Speciale di Natale
25 dicembre
Oks
Albero di Natale... Albero di Natale... Albero di Natale.
Se lo avessi ripetuto di continuo sarebbe stato impossibile dimenticarlo, papà non avrebbe avuto più scuse e sarebbe stato costretto a prenderne finalmente uno.
Mi sistemai sul grande tappeto bordeaux e mi scostai i capelli dal viso, prendendo il pennarello verde per colorare il mio disegno di Natale.
Quello era un giorno speciale, un giorno specialissimo, finalmente i miei zii e cugini sarebbero giunti a casa. Il disegno era per loro, un regalo.
«Oks preparati, tra qualche ora arriveranno gli zii e i nonni», ordinò mia madre, con in mano la teglia di biscotti.
«Mamma, papà ha preso l'albero?»
La vidi sbuffare per l'ennesima volta in giornata, «sì, ma adesso preparati, tua sorella ti aspetta di sopra.»
Annuii entusiasta della sua risposta e corsi verso la camera di mia sorella. Come sempre la trovai con il viso chino sui libri, concentrata a dare il massimo negli esami della scuola media; lei a differenza mia, amava studiare, le sue maestre ci ripetevano di continuo che era una delle migliori e che non avrebbe avuto problemi ad entrare nelle migliori università, peccato che la mamma non la vedava allo stesso modo. «Anisha è la vigilia di Natale, smettila di studiare», brontolai.
«Oks Dio santo che paura. Ho appena finito i compiti per le vacanze»
«Io non so nemmeno se ho compiti... penso di sì. Comunque sia, dobbiamo prepararci, tra poco arriveranno gli zii e i nonni!»
Annuì ed andò verso l'armadio per estrarre i due vestiti che eravamo solite indossare a Natale. Dopo quasi un'ora eravamo splendenti come non mai, entrambe con i capelli boccolosi, abiti rossi, calze nere e scarpette del medesimo colore.
Mamma non voleva che Anisha indossasse i miei stessi abiti, poiché la riteneva ormai grande, ma sia io che lei eravamo entusiaste di sembrare due gemelline!
Quando l'orologio scoccò le dodici, mio padre tornò a casa con un maestoso albero, pronto per essere decorato. Egli non amava gli alberi artificiali, ecco perché ogni anno ne prendeva uno vero... non gli era tanto complicato, dato che abitavamo in un luogo circondato dalla vegetazione.
Passammo la successiva ora a decorare l'albero, ma oltre a me e mia sorella, nessuno sembrava particolarmente entusiasta.
In casa regnava il silenzio, interrotto di tanto in tanto dalle nostre risate.
«Oks secondo te Babbo Natale cosa ti porterà quest'anno?», chiese Anisha elettrizzata.
«Mmm o le calze o un cappello», risposi ormai sicura delle mie parole. Ogni anno Babbo Natale mi portava sempre calze rosse, o capelli di diversi colori; eppure non capivo, ogni anno gli scrivevo una bellissima letterina per elencargli quali fossero i regali che volevo ricevere; evidentemente papà quando gliela consegnava gli confessava che ero un disastro, che distruggevo sempre le calze e perdevo i cappelli.
«Ma no, sono sicura che questo anno riceverai quella bellissima Barbie di Natale che hai sempre desiderato.»
«Non penso, ma lo spero.»
Successivamente gli invitati non tardarono ad arrivare ed in casa finalmente comparvero quei calorosi sorrisi che quasi mai vedevo.
I miei zii erano pura festa, sempre allegri per il santo Natale e per ciò che esso comportava. I miei nonni invece mi si incollavano addosso e non si staccavano fino all'arrivo del pranzo.
«Ma quanto sei cresciuta», mi pizzicò la guancia la nonna, mentre mia zia alzava per l'ennesima volta gli occhi al cielo; non capivo perché le dava fastidio tutta quella attenzione nei miei confronti.
«Sono aumentata di ben due centimetri dall'inverno passato!»
«Cresce come uno gnomo da giardino», borbottò la mamma mentre portava in tavola gli antipasti.
Mentalmente le feci la linguaccia e scesi dalle ginocchia del nonno per correre verso la tavola.
Mia sorella Anisha era seduta accanto a nostra cugina ed entrambe avevano una bambola simile... Quella bambola Anisha non l'aveva mai avuta.
«Me l'ha regalata la zia, sa che colleziono bambole di porcellana», sembrò leggermi nella mente.
Mi dispiacque tanto, anche a me sarebbe piaciuto averne una, forse la zia si era dimenticata di me, o magari pensava che non mi piacessero.
Osservai il piatto pieno di prosciutto e mi chiesi perché ogni anno fossi l'unica a non ricevere un regalo dagli zii, alcune volte mi sembrava quasi che non mi volessero bene, come se non appartenessi a quella famiglia.
Dopo il lungo pranzo Natalizio, mi ritrovai fuori al negozio dei miei genitori a giocare a palle di neve con i cuginetti... O meglio, loro giocavano a palle di neve, io mi limitavo a guardare, dato che ritenevani che io fossi troppo piccola.
Canticchiai tutte le canzoni di Natale che mi vennero in mente e rimasi seduta sulla neve con i palmi sotterrati in essa. Non sentivo freddo, anzi, mi sentivo tutt'uno con essa.
Lentamente sollevai una mano e cercai di mettere a fuoco la mia pelle rosea, che sembrava improvvisamente essere mutata in bianco. Strofinai energicamente le mani tra di loro e pian piano riacquistarono il loro colorito.
Gabriel
Un pugno. Un calcio. Un pugno. Un calcio.
Ormai le mie piccole mani erano rosse e in alcune parti vi erano piccoli graffi che sanguinavano, ma non avevo intenzione di fermarmi, amavo la box e da grande mi sarebbe piaciuto diventare il più famoso pugile della storia... O forse sarei dovuto diventare medico per riuscire a curare le ferite che mi procuravo.
«Gabriel smettila immediatamente, è Natale e da normale bambino quale sei dovresti essere tutto euforico per i regali che hai ricevuto da Babbo Natale», mi sgridò la mia maestra.
«Non sono un bambino normale, sono un lupo», ribattei, pulendomi le mani sporche di sangue sulla canotta bianca.
Sospirò amaramente e mi afferrò la mano, «adesso ti farai una doccia veloce, ti vestirai e ci raggiungerai vicino al falò!»
«Non darmi ordini, non sei mia madre», piantai i piedi per terra e la linciai con lo sguardo.
«Smettila una buona volta e comportati da bambino. Ti sto crescendo ed è mio compito darti un educazione.»
«Non sono un bamboccio come mio fratello e non starò zitto!»
La vidi passarsi una mano tra i capelli con fare nervoso, «sei un bambino cresciuto troppo velocemente, se già da ora sei così, non mi chiedo come sarai da grande. Sii felice per un giorno, nessuno penserà che tu sei debole.»
A quelle parole incrocio le braccia al petto, la bambocciona sa quel è il mio punto debole: la paura di essere considerato inferiore. «Chi ti dice che io non sia felice? Ero felice un attimo fa mentre prendevo a pugni il sacco, mi hai rovinato l'umore.»
«Dovresti essere felice con la tua famiglia che in questo momento ti sta aspettando per iniziare il pranzo Natalizio.»
«Quella non è la mia famiglia!! I miei genitori non ci sono più e mio fratello è un-»
«Gabriel!», una forte voce mi ammonì ancor prima che potessi finire di parlare.
Ed eccolo lì, in tutta la sua arroganza: Sandel, mio fratello.
Come sempre mi guardava dall'alto in basso, pensava di aiutarmi, pensava di essere un fratello esemplare, ma non lo era. Era cresciuto su di un piedistallo solo perché sapeva di essere il futuro Alpha. «Vilma, il vecchio saggio ti sta cercando, va da lui, penserò io a Gabriel.»
Lei annuì e subito se ne andò, mentre mio fratello indurì la sua espressione. «Devi chiederle scusa il prima possibile, non è un giocattolo, fratello.»
«Non dirmi cosa fare!», sbottai innervosito, mentre entravo nella roulotte che fungeva da casa. Mi tolsi la canotta ed i pantaloni da tuta, frugando nel mio armadio alla ricerca dell'unico maglioncino rosso che possedevo
«Hai quasi otto anni, Gabriel, non puoi comportarti sempre da ribelle. Dici che sei grande, ebbene, comportati da tale!»
«Sandel tu ne hai quasi tredici, non venirmi a fare da paternale!»
«Lo dico per te, il branco si sta lamentando dei tuoi comportamenti; tutti ti vogliamo un bene dell'anima, ma se continui di questo passo, rischi di essere esiliato, lo capisci?»
«Che lo facciano pure, quella gente non mi ha mai voluto.»
«Non è vero e lo sai.»
Mi lavai le mani e decisi di non fare alcuna doccia, in quel momento non volevo fare nulla.
Senza aggiungere altro, indossai i pantaloni di jeans ed il maglioncino rosso, seguendo poi mio fratello verso il falò.
Come ogni anno, eravamo tutti seduti su panche e tavoli di legno, immersi totalmente nella natura con un bel fuoco che ci avvolgeva e ci riscaldava. Per fortuna quell'anno i superiori avevano scelto una meta che non fosse il polo nord. Nel luogo in cui ci trovavamo non c'era neve e, anche se fecava freddo, con la nostra temperatura corporea, stavamo bene.
Mi sedetti accanto ad una bambina di cui ricordavo vagamente il nome e lanciai una veloce occhiata alla scatola che stava scartando. Improvvisamente sulle mie ginocchia piombò un pacco e, alzando il viso, vidi il saggio lupo sorridermi.
Curioso, tolsi velocemente la carta da regalo che lo avvolgeva e sgranai gli occhi quando vidi un paio di guantoni da box.
«Adesso puoi tirare pugni senza massacrarti le mani», sorrise lui soddisfatto.
Era il primo anno che ricevevo un regalo che veramente mi rendeva felice. Un paio di guanti da box! Erano il sogno di una vita!!
«G-Grazie», non ero per niente bravo a ringraziare, ma lo sentivo dal cuore e volevo dirlo.
«Il cinghiale è pronto!», urlarono due lupi che eranoo gli addetti alla "cucina".
Posai con delicatezza i guantoni al mio fianco e mi preparai a gustare quella delizia, stavo letteralmente morendo di fame.
Mi guardai attorno e notai come tutti sorridessero tra loro, si abbracciassero e cantassero canzoni senza senso. Forse mio fratello aveva ragione, tutti si consideravano una famiglia. Forse nei loro cuori c'era un piccolissimo spazio per me, infondo mi avevano regalato ciò che più desideravo da tempo; le decisione per i regali venivano prese in gruppo e ciò significava che avevano speso un po' del loro tempo per me... Eppure mi sentivo costantemente isolato da tutti, come se non facessi parte della loro allegra famiglia, come se non fossi della loro stessa specie.
Mi chiedi quanti altri Natali avrei festeggiato con loro... Probabilmente, anzi ne ero sicuro, tutti i restanti della mia vita.
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