsi dalla calice in vetro, «sì, davvero non so come ringraziarvi... Tutti voi», mi voltai verso Gabriel, seduto al mio fianco.
«Non devi ringraziarci. Avevamo in mente di passare il Natale tutti insieme, quindi lo abbiamo unito al tuo compleanno. Sai, anche il branco ha collaborato alla festa, tra la confettata e i decori con i palloncini», mi spiegò Sandel.
«Siete stati in grado di rendermi felice, più di quanto avesse mai fatto la mia famiglia», confessai, mentre una stretta afferrò la mia mano.
Il tempo da quel momento volò letteralmente, tra balli e giochi del DJ, non mi resi conto che era già arrivata l'ora della torta e la consapevolezza che presto tutto sarebbe tornato come prima, si insinuò in me.
Per il momento non ci pensai, anzi mi godetti l'attimo, mi godetti quel calore familiare che da anni non provavo, mi godetti la mia festa e il ruolo di protagonista, ogni sorriso ed ogni risata.
Gabriel a fine serata mi accompagnò a casa e fui costretta a togliermi le scarpe in auto perché i miei poveri piedi chiedevano pietà. Quando giungemmo a casa, scesi dall'auto e rabbrividii non appena la neve fredda ed umida entrò a contatto con i miei piedi ghiacciati.
Sospirai e cercai di trovare le parole giuste per ringraziarlo di tutto, con Melinda era stato molto più semplice. Purtroppo, mio malgrado, non riuscii a dire molto, se non: «devi tornare a casa?», domanda alquanto stupida e scontata.
«Penso di sì, è passata l'una. Dovresti entrare in casa prima che ti prenda un malanno.»
«Ti va di entrare con me?», non sapevo nemmeno io perché lo avessi invitato.
Sembrò pensarci un po', dopodiché parcheggiò per bene l'auto e scese da essa. «Va bene, ma solo per un po'.»
Evidentemente doveva provare una profonda pena per me. Il sapere, però, che sarebbe rimasto ancora un po', mi fece sorridere come una bambina.
Inconsapevole lo stavo quasi pregando di non lasciarmi sola e di restare con me, poiché la sua vicinanza mi rallegrava e la sua presenza era quasi indispensabile.
Lo feci accomodare in soggiorno, mentre io -con estrema fatica- mi tolsi l'abito ed indossai qualcosa di più comodo. Anche lui si era messo a suo agio, togliendo la giacca, sbottonando la camicia ed accendendo il camino.
Decisi di prendere una bottiglia di champagne e di aprirla. «Voglio fare un brindisi per concludere al meglio questa meravigliosa giornata, alla festa non lo abbiamo fatto», ridacchiai, prendendo due bicchieri di plastica.
«A questo giorno e alla speranza che c'è ne siano degli altri», sollevai il bicchiere in aria e, mentre io me lo scolai tutto, lui rimase immobile a sorridermi, non aveva bevuto. Vedendo il mio sguardo confuso, si affrettò a dire: «sto cercando di non toccare alcol.»
Solo allora ricordai la sua dipendenza verso quest'ultimo. Gli feceva veramente onore smettere di assumerlo, non era facile eliminare una dipendenza.
Senza pensarci due volte, afferrai il suo bicchiere e lo bevvi io, sotto il suo sguardo sorpreso.
«Ho diciotto anni, posso bere per una sera», spiegai e ridacchiai.
Passò un'altra ora, nella quale parlammo un po' di tutto, non sfiorammo mai il limite del personale, ma ci confidammo l'uno all'altro. In quell'arco di tempo lo champagne mi aveva fatto compagnia e -forse- mi aveva resa un po' brilla. «Comunque dovresti conoscere le mie compagne di scuola, sono delle tali stronze e morte di figa», borbottai con voce bassa e scandendo lentamente ogni parola. «Anzi no, sono proprio delle racchie pettegole, non vedo l'ora di ritornare a scuola... Sono sicura che crolleranno persino le mura dai loro chiacchiericci...»
«Sei ubriaca», esclamò Gabriel con un sorriso che non seppi decifrare. «Sono passare le due, coraggio a letto», fa con premura, afferrandolo un braccio.
La sua vicinanza mi fece avvampare, o forse era l'alcol che avevo in circolo. Sentii le guance diventare fuoco e un peso allo stomaco mi fece vibrare tutta. Mi mordo il labbro inferiore ed avvolsi le braccia attorno al suo busto, poggiando il viso sul suo petto. Mai ed sottolineavo il mai, avevo abbracciato di mia iniziativa un ragazzo... Anzi, nel corso della mia vita i ragazzi mi avevano evitata come la peste.
Tutto quel coraggio probabilmente non deriva da una me lucida.
«O-Oks...», tentennò lui, non ricambiando la stretta.
«Perché non mi abbracci?», chiesi con voce triste, mentre l'unico indumento -ossia un maglione largo- si alzava a causa dei movimenti, fino ad arrivare quasi poco sotto l'inguine. «Non mi vuoi bene? Ti faccio solo pensa?»
«No, cosa dici? Ti voglio bene è solo che... Che sei ubriaca e non sai quello che fai.»
«Certo che lo so», ribattei convinta, girandogli attorno come un leone pronto allo sbranamento.
Il mio comportamento lo confuse, tant'è che non si rese conto nemmeno di quando gli poggiai le mani sul petto e lo spinsi a sedersi nuovamente sul divano. Con un sorrisetto misto tra il furbo e il divertito, gli salii a cavalcioni e poggiai i palmi delle mani sul suo petto.
Subito me le afferrò per allontanarle e batté ripetutamente gli occhi per capire se stesse sognando o no.
«Non lo vuoi?», non so nemmeno io dove andare a parare.
«Volere cosa?», diventò pallido improvvisamente. «Oks, basta giochetti, non sei lucida e-»
Lo interruppi, poggiando l'indice sulle sue labbra. Il tatto con queste mi fece recepire un unico messaggio: erano maledettamente morbide. Tornò in me un desiderio quasi represso e quella volta non ci pensai due volte ad abbassare il viso e ad incastrare le nostre labbra.
Un sussulto gli percosse il corpo, ma il leggero ansimo che rilasciò mi fece intuire che non gli dispiacesse tanta mia audacia.
Il mio primo vero bacio, che probabilmente l'indomani non avrei ricordato.
Siccome vidi che non mi assecondava, decisi a malincuore di allontanarmi di poco da lui. Notai che aveva il respiro leggermente affannoso e si mordeva ripetutamente il labbro inferiore.
«Me ne pentirò amaramente, lo so, ti prego non odiarmi domani», ma nemmeno il tempo di realizzare ciò che aveca appena detto, che le sue mani mi afferrarono il volto e le sue labbra cercarono fameliche le mie.
Quella volta non vi era nulla di casto, no, quella volta la passione ardeva tra di noi. La sua lingua si infilò scaltra nelle mia bocca e si intrecciò con la sua sosia. Provai emozioni uniche, non contrastanti, forti da farmi battere il cuore all'impazzata. Avvertii uno strano formicolio tra le gambe, quasi pizzicava. L'istinto di serrarle era tanto, infatti -non volendo- provai a stringerle, ma nel farlo struscio letteralmente sulla patta dei suoi pantaloni, ricevendo in cambio un gemito forte e sensuale.
Dio, quello che avevo appena sentito era veramente un gemito? Che strano suono, ma al contempo eccitante.
Le sue labbra non ne volevano sapere di staccarsi dalle mie, mi marchiò con la lingua, mi morse il labbro inferiore e lo succhiò fino a farmi emettere un lungo sospiro. Le sue mani scesero sulle mie cosce e si intrufolarono sotto il maglione, afferrando con decisione i fianchi e fu in quel momento che mi costrinse a compiere dei movimenti... Movimenti che mi facero bollire il sangue nelle vene.
Mi strusciai etteralmente su di lui e lui sembrò apprezzarlo molto.
Si staccò dalle labbra e scese sul mio collo, mordendo una piccola parte di pelle e succhiandola, mentre un altro sospiro abbandò le mie labbra.
Una giornata assolutamente indimenticabile, ma la parte migliore era stata sicuramente la sera.
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