XIII ~Ogni parola la dedico a me stessa~

Oks

Stendere la pomata sulla mano. Massaggiare delicatamente la caviglia. Avvolgere una calza bianca attorno alla ferita. Indossare una stretta fascia ospedaliera affinché la caviglia non si muova.

Ormai la mia routine mattutina iniziava sempre così. Non solo il morso alla mano aveva bisogno di cure per cicatrizzarsi, ma a ciò si era anche aggiunta la caviglia gonfia che racchiudeva magnificamente il cerchio delle mie disavventure

A causa di ciò non riuscivo a camminare bene, zoppicavo come un vecchio di ottant'anni. Quel nuovo anno scolastico non si era presentato nel migliore dei modi e -se ne mesi a venire sarei stata soggetta ad altre disgrazie- era sicuro che non sarei sopravvissuta fino al giorno del diploma.

Quella mattina la voglia di andare a scuola era pari a zero. Era uno di quei giorni in cui i brutti pensieri a cause di avvenimenti passati tornavano a galla e mi tormentavano. Desideravo rifugiarmi sotto le coperte ed attendere che le diciassette ore successive passassero, che un nuovo giorno arrivasse, ma non avevo il privilegio di potermi assentare. Avevo già superato le quindici assenze e per le restanti avrei almeno voluto aspettato il semestre successivo, così da poter dormire tranquillamente nel mio lettino.

Per fortuna la mamma si era offerta di accompagnarmi e di riprendermi da scuola fin quando non sarei guarita del tutto; ciò significava che non sarei stata costretta a fare le corse per prendere l'autobus.

Infatti quella mattina mi alzai con calma e svolsi tutte le faccende personali con tranquillità e serenità. Una volta preparata la borsa, scesi le scale saltellando con una sola gamba e salutai come mio solito mia sorella al negozio.

Quando arrivai a scuola, venni subito scortata dalla mia amica, la quale mi accompagnò pazientemente in classe. Consapevole che quella giornata sarebbe stata incredibilmente lunga e noiosa, crollai sul banco e chiusi gli occhi. A causa dell'imminente festival annuale per l'inizio dei campionati studenteschi, eravamo costretti a restare a scuola e a contribuire alle preparazioni; quasi come sei ore non bastassero.

Fortuna volle, però, che le ore scolastiche terminassero velocemente e -giunta l'ora di pranzo- mi affrettai a recuperare il panino preparato in mattinata.

«Con chi messaggi?», chiesi curiosa mentre bevevo il mio succo all'albicocca.

«Con Sandel, lo sto informando della festa che faremo il mese prossimo, dando così inizio alle gare sportive.»

Per poco non mi strozzai con il succo, «che cosa hai detto? Sandel? Quel Sandel? Il nuovo?»

«Sì, lui, tranquilla non gli ho dato ancora il mio numero di cellulare; stiamo messaggiando tramite Facebook.»

«Ti prego non dirmi che sei interessata a lui.»

«Ovvio che lo sono, altrimenti non starei sprecando il mio prezioso tempo per rispondergli. Lo trovo abbastanza interessante e simpatico, chissà forse potremmo diventare amici, o più che amici.»

«Sei solo elettrizzata perché lui è il nuovo arrivato e di nuovi cittadini in questo paese non se ne vedono spesso. Inoltre sai sicuramente che quasi tutte le ragazze del liceo vorrebbero farselo, ma lui -per ora- ha dato attenzioni solo a te... non ti sembra strano?»

«Cosa? Non è affatto vero! Se fosse stato un idiota patentato, non lo avrei cagato nemmeno se mi avesse portata al cinema a vedere un horror. Evidentemente anche io gli interesso.», esclamò lei inviperita.

«Va bene, va bene, non c'è da scaldarsi. Adesso andiamo, ci tocca fare gli striscioni», sbuffai, alzandomi dalla panchina ed afferrando la mia tracolla.

«Aspetta! Aggrappati a me e non fare sforzi con la caviglia.»

Feci come da lei richiesto e rientrammo a scuola dirette verso l'aula 180, nella quale vi erano già altri ragazzi che stavano realizzando gli striscioni. Dalla nostra aula si potevano benissimo sentire le urla delle cheerleader che si esercitano nei loro classici balletti da galline, mentre la palestra era occupata in parte dai giocatori di basket e in parte da quelli di atletica.

La giornata dello sport era stata prefissata per gli inizi di ottobre, essa fungeva da selezioni per i campionati sportivi che si sarebbe svolti ufficialmente nella grande città di Northside. La nostra scuola partecipava annualmente a quelli di basket, di calcio e di corsa ad ostacoli; raramente aveva vinto la medaglia d'oro, ma molti studenti amavano mettersi alla prova.

«Stavo pensando di iscrivermi alla corsa ad ostacoli. Da quando hanno inaugurato il campo sportivo mi sono appassionata davvero tanto alla corsa e mi alleno ogni giorno. Penso che sia l'ideale per me, inoltre siamo all'ultimo anno e voglio sperimentare ogni cosa che la scuola mette a disposizione», diede voce ai suoi pensieri la mia amica, mentre entrambe indossavo delle buste di plastica bianche per coprirci dalla vernice.

Non le risposi, semplicemente afferrai il pennello ed iniziai a ricopiare le frasi dateci dalla professoressa di arte.
«Dovresti cogliere anche tu l'occasione per sperimentare nuove cose.»

«Lo sto facendo, ti risulta per caso che negli anni passati abbia dato il mio contributo a questi stupidi preparativi? Inoltre mi sono prenotata per il weekend sulla neve.»

«Aspetta, aspetta, cosa? Sei seria? Andrai al weekend sulla neve?»

Annuii, «si, ho compilato il modulo online e l'ho spedito. Devo solo ritirare in segreteria la mia partecipazione; mi servirà per le assenze.»

«Perché hai deciso di andarci? Sai che, dato che è una gita organizzata dai ragazzi, i professori non saranno presenti e i partecipanti potranno portare chiunque essi vogliano? Quel weekend lo usano solo per trombare in santa pace! Perché vuoi andarci?», abbassò la voce per non farsi sentire.

«Abito in montagna e non ho mai sciato, non ti sembra assurda come cosa? Perché ti scaldi tanto? Potresti venire anche tu.»

Sbatté il pennello nel barattolo, «certo che ci verrò!», afferrò poi il cellulare ed entrò nel sito del nostro liceo. «Questo è seriamente un miracolo e non voglio perdermi questa unica occasione... Oh», guardò le date, «si terrà il 21, 22 e 23 dicembre pochi giorni prima del tuo compleanno!»

«Già, potremmo addobbare l'albero dell'hotel ti rendi conto? Sarà bellissimo», esclamai veramente entusiasmata dall'idea di decorare l'albero di Natale. Dopo la morte di mio padre non lo avevamo più fatto e un Natale non è tale senza presepe ed albero. Pregavo spesso mia madre affinché ne comprassimo uno, anche di piccole dimensioni, ma lei si opponeva sempre. Per due anni aveva addirittura dimenticato che il 25 di dicembre fosse il mio compleanno.

«Ci divertiremo, vedrai. Comunque non ci sarà bisogno delle giustificazioni, perché entreremo nelle vacanze invernali.»

«Perfetto!»

Dopo scuola andai a casa di Melinda e passai le restanti ore pomeridiane a fare giochi da tavola e a bere cioccolata calda. Entrambe eravamo super freddolose, dunque già con lo scendere al disotto dei quindici gradi per noi era una disgrazia. E pensare che nel pieno inverno saremmo arrivati anche a meno dieci.

Nonostante fosse arrivato il momento di tornare a casa, Melinda proponeva sempre qualcosa di nuovo affinché non andassi via. Ricordava bene quanto me che quel giorno era uno dei più brutti della mia vita, sapeva quanto fossi nervosa e cercava di farmi passare una piacevole giornata in sua compagnia. Era l'anniversario di morte di mio padre, il quale era venuto a mancare quattro anni prima.

Durante il tragitto verso casa, la mamma -a differenza mia- sembrava tranquilla ed impassibile. Ormai aveva superato la morte del marito dopo una lunga sessione terapeutica, ma io non ci ero ancora riuscita, o almeno non del tutto. Sapevo di essere la causa principale della sua morte, quindi i sensi di colpa non tornavano mai ad arrivare. La mia coscienza bussava ad intermittenza e mi ricordava quanto facessi schifo per aver sorvolato sulla sua morte con un semplice sorriso.

Come ogni anno, dopo cena mi rinchiusi in camera ed afferrai un pezzo di carta, scrivendoci su.
Scoccate le due del mattino, quando tutti erano nel pieno del sonno, indossai un paio di pantaloni della tuta ed una grande felpa.
Scesi silenziosamente le scale e chiusi la porta, mettendo in tasca le chiavi. Avanzai verso il bosco zoppicando e, per arrivare al lago dove da piccola pescavo con mio padre, ci impiegai un bel po'.
Come sempre il lago che mi si presentava davanti era oscuro e freddo, non vi era nemmeno l'alone lunare ad illuminarmi a causa dei grandi nuvoloni che la occultavano

Mi sedetti a gambe incrociate ai margini della riva ed estrassi il pezzo di carta dalla tasca della felpa.
Mi schiarii la voce ed iniziai a leggere ciò che vi era scritto:

«Ogni parola la dedico a me stessa
Che ormai sola e spaesata non ho la forza di andare avanti con fermezza.
Un altro anno è già passato
Ma il rimpianto non s'è n'è ancora andato.
Sono qui stanotte per dirti che ora sei il lago oscuro della mia vita
Ed io non sono altro che una figura che annega e non si riconosce per ciò che è diventata.
Ti ho odiato a morte per... Per-», mi fermai, quando le lacrime mi offuscarono la vista. Feci per ripartire, ma un rumore improvviso simile allo scricchiolio di un ramo, mi fa voltare verso destra. Sospirai però sollevata, quando vidi un gufo volare via e ripresi la lettura:

«Ti ho odiato a morte per il tuo modo di fare.
Eppure in questo momento vorrei solo sprofondare.
La vergogna, il dolore e la tristezza non mi hanno ancora abbandonata.
E mi sento in colpa per la tua vita ormai volata.
Questa poesia è simile alla precedente.
Ma c'è qualcosa di diverso che ti renderà un vincente.
Sono orgogliosa, finalmente, dei tuoi tratti ereditati e sono pronta per dirti quanto siano esemplari.
Non voglio assolutamente dimenticare la brutta parte di te.
Ma voglio lasciarti libero di volare via da me.
Sono sicura che tu stia male a vedermi in questo stato.
Ma con le lacrime agli occhi e il cuore alla gola, posso solo dirti che grazie a te ho compiuto quel passo che mi ha salvato.»

Appallottolai la poesia in una piccola pallina di carta e la lanciai via da me. Lasciai che si portasse via tutto ciò che avevo imparato e realizzato in quel anno e, seppur fosse solo un piccolo passo, in quel momento ero consapevole di essere abbastanza forte per andare avanti e per lasciarlo riposare in pace.
Tutto il dolore e l'odio che avevo provato nei suoi confronti -anche dopo la sua morte- l'avevo parzialmente superato e speravo che un giorno anch'io sarei stata in grado di essere in pace.

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