XI~Coppie divise~
Iniziai a seguire il Bruno, conosciuto umanamente come Gabriel, verso una meta a me sconosciuta.
Provai a seguirlo senza creargli intralcio, ma mi risultava alquanto difficile a causa del mio piccolo incidente. Avevo avvolto un tovagliolo di carta proprio sulla ferita per evitare di sporcare tutto il jeans, ma camminando tendeva a spostarsi facilmente.
Il ragazzo sembrava essere molto sicuro in quel ambiente, camminava senza la minima esitazione e agilmente scavalcava gli ostacoli che lo intralciavano. Dalle foto che avevo visto su Facebook, sia lui che il fratello, vivevano costantemente a contatto con la natura. Ecco perché non aveva difficoltà, essa era come una seconda casa per loro.
Gabriel -a differenza del fratello- sembrava avere la mia stessa età, dunque mi chiesi se avrebbe frequentato la mia stessa scuola. Subito pensai ad un "No" perché in tal caso avrebbe già dovuto fare l'iscrizione, forse aveva rinunciato agli studi.
Inoltre non mi sembrava un nerd. Nonostante avessi mille pensieri per la testa notai che attorno a noi vi era il silenzio. Lui non era come Sandel, no, a quanto pare amava la quiete; il che non era un fattore negativo.
Sperai solo che la scelta di dividerci in coppie fosse saggia. Ammisi ben presto di non essere a disagio, ma nemmeno particolarmente entusiasta della sua compagnia.
Nel momento in cui incrociai le braccia al petto, lo vidi oltrepassare un enorme tronco spezzato -forse staccatosi dal terreno durante la tempesta dello scorso giorno- e con un balzo ritornare con i piedi per terra dall'altra parte. Mi preparai a compiere il medesimo salto, ma appena giunsi con i piedi sul tronco e mi preparai a saltare, uno di essi perse attrito e mi squilibrò la postura.
Emisi un grido pronta a cadere all'indietro, ma venni afferrata da due mani che saldamente si ancorarono alla mia tracolla. Con forza mi tirò in avanti, dopodiché posizionò un braccio attorno al mio bacino, mi sollevò di poco e saltò.
«Stai attenta la prossima volta», borbottò quando entrambi poggiammo i piedi a terra.
Annuii e ricominciammo camminare. In dieci minuti trovammo tre diverse piante, alcune in posti assurdi, altre a bella vista. Purtroppo non potetti mandare subito un messaggio a Melinda per chiederle quante ne avessero trovate perché non avevamo i cellulari con noi. Ma intuii che, proprio come noi, anche loro avevano trovato quasi tutte le piante presenti della lista.
«Accidenti, ma la vostra professoressa non poteva scegliere tutte piante comuni?», esclamò esasperato.
Passai lo sguardo dalla lista a lui e seguii la direzione del suo, vedendo una piccola ma bellissima piante sbucare dalla cima di una parete rocciosa.
Sospirai e mi tolsi la tracolla, «per la prima pianta ti sei arrampicato tu, adesso tocca a me.»
«Cerca di non spezzarti l'altra gamba», sbottò, sedendosi sotto un albero poco lontano. Nei romanzi e nelle serie tv i ragazzi insistevano per l'incolumità delle ragazze, invece lui alla prima occasione se n'era andato e mi aveva lasciata da sola. Forse leggevo troppi libri, o forse non gli fregava un cavolo di quello che mi sarebbe potuto succedere lì sopra.
Non ero affatto brava nell'arrampicata, ma non mi sarei tirata indietro.
Presi un bel respiro ed iniziai ad arrampicarmi. Afferrai le sporgenze e mi feci forza sulle braccia, cercando di non perdere attrito con nessuno degli arti.
Quando giunsi a metà salita, mi fermai per riprendere fiato e mi imposi di non guardare giù. L'occhio traditore, però, diede una sbirciatina verso il basso e per poco non mollai la presa dalla paura: era altissimo!
Mi morsi il labbro inferiore e poggiai la fronte sulla parete, prendendo una bella boccata d'aria. Potevo farcela, infondo ero già a metà tragitto... E il ritorno? Dio non avevo pensato a come scendere!
Mi voltai ancora una volta verso Gabriel, ma lui sembrava non rendersi conto del mio persistente panico; infatti continuava a giocherellare con la cordicella del suo zaino.
Poco distante da lui, però, vidi qualcosa -o qualcuno- occultato parzialmente dai grandi cespugli.
Non riuscii a capire cosa fosse, né se fosse una donna o uno uomo. «Brunetto!», lo chiamai, facendogli alzare di scatto il viso.
«Mi chiamo Gabriel, non Brunetto», sputò acidamente.
«C'è qualcosa lì!»
Si voltò alla sua destra, per poi ritornare tranquillo con lo sguardo su di me. «Non c'è niente e noi non abbiamo tutta la mattinata a disposizione, quindi sbrigati a scattare quella maledetta foto.»
Acido, stronzo ed odioso!
No, non potevo assolutamente dargliela vinta e chiedere aiuto!
Siccome non riuscivo più a procedere, avevo un'unica possibilità: scattare la foto dalla mia posizione.
Mi sistemai per bene, per evitare di cadere, ed estrassi la piccola fotocamera che ci aveva fornito la professoressa dalla tasca dei jeans. Ancorai con forza la mano destra alla sporgenza per sorreggermi mentre con l'altra posizionai la fotocamera e provai a zoomare.
Nemmeno il tempo di sentire un click, che la mano non resse più tanta pressione e si staccò dalla sporgenza. A grande velocità il mio corpo precipitò verso il basso, i capelli mi finirono davanti agli occhi e mi occultarono la vista. E poi boom!
Un dolore lancinante partì dalla nuca, si propagò per la schiena -facendomi mancare l'aria nei polmoni- ed arrivò fino alle gambe. Gemetti ormai senza fiato e delle lacrime solcarono il mio viso. Il mio busto venne sollevato con lentezza e la testa fu appoggiata su qualcosa di morbido.
Le orecchie mi fischiavano, ma riuscii comunque a sentire Gabriel urlare furioso: «Non ho mai visto una ragazza tanto imbranata quanto te. Se non sapevi arrampicarti, potevi benissimo dirmelo? Sarei andato io! Hai per caso istinti suicidi?»
«L'importante è aver scattato la foto, sto bene.»
Provai ad alzarmi, ma i dolori che ancora non erano spariti mi facero venire i capogiri.
«Non muoverti, potresti avere qualche costola rotta», esclamò, tastando lievemente il mio addome. Gli occhi iniziarono a chiudersi pian piano, mentre dentro di me si espandeva una sensazione mai avvertita prima. Il cuore rallentò i battiti e i miei muscoli si rilassarono. Gabriel mi strinse a sé e controllò che non fuoriuscisse sangue dalla nuca. E fu proprio in quel momento che sentii i battiti del suo cuore, i quali sembravano essere sincronizzati ai miei.
Un calore sconosciuto si impossessò di ogni mia cellula, la tranquillità che non avvertivo da tempo si fece finalmente spazio e un senso di sicurezza mi spingeva a fidarmi di lui.
Alzai il viso verso il suo nel momento esatto in cui lui lo abbassò e in essi intravidi un riflesso rosso.
«I-I tuoi occhi...», mi precedette lui
«Cos'hanno?», chiesi confusa.
Rimase con lo sguardo fisso su di me, quasi in uno stato di trans. Infine scosse la testa e serrò gli occhi. «Nulla, sono semplicemente lucidi. Non mi sembra che tu abbia qualche costola rotta, aspetta cinque minuti prima di alzarti.»
«Mmm...», annuii, pensando che si sarebbe alzato e sarebbe andato via. Invece rimase fermo e mi permise di star appoggiata a lui per riprendermi. «Ecco perché odio i boschi e la montagna in sé, mi faccio male continuamente.»
«In effetti è strano che dopo un volo del genere tu sia anche solo in grado di parlare.»
«Forse per una volta la fortuna è stata dalla mia parte.»
i minuti successivi passarono in silenzio, fin quando Gabriel non disse: «Riesci a camminare? Dobbiamo tornare indietro, ormai sono passati quaranta minuti e i tuoi insegnamenti potrebbero arrabbiarsi se fai tardi.»
Annuii e, grazie a lui, riuscii ad alzarmi senza avvertire troppo dolore. Zoppicando, ritornammo al punto iniziale. Lì incontriamo Melinda e Sandel, i quali sembravano andare d'amore e d'accordo. Come avevo immaginato, erano riusciti a trovare tutte le piante della lista, così come noi.
Gabriel non menzionò il mio terribile volo e lo ringraziai di ciò, volevo evitare di fare la parte della vittima sfortunata.
Dunque quando tornammo dai professori, non li informai dell'accaduto e provai a godermi il resto della gita con la mia migliore amica e con il delizioso pranzetto che aveva preparato.
Quando tornai a casa, come suo solito, mia madre non c'era e venni dunque accolta solo da mia sorella.
«Perché zoppichi?», chiese poi mentre mi aiutava a togliere le scarpe.
«Ho preso una storta in gita», risposi, togliendo i jeans bucati. «non parteciperò più a queste lezioni fuori sede, sono... Sono una vera e propria condanna a morte.»
«Goditi quest'anno, rimpiangerai il liceo. Vado a prendere dell'acqua ossigenata.»
Ero sicura che non mi sarebbe mancato il liceo, né i professori, né i miei compagni di classe. Loro per me erano degli sconosciuti.
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