LV ~Baci nella notte~
Percepivo il suo corpo caldo vicino al mio, il quale era continuamente scosso dai singhiozzi. Le sue braccia non mi stavano avvolgendo, non mi stavano stringendo e come dargli torto. Gli avevo detto cose bruttissime, cose che in realtà avevo sempre pensato, ma che ormai erano solo un lontano ricordo.
Ormai mi sentivo ridicola, il silenzio ci aveva avvolti e i miei continui singhiozzi sembravano appartenere ad una bambina spaventata: ciò che realmente ero.
«Smettila», affermò lui con decisione.
Tanta serietà mi spinse a sciogliere l'abbraccio e a contemplarlo ad una distanza di massimo qualche centimetro. «L-lo sai che non penso ciò che ti ho detto un paio di giorni fa, vero? Io... Io non è vero che ti odio e che ti ritengo un mostro.»
«Lo so, altrimenti non saprei spiegare la tua presenza qui. Peccato, però, che il veleno che mi hai lanciato contro appartiene a tue credenze passate.»
«Non lo nego, infatti, ma ho imparato a conoscerti e so che non sei un mostro. Sono qui per aiutarti, Gabriel, e farò tutto ciò che è necessario per restituirti la libertà.»
«E poi? Una volta che mi avrai liberato tu che farai?»
Sospirai sconsolata, «la mamma è incinta, non posso lasciarla nelle mani di Bilel. Qual bambino, nonostante sia frutto di un mostro, non merita di nascere e di vivere in questo luogo.»
Aggrottò la fronte confuso, «non sapevo che tua madre fosse incinta», si voltò poi verso la porta oltre la quale si sentivano grugniti. «Che scusa hai inventato per arrivare qui?»
«Nessuna scusa, i Rosius sono come impazziti e hanno trasgredito le regole di Bilel, provando ad uscire da un passaggio secondario. Non ho ancora escogitato un piano per portarti fuori, ma nel frattempo ti fornirò cibo e acqua. Ho cambiato le catene», gli feci notare, evidentemente non si era ancora accorto di essere libero di compiere più movimenti.
Le afferrò tra le mani e, sorridendo appena, si mosse con il busto. «Sono catene normali, non c'è lo strozza lupo, mossa geniale, i miei complimenti.»
«Non sei arrabbiato con me, vero?»
«Sono tremendamente arrabbiato con te», puntualizzò, «non saresti mai dovuta venire qui, ma ormai l'errore è fatto e dobbiamo trovare una soluzione; sai che non fuggirei mai senza di te, vero?»
«Ti ho già spiegato che non-»
«Porteremo via anche tua madre. Se vogliamo indebolire Bilel e distruggere i suoi piani, dobbiamo partire dalle persone che maggiormente gli danno forza: tu e la tua famiglia. Bilel ti vuole usare per i suoi loschi scopi e sono sicuro che userà tua madre per qualche altra cosa.»
«Pensi sia un caso questa improvvisa gravidanza?», incrociai le gambe.
«No, penso che sia progettata da tempo. Evidentemente quel bambino avrà qualche potere speciale o qualche particolarità che potrà essergli utile.»
«Sei sicuro di ciò che dici?»
«Sicurissimo», provò a sistemarsi, ma gemette dal dolore. «Maledizione sono troppo debole anche solo per alzare le chiappe. Le ferite ancora non si sono cicatrizzate», notò con una smorfia in viso. «In queste condizioni non andrò lontano. A proposito, sai che fine ha fatto Efrem? Era in questa stanza, ma è stato portato via l'altro ieri.»
«Efrem? Era qui?»
«Deduco che non tu non sappia nulla», abbassò il viso ed osservò le nocche sporche di sangue secco. «Devi andartene, prima che torni la guardia.»
«Hai ragione», mi alzai in piedi e pulii i jeans dalla polvere. «Passerò qui ogni notte, quando tutti dormono. Prima di attuare un vero piano dobbiamo rimetterti in sesto, altrimenti non avrai mai la forza di correre via. Ah, per quanto riguarda lo sfogo di prima... ecco... io-»
«Tranquilla, posso capire che vedermi in questo stato non è una bella visione.»
Annuii ancora imbarazzata e mi avviai verso la porta.
«Oks», la sua voce mi fece bloccare, «sta attenta a Bilel, è un manipolatore nato.»
Ancora una volta annuii ed uscii dalla cella, chiudendola di nuovo a chiave ed avviandomi verso la mia stanza.
Passai le ore successive lì, a leggere uno dei pochi libri presenti in essa. Non erano romani, né storie di avventure, bensì sono leggende di vari paesi.
Quando mamma e Bilel tornarono, si diressero subito nell'ufficio di quest'ultimo; evidentemente erano stati avvisati della presunta fuga dei Rosius e devevano escogitare qualche piano per tenerli a bada. Strano, però, che i Rosius si fossero ribellati ad una regola; da come Bilel mi aveva raccontato, sembrava che si conoscessero davvero da tanto tempo e che lui stesse facendo di tutto per salvarli, perché scappare allora?
A quella domanda se ne aggiunse subito un'altra: dov'era Efrem? Perché era lì? A cosa gli serviva?
Troppe domande, sempre più problemi che si accumulavano e sempre meno soluzioni elaborate.
Bilel aveva utilizzato Efrem per arrivare a me, ma avrebbe potuto benissimo liberarlo e spedirlo nuovamente al Collage.
Con ancora mille pensieri per la testa, mi avviai in sala per la cena. Apparentemente era tornata di nuovo la pace e i due adulti parlavano tra di loro sorridendo... sembravano una coppia normale.
«Ehi, stasera c'è il tuo piatto preferito», mi sorrise mamma, indicando con il mento il pollo.
Mi sedetti accanto a lei e provai a non contemplare Bilel con disdegno «Avete saputo dei Rosius?», mi mostrai interessata.
«Sì, la guardia c'è ne ha parlato. Per fortuna è riuscita a fermarli prima che potessero uscire», mi rispose Bilel, «a tal proposito devo ringraziarti. Se non fosse stato per te che hai previsto la loro fuga, a quest'ora starebbero girovagando per il bosco.»
«Mi stavo allenando e la visione è venuta da sé, a quanto pare i tuoi consigli sono stati di aiuto. Posso sapere il motivo per il quale vogliono fuggire? Avevi detto che tu volevi aiutarli», azzardai
«Sì, è vero, ma con il passare del tempo stanno perdendo sempre di più il lume della ragione. Ormai odiano la razza umana e pensano solo alla vendetta, un tempo mi aiutavano a catturare i lupi e rispettavano le mie regole per tenerli al sicuro, ma ora sono fuori controllo. Sono costretto a somministrargli un potente sonnifero per farli calmare.»
«Capisco, quindi deduco che il tuo desiderio di trovare una cura sia aumentato.»
«Assolutamente, non voglio sprecare secoli di ricerche. Comunque sia, sono felice di vedere tuoi miglioramenti, molto presto sarai in grado di gestire le visioni a tuo piacimento.»
«Lo spero», borbottai, bevendo un sorso di acqua.
«Dato che ora sai come utilizzare i tuoi poteri, hai per caso provato a focalizzarti su tua sorella? Ormai sono quasi due settimane che non la vedo e temo che stia male», entrò in scena la mamma.
Mia sorella, certo che ci avevo provato, ma nulla era servito. Non riuscivo a prevedere nulla su di lei, né a mettermi in contatto telefonicamente. Sapevo solo, e per certo, che non fosse sola. Ero sicura che Sandel e Melinda erano con lei, così come ero sicura che ci stavano cercando. Anisha sapeva dove io ero diretta, possibile che non avesse detto nulla ai miei amici? Se glielo avesse detto, loro sarebbe venuti subito a riprenderci, attaccando il covo.
Forse stavano architettando un altro piano.
«Onestamente non ho mai provato a focalizzarmi su di lei. So che sarà arrabbiata, perché sono andata via di casa per venire qui, mi vedrà come una traditrice», mentii.
«E ciò non ti urta?», dannato Bilel.
«No, perché poco mi interessa dell'opinione altrui.»
«Sei sempre stata così», ridacchiò mamma, «apatica ed indifferente nei confronti di tutti.»
Sono stata costretta a diventare così a causa del tuo defunto marito, avrei voluto risponderle, ma decisi di restare zitta. Ormai quella era una storia accartocciata e gettata nel caminetto, insieme a tutti i miei rimpianti di quella maledetta sera.
Una volta terminata la cena, mi chiusi in camera e mi sdraiai sul letto, addormentandomi per circa quattro ore. Quando mi svegliai, l'orologio segnava le due del mattino e nel covo regnava il silenzio assoluto.
Ancora mezza addormentata, mi diressi a passo lento in cucina, prendendo dal frigo qualche affettato e una bottiglia di acqua. Agguantai anche un panino e mi incamminai verso la cella, estraendo dalla tasca della felpa la chiave.
Con molta lentezza e timorosa di svegliare qualcuno, girai la chiave nella serratura ed aprii la porta, chiudendola immediatamente alle mie spalle.
Il cuore mi batteva all'impazzata, consapevole che se fossi stata scoperta, sarei finita seriamente nei guai. Lì gli errori non erano ammessi.
«I miei complimenti, silenziosa come un ratto», borbottò il lupo ancora sdraiato.
«Ecco a te», gli portai gli alimenti.
Subito si mise seduto e li afferrò. Chissà da quanto non gli concedevano un pasto, io più di semplici cose, non potevo portargli. Avrei tanto voluto cucinargli qualcosa di caldo, ma avrei fatto troppo rumore e ci avrei impiegato troppo tempo. Speravo che almeno con poco si sazziasse.
«Mmm», gemette estasiato, «sono giorni che non mangio del pane.»
Sorrisi e mi sedetti di fronte a lui per fargli compagnia. Lo vidi deliziarsi con quella misera cena come un bambino a cui erano state date le caramelle. Lo studiai da capo a piedi, realizzando quanto fosse diverso dal ragazzo che ero solita vedere con il giubbotto di pelle e il ciuffo ribelle. Gabriel oggettivamente era sempre stato un bel ragazzo ed era incredibile quanto, anche in quello stato, fosse incredibilmente affascinante.
Quella situazione -noi due da soli- mi riportò alla mente la notte del mio compleanno, ricordavo solo di avergli chiesto di restare, poi il nulla.
«Oks», cantilenò, «a che cosa stai pensando?»
Confusa, sbattei le palpebre di continuo. «Mm?»
«Ti vedo pensierosa.»
«Non so perché, ma mi è tornata in mente la notte del mio compleanno, quando ti chiesi di restare con me.»
Lo vidi sussultare leggermente e posare il tappo sulla bottiglia in plastica. «Strano», commentò solo, abbassando il viso.
Il ciuffo scuro gli ricadde davanti al viso e, involontariamente, mi allungai per toglierlo. «Dopo aver messo qualcosa nello stomaco va meglio?»
«Decisamente meglio, grazie.»
Abbozzai un sorriso e mi portai le ginocchia al petto, osservandolo come una deficiente. Il suo sorriso si spense e mi contemplò come se avessi tre teste.
«Perché mi stai osservando in quel modo? Metti paura.»
«Non faccio paura, ti stavo solo contemplando, non posso?»
«Mmmm perché ci tieni così tanto a fissarmi.»
Feci spallucce, «perché sei un bel ragazzo.»
Si morse il labbro inferiore quasi divertito. «Hai bevuto per caso? Solitamente non sei così sfacciata.»
«Non ho bevuto e, inoltre, penso che per oggi ho mentito abbastanza, sono sincera.»
«Non mi dire che sei attratta da me», ridacchiò.
«Anche se fosse?»
«Sei seria?», chiese incredulo. Feci nuovamente spallucce. «Okay, come abbiamo iniziato questo discorso?»
«Perché tu no? Mi hai sempre e solo vista come la compagna da proteggere e nient'altro? Puoi dirmi la verità, non ho paura di essere friendzonata.»
Si passò una mano tra i capelli. «Non so cosa risponderti, Oks. Cos'è una dichiarazione?»
«Non sai cosa rispondermi? Eppure è semplice.»
Si grattò la nuca in smarrimento. Sembrava proprio che lo stessi mettendo in difficoltà e la cosa mi divertiva parecchio, anche se -ahimé- ciò che stavo dicendo era la pura verità. Per la prima volta avevo visto Gabriel sotto un altro punto di vista, per la prima volta mi chiesi come fosse ricevere un bacio da un ragazzo. Si provavano davvero tutte quelle emozioni che si narravano nei romanzi? Era vero che il cuore batteva così forte da esplodere nel petto?
Ma, soprattutto, perché ci stavo pensando solo in quel momento?
«Oks, non... Non penso sia il momento adatto per parlarne», voltò lo sguardo altrove. «Prima che tu possa dire qualsiasi altra cosa, devi sapere, anzi ricordare ciò che è successo la notte del tuo compleanno.»
Aggrottai la fronte confusa, cosa dovevo ricordare?
«So che io, probabilmente, non ti sono del tutto differente. Lo so perché mi hai baciato, quella notte.»
A quelle parole rimasi senza fiato. Io avevo baciato un ragazzo? Io avevo baciato Gabriel? Avevo dato il mio primo bacio ad un ragazzo e nemmeno me lo ricordavo?
Lo osservai senza proferire parola, perché me lo diceva solo allora? Perché non me ne aveva parlato il giorno seguente?
Cazzo, quella sera avevo bevuto, mi ero divertita, ma a tutto c'era una conseguenza. Molti vedevano il primo bacio come una sciocchezza, ma io no. Io avrei voluto ricordare quel momento, avrei voluto ricordare cosa si provasse nel poggiare le proprie labbra su quelle di un altro essere, avrei voluto constatare se il mio cuore sarebbe andato in fibrillazione e invece non era stato così.
«Io... Io anche se mi sforzo non ricordo», abbassò il viso, nascondendolo con i capelli. «Mi dispiace, per tutto.»
Mi alzai di botto e con una strana sensazione al petto, ma immediatamente la sua mano avvolse il mio polso e mi costrinse ad abbassarmi nuovamente. «Non ti devi scusare, è stata colpa mia che non sono riuscito a fermarti. Sapevo che fossi sbronza, ma il giorno successivo non ho avuto nemmeno il coraggio di dirtelo. Sembravi ancora elettrizzata e divertita dalla sera precedente e non volevo rovinarti il buon umore.»
«Era il mio primo bacio», confessai con ancora il viso chino. «Però... Però anche tu non sei riuscito a fermarmi, significa che volevi che accadesse.»
Colpito ed affondato, quella volta fu lui ad aver perso tutta la sicurezza con la quale aveva spiegato l'intera vicenda. «Sì», confessò, «volevo che tu mi baciassi, ma non in quella circostanza.»
Le sue parole ancora una volta mi sorpresero. Dunque io non gli ero del tutto indifferente, a stento ci credevo.
«Mi dispiace», abbassò il viso, «sono io a dovertelo dire», lo alzò improvvisamente puntando il suo sguardo nel mio. Si avvicinò lentamente mentre il mio cervello elaborava una sola domanda: mi voleva forse baciare? «Se vuoi, se ne sei sicura, possiamo rimediare.»
Detto così, su due piedi, non potei non sorridere nervosamente. Mi aveva davvero proposto di baciarlo? Cioè... mi voleva davvero baciare per la seconda volta?
«Stai scherzando vero?», ma nemmeno il tempo di capire qualcosa, che le sue labbra si posarono sulle mie.
Sobbalzai sorpresa e rimasi immobile. Un semplice bacio a stampo che in un primo momento non mi fece provare nulla. Le mie labbra in automatico si schiusero e la sua lingua subito si intrufolò come un ladro in una casa di diamanti. Un peso opprimente al petto mi fece serrare il respiro, mentre la mia mente -non ne capivo il motivo- era sempre in continua allerta.
Quella che stavo provando era forse paura? Bhe, tecnicamente quello era il mio primo bacio, era un'esperienza nuova e ciò che mi risultava nuovo tendeva sempre a spaventarmi
Chiusi gli occhi ed assaporai con lentezza il calore e la morbidezza delle sue labbra. Un potente brivido mi attraversò la spina dorsale e il tutto avvenne a frazione di secondi: Gabriel si allontanò da me, lasciandomi confusa e stordita. Mi aveva baciato... Io glielo avevo permesso. Mi era piaciuto? Non lo capivo.
«Dovresti vedere in questo momento la tua faccia, non saprei decifrare l'espressione sul tuo viso», provò a buttarla sul ridere. «Non ti è piaciuto?»
«Io... Io non lo so, nei romanzi si narra di emozioni uniche durante questi momenti, il cuore che batte all'impazzata; forse sono io che ho qualche problema.»
«I romanzi molto spesso mentono, sono scritti e destinati a ragazzine che non attendono altro che leggere quel mucchio di sciocchezze. Oks molto spesso il cuore non batte all'impazzita, non esplodono le farfalle nello stomaco, ma se un bacio ti è piaciuto, non attendi altro che riceverne un secondo.»
«Non sono brava in queste cose», sussurrai a voce bassa, quasi come se non volessi che mi ascoltasse.
Perché era così difficile dare un semplice bacio? Forse ragionavo troppo con il cervello e poco con il cuore, forse ero troppo nervosa, volevo che fosse tutto perfetto, quasi come in una favola. Non capivo come facessero le mie compagne di scuola a limonarr con il primo che passava. Io avevo bisogno di certezze.
In quel momento, però, l'unica cosa che realmente volevo, era riprovare quella nuova esperienza. Volevo le sue labbra sulle mie e le sue braccia attorno al mio corpo e -senza pensarci due volte- mi spinsi in avanti e pressai le mie labbra sulle sue.
La sorpresa fu tanta, quanta la mia audacia, eppure lui sembrava non aspettare altro: mi strinse a sé, posizionandomi tra le sue gambe e approfondendo il bacio.
Ed ecco che ritornò quel peso allo stomaco, i muscoli si irrigidirono e il respiro si mozzò in gola. Le mie mani, in automatico, volarono dietro alla sua nuca e si intrecciarono con i suoi corti capelli.
Emozionata.... non sapevo esprimere con altri termini il mio stato d'animo.
Ero felice di essere lì con lui, nonostante la situazione, nonostante tutto.
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