LXI ~Atteggiamenti compromettenti~
Oks
Per fortuna le lezioni a scuola finirono velocemente e, ahimè, mi ero veramente resa conto di quanto fossi rimasta indietro con i programmi di tutte le materie.
Al ritorno ero riuscita a convincere Jack ad accompagnarmi a casa per recuperare l'essenziale tra abiti e libri e successivamente eravamo ritornati al covo.
In paese non avevo incontrato nessuno del branco e in parte ne ero felice, non avrei saputo gestire la situazione altrimenti.
Dopo aver pranzato mi catapultai nella mia stanza per studiare, ma purtroppo la concentrazione era scarsa e più volte fui costretta a fermarmi. Avevo una brutta sensazione e un mal di testa lancinante che non mi lasciava alcuna via di scampo.
Provai a concentrarmi sui Limiti in matematica, ma una fitta alle tempie mi fece gettare la penna sul letto e stropicciare gli occhi.
Non ebbi nemmeno il tempo di riaprirli che l'oscurità che solitamente si presentava quando li chiudevo, venne sostituita da una forte luce.
Essa non mi infastidì, né mi creò problemi con la vista, anzi mi indirizzò sempre più verso una determinata scena: ero in una via, osservavo il tutto dall'alto e potevo benissimo vedere la gente correre disperata, mentre i poliziotti si affrettavano a porsi in loro difesa e a puntare le armi contro un qualcosa di sconosciuto ai loro occhi.
Alle mie destra potevo vedere un campanile e ciò mi fece sgranare gli occhi. Quella non era Woodsville, era Northside!
Spalancai gli occhi e, con la fronte impregnata di sudore, provai a far calmare il respiro che sembrava velocizzarsi ogni secondo che passava.
Mi affrettai a scendere dal letto e ad uscire dalla mia camera. Ero ancora scombussolata da ciò che aveva appena visto, quella povera gente combatteva contro qualcosa che appariva strana quanto invisibile.
Loro non conoscevano i Rosius, non sapevano quanto fossero pericolosi. Sparavano a caso, cercavano di capire la posizione di coloro che lanciavano attacchi, ma non sempre un proiettile andava a segno, non sempre avevano la velocità di impugnare un arma prima che uno dei mostri li prendesse o li colpisse.
Spalancai la porta del soggiorno e mi ritrovai sei occhi puntati contro: Bilel, mia madre e Anisha.
«Bilel devi mandare qualcuno a Northside, i Rosius che sono scappati attaccheranno di nuovo», esclamai senza troppi giri di parole.
Scattò giù dalla sedia e, afferrandomi un braccio, affermò: «vieni con me.»
Percorremmo l'intero corridoio e giungemmo nel suo ufficio. Spalancò la porta e subito chiese: «cosa hai visto? Quanto tempo è passato dalla tua visione?»
«Nemmeno sette minuti, sono subito venuta da te. Ho visto i Rosius che attaccavano il popolo e la gente che fuggiva terrorizzata. Le forze dell'ordine provavano a colpirli, ma non tutti si mostrano e rimango invisibili, così facendo si proteggono e hanno più possibilità di attaccare.»
«Puoi dirmi il luogo in cui li hai visti?», afferrò una mappa e la pose al centro della scrivania in legno. Vi erano segnalati in rosso quelle che dovevano essere le zone colpite, evidentemente Bilel aveva sempre voluto anticipare qualche loro mossa o spostamento, ma non ci era mai riuscito.
«Erano vicino ad un campanile, il viale adiacente sul lato destro.»
Puntai un dito sulla mappa e lui annuì, «è qui! Grazie mille Oks, manderò sicuramente miei uomini, non sappiamo di preciso quando attaccheranno, ma eviteremo altre stragi. Puoi andare, se hai qualche altra informazione non esitare a fornirmela.»
Annuii e, con ancora le mani tremanti e lo stomaco stretto in una morsa, ritornai in camera e ci restai per le successive ore. Avevo chiuso la porta a chiave, non volevo nemmeno cenare, nonostante mia madre fosse venuta a chiamarmi più volte.
Vedere quella scena mi aveva letteralmente destabilizzata, mai avevo visto un tale terrore negli occhi di una persona.
Passai tutta la serata a studiare, il mattino successivo mi alzai presto e -di malumore- per andare a scuola. Come un fantoccio mi mossi in modo meccanico, mi lavai, mi vestii e raggiunsi Jack fuori dal covo senza nemmeno salutare mia madre e mia sorella.
«Che brutta cera, passato una nottataccia?», chiese lui mentre piegava camice da lavoro e lo infilava in uno zaino di pelle nero.
«Più o meno, ho passato la notte a studiare e ho un mal di testa assurdo da ieri pomeriggio.»
«Bilel mi ha detto che hai avuto una nuova visione sui Rosius e grazie a te è riuscito a fermarli», cambiò totalmente discorso.
«Ah sì? Sono felice che non ci siano state altre vittime innocenti.»
La nostra conversazione terminò lì. Arrivai velocemente fuori scuola e mi catapultai nella mia classe per schiacciare un bel pisolino di dieci minuti prima che entrasse la professoressa.
«Oks dobbiamo parlare!», avrei mai avuto un momento di pace?
Senza che nemmeno rispondessi, la mia migliore amica mi afferrò per un braccio e mi trascinò fuori dalla classe. Piagnucolai mentalmente per il mio riposino mancato e, mentre scendevamo le scale ed uscivamo dalla porta di emergenza, mi chiesi cosa avesse in mente; non potevamo parlare in classe?
La mia domanda trovò presto una risposta quando vidi i fratelli Lupei nel retro dell'edificio scolastico. Oh... No.
«Oks», il primo ad avanzare verso di me fu Gabriel.
«Ciao, stai bene? Ti sei rimesso del tutto?»
«Sì, sto bene.»
«Dobbiamo sbrigarci, non possiamo rimanere a lungo qui. Melinda ci ha spiegato tutta la situazione e volevamo accertarci che tutto fosse vero, ma soprattutto chiederti perché vuoi correre un rischio simile», prese parola Sandel.
«Solo correndo il rischio possiamo giungere alla conclusione di tutto questo caos. Dovete credere in me, io vi aiuterò-»
«Ma aiuterai anche lui», sbottò subito, interrompendomi.
«Sì, è vero, aiuterò anche lui. Il mio aiuto, però, può giovare non solo a voi, ma anche ai Reali di Northside. Ad esempio, proprio ieri sera ho avuto una visione ed essa è servita per evitare un massacro generale. Bilel non ha più controllo sui Rosius e merita un po' del mio aiuto.»
«Merità un po' del tuo aiuto? Oks ti senti quando parli?», sbottò innervosito Gabriel. «Lui non merita un bel niente!»
«Io... Ecco, io, posso fornirvi tutte le informazioni che gli riguardano e posso aiutarvi. Pur di avere un po' di libertà gli ho promesso di rivelargli tutte le mie visioni, ma non gli ho mai promesso che sarei stata totalmente dalla sua parte. Vi prego, capite il mio ragionamento? È l'unico modo per avere uno stretto contatto sia con lui che con voi.»
«Non possiamo fidarci di te, Oks», mi fissò serio Sandel. «Nessuno ci garantisce che, se noi ti rivelassimo le nostre mosse, tu non gliele diresti.»
«Stai scherzando? Non lo farei mai! Perché non vi fidate di me», abbassai il viso. Stavo agendo in loro bene e poco gli importava.
«Fare la doppiogiochista non ti porterà a nulla, da come ho visto ti sei guadagnata la fiducia di Bilel, ma hai perso totalmente la nostra», provò ad andare via, ma Melinda prontamente gli afferrò il braccio.
«Aspetta, la conosco da molti anni, non ci volterebbe mai le spalle», venne in mio soccorso la mia migliore amica, come sempre. «Hai sentito cosa ha detto? Rivelando le sue visioni a Bilel ha evitato una strage, ha aiutato i Reali e quindi anche noi, in quanto loro alleati.»
Alleati? Avevano creato un'alleanza?
Dunque avevo intuito bene, con i continui attacchi a Northside i Reali erano corsi da loro per un aiuto.
«Lo so, Melinda, l'ho capito, ma non tollero certi comportamenti: o sta dalla nostra parte, o dalla loro.»
«Sono dalla vostra parte, solo non fisicamente. Sono rimasta con voi per un lungo periodo di tempo, se avessi rifiutato ancora di andare nel suo covo, sarebbero venuti a cercarmi fino a casa e mi avrebbero presa comunque. Così facendo, evito di mettere in pericolo anche voi perché è logico che non esisterebbero un attimo a riprendermi», provai a farlo ragionare.
«Mi dispiace, Oks, ma io non approvo e non ti considero nostra alleata», si liberò dalla presa di Melinda ed uscì dal cancello secondario.
«Così facendo te la metterai veramente contro!», gli urlò dietro proprio lei. «Oks mi dispiace, io-», posò lo sguardo su Gabriel, «ne riparliamo in classe, vi lascio da soli.»
«Anche tu mi reputi una doppiogiochista nemica?», chiesi quando ormai eravamo soli.
«No, ma ammetto che non mi piace per nulla il modo in cui ti stai comportando. Stai mettendo a rischio la tua incolumità e ciò mi preoccupa», confessò, poggiando una mano sulla mia guancia e creando piccoli cerchi immaginari con il pollice.
Analogamente una serie di immagini mi investì, senza che io potessi fare nulla. Esse probabilmente erano prodotte dalla semplice curiosità che provavo nei suoi confronti, curiosità su ciò che io e lui avevamo passato e su ciò che realmente pensava di me: vidi me e lui, nel soggiorno di casa mia, baci, gemeti ed io a cavalcioni su di lui...
Quello era accaduto tempo fa, perché non lo ricordavo?
Un attimo... avevo indosso l'abito regalatomi per i miei diciotto anni; era la sera in cui mi ubriacai.
Dopo essere giunta a quella conclusione, un'improvvisa sensazione di stordimento mi investì e tutto ciò che mi circondava sembrò allontanarsi sempre di più: il suono della campanella, il chiasso degli alunni che si affrettavano ad entrare, gli oggetti, gli alberi... Tutto diventò sfocato. La mente si alleggerì e le mie labbra pronunciarono parole senza il mio consenso o controllo: «dì la verità, la tua non è preoccupazione.»
«Cosa? Oks stai bene? Hai uno sguardo che-»
«Ti preoccupi se sto bene? Ammettilo Gabriel, ammetti che tu mi hai sempre vista come la compagna da addomesticare. Ricordo sai? Ricordo la sera del mio diciottesimo compleanno, qual è il tuo piano? Scoparmi e poi eloggiarti davanti a quei pezzenti col pelo troppo lungo?»
Sgranò gli occhi sorpreso dalle mie parole, «ma che cazzo stai dicendo? È vero, quella sera ci siamo baciati, ma se avessi voluto scoparti lo avrei fatto senza ripensamenti, invece ti ho fermata! Inoltre sei troppo testarda ed orgogliosa per riuscire a sottometterti alla mia volontà, non che voglia farlo, intendiamoci.»
Abbozzai un sorriso tirato, «sì, certo, ci credo.»
E proprio come era arrivato, quello strano stordimento e senso di smarrimento se ne andò, lasciandomi confusa e con vuoti di memoria.
Tutto riprense a scorrere normale, tutto si presentò nuovamente come nitido: i suoni, gli oggetti e un Gabriel decisamente incazzato...
«Perché mi guardi in quel modo? Cos'ho fatto?», gli poggiai una mano sulla spalla, ma ciò aggravò solo la situazione.
«Cos'hai fatto? Mi stai fottutamente prendendo per il culo?», si liberò dalla mia stretta.
Io davvero non ricordavo cosa fosse successo o cosa avessi detto, ricordavo solo l'ultima sua frase e poi una strana sensazione.
«Gabeiel io-»
«No, non aggiungere altro», mi diede le spalle, «buona fortuna col tuo piano di merda.»
«Gabriel aspetta! Ma che ho detto?», conclusi quando ormai di lui non vi era nemmeno più l'ombra.
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