Epilogo
Il tanto atteso diploma.
Gabriel
Sei mesi, quasi mezzo anno, più di centottanta giorni. Ormai sembrava essere passata un'eternità da quel fatidico ventisette marzo. La mia vita era completamente cambiata, così come quella di Oks, di Stella, di Sandel e di tutti i membri del nostro branco.
Ricominciare non era facile, avevamo dovuto affrontare innumerevoli problemi, ma ne eravamo usciti illesi. Subito dopo i funerali per le vittime di Woodsville, Oks, Anisha e il piccolo Kyou erano partiti per Northside. Dove ad attenderle non solo vi erano i nonni, ma anche i Reali, i quali avevano trovato una soluzione per bloccare il processo di trasformazione di Efrem e di Anisha.
Lasciarla andare aveva richiesto un'immensa fatica e razionalità da parte mia. Lei non vedeva l'ora di prendere quel maledetto aereo e volare via da tutto, ma non da me. Il giorno della partenza non mi ero presentato in aeroporto, non avevo un simile coraggio. Avevo passato i primi giorni completamente da solo, ricoprendo il ruolo di Sandel. Il branco aveva bisogno di supporto morale e mio fratello sicuramente non era nelle condizioni di poterglielo fornire.
Aveva passato un lungo periodo di depressione, incolpandosi di fatti mai accaduti o di non sua responsabilità. Gli ero stato accanto, avevo provato a spiegargli che la colpa non era sua e che doveva riprendersi per il bene di quelle poche persone rimaste nel branco, ma a poco era servito.
Stella era nella sua stessa situazione, se non anche peggio. Non aveva rivolto la parola a nessuno per circa un mese e voleva addirittura andare via dal branco, ma ero riuscito a fermarla.
Ricordo quel giorno come se fosse ieri, era in preda ad una crollo emotivo. Urlava, piangeva e per poco non si colpiva. Ogni giorno vedeva Sandel spegnersi sempre di più ed essendo la sua vera compagna, percepiva ogni singolo sentimento. Era arrivata al punto di non reggere più la colpevolezza, la tristezza, la rabbia, nonostante nessuno di noi l'avesse incolpata della morte della nostra Luna.
Quel giorno era stato lo scacco matto della situazione, per la prima volta mio fratello si era mostrato al pubblico e aveva addirittura parlato, fermandola dal commettere una pazzia. Erano diventati l'uno il sostegno dell'altro, condividendo il dolore per un po' ed uscendone vincitori.
La situazione si era stabilizzata definitivamente circa due mesi fa, mio fratello aveva ripreso le redini in mano ed io avevo potuto finalmente rilassarmi. Stella mi aveva rimpiazzato per un po', prendendo insieme a Sandel un'importante decisione. Per nostra sfortuna, non eravamo riusciti ad integrarci bene nel nuovo paese, vivevamo a giornata e non avevamo quella tanto ambita serenità.
Ero sdraiato a letto, quando mio fratello entrò in stanza e si catapultò sul mio letto.
«Raccatta le poche cose che hai», disse solo.
Inizialmente non capii, ma eseguii l'ordine, credendo di aver trovato finalmente una casa stabile. Mi ritrovai, invece, in aeroporto diretto a Northside.
E in quel momento ero nella camera della mia ragazza, nonché compagna. La osservavo divertito mentre indossava la tunica scolastica con trenta gradi al sole. Sventolava energicamente la mano davanti al viso e sbuffava.
«Perché la cerimonia devono farla a settembre?»
«Non hanno potuto farla prima.»
«Lo so», sbuffò ancora.
Eppure sapevo quanto avesse atteso quel giorno, cosi come sapevo che sarebbe stato bello e triste all'unisono. Era finalmente arrivata al tanto ambito diploma, ma ci era arrivata da sola. Quando ero arrivato lì, avevo scoperto che entrambe le sorelle avevano iniziato una nuova vita, avevano una casa, un lavoro ed entrambe si erano iscritte a scuola. Oks era riuscita ad entrare direttamente all'ultimo anno tramite un test di ammissione, ma Anisha aveva iniziato dalla prima liceo, scegliando cosi una scuola serale che le permettesse di lavorare in un negozio di fiori la mattina.
«Come sto?», chiese per l'ennesima volta.
Sbuffando mi alzo dal letto e le andai incontro, piantando le mani sulle sue spalle. «Oks, sei perfetta. Basta con tutte queste paranoie.»
«Sono agitata... Soprattutto per il discorso», si abbandonò sul mio petto. Quand'ero arrivato in città, temevo che non avrebbe nemmeno voluto vedermi, invece l'avevo trovata all'aeroporto con un enorme cartellone con su scritto "Mi sei mancato lupacchiotto"
Gesto incredibilmente dolce e inaspettato, che però aveva suscitato le risate di tutto il branco.
Avevamo subito ripreso la nostra relazione... Forse anche meglio di prima, ce la stavamo godendo, finalmente.
«Andrà tutto bene», le stampai un bacio sulle labbra. Nel stesso momento sentimmo un "ciuf ciuf ciuf" arrivare sempre più vicino ed ecco che dalla porta fece capolinea una testa brunetta che gattonava verso di noi e continuava ad imitare un trenino.
Kyou Volkov, un bambino di quasi sette mesi super iperattivo e giocherellone. Rideva, combinava guai, mangiava e dormiva.
«Amore mio», esclamò Oks prendendolo in braccio. Anisha mi aveva detto che da quando erano arrivate a Northside, Oks era diventata una mamma per Kyou. Lo stava crescendo proprio come se fosse suo figlio, nonostante Anisha fosse presente nella vita del piccolo, viziandolo come solo una zia sapeva fare.
Alla fine era stata proprio Oks a prendersi la tutela di Kyou, inserendo il nome della sorella come secondo tutore in caso di emergenza; ovviamente erano entrambe d'accordo.
Un mese prima Kyou aveva pronunciato la sua prima parola: mamma... Peccato che fosse riferito proprio alla mia ragazza. Non appena aveva udito quell'appellativo, Oks era scoppiata a piangere e si era ripromessa che un giorno gli avrebbe raccontato la verità, ma nel frattempo gioiva al suono di quel nuovo ruolo.
«Oks dobbiamo andare!», urlò la nonna dal salone.
Tutti ci affrettammo a raggiungere l'autovettura dei suoi nonni, il tragitto casa-scuola venne percorso nel caos più totale: Oks continuava a ripetere il suo discorso, Anisha la correggeva continuamente, la nonna non sapeva come utilizzare una vecchia fotocamera di cui non ricordavo nemmeno il marchio, il nonno imprecava contro i semafori, l'unico a restare in silenzio era Kyou che -tra le mie braccia- giocava con i bottoni della mia camicia.
Come ci ero finito in questa situazione?
Quando giungemmo a scuola, venimmo accolti da una centinaia di studenti, accompagnati da genitori e amici. La cerimonia del diploma si teneva nel campo sportivo allestito con sedute, un palcoscenico e tanti, ma tanti striscioni e palloncini.
«Pensavamo vi foste persi», ridacchiò Stella, raggiungendoci insieme a mio fratello. Voleva esserci in quel giorno.
«Io vado, a dopo!», si dileguò la mia ragazza.
Non amavo particolarmente i luoghi affollati e quello era un vero e proprio inferno, non vedevo l'ora che finisse.
Ci accomodammo nella fila centrale, sulle sedute dei parenti e da lontano vidi il vecchio pelato che iniziava il suo discorso, del quale non ascoltai nemmeno una parola.
E poi eccola lì, una chioma rossa che avanzava come un robot verso gli scalini.
Quando venne scelta come rappresentante del discorso studentesco rimase senza parole, venne a casa mia con il fiatone, urlando: «hanno scelto me!»
Dunque poteco capirla, per lei quel giorno era di vitale importanza.
«Quando ho iniziato la prima liceo», puntai la mia attenzione solo sulla sua voce, «non mi sarei mai aspettata di ritrovarmi qui, oggi, nella scuola più prestigiosa della Capitale come rappresentante dei diplomandi. Ero, e sono ancora tutt'oggi, quel genere di ragazza che cade anche da ferma... Infatti devo stare attenta quando scenderò da qui», borbottò, facendo ridere tutti. «Non amo i luoghi affollati, non amo stare al centro dell'attenzione e sono sempre stata sopraffatta dalla timidezza e dall'insicurezza... Queste sono le cose che avrei detto se fossi stata ancora in prima liceo, ma oggi non le dico.»
Abbassò il viso sul foglio che stringeva tra le mani, decidendo infine di chiuderlo e facendomi aggrottare la fronte. Prense un grande respiro e continuò. «Adesso nella vita ho certezze, ho capito chi realmente sono e ho capito anche perché molti sostengono che il liceo comprenda gli anni più belli della nostra vita. Non è la scuola in sé a formarci, certo ci dà le basi della matematica, della fisica, della filosofia... Ma cosa ci insegna della vita? Ci insegna lo stress dello studio? L'ansia degli esami?»
«Sta cambiando tutto il discorso», affermò sconvolta Anisha.
Perché lo stava cambiando? Ci aveva impiegato un mese per scriverlo.
«La scuola oltre alle discipline non ci insegna molto, il nostro futuro dobbiamo costruircelo noi e non solo con l'istruzione. Durante il liceo, durante il periodo più difficile della nostra vita -ossia l'adolescenza- impariamo ciò che è veramente la vita e ad un certo punto ne siamo anche spaventati, ma è proprio quando siamo spaventati, quando non sappiamo più dare una soluzione ai nostri problemi... è in quel momento che maturiamo. Assumiamo comportamenti, agiamo in un modo che potevamo ritenere impossibile, a malapena ci riconosciamo. Eppure alla fine ci ritroviamo soddisfatti del nostro cammino, siamo pronti a chiudere tutte le vecchie esperienze in un baule a farne tesoro, perché sappiamo che prima o poi ci torneranno utili. Siamo anche pronti a preparare le valigie per il college e a subire anche altra ansia», ennesima risata generale, «ma sicuramente l'affronteremo con maggiore sicurezza e consapevolezza delle nostre doti. Sì, crescere fa paura, ma è dalla paura che deriva la forza.»
Una volta concluso il discorso un boato di applausi e fischi si innalzò. Abbozzando un sorriso e dipingendo quelle adorabili guanciotte di rosa, Oks si affrettò a prendere la pergamena del diploma tra le mani e a scendere dal palco, dove ad attenderla intravidi alcune ragazze.
Dopo la consegna dei diplomi, la ragiugemmo e le facemmo gli auguri.
«È strano pensare che mia sorella minore si sia diplomata prima di me», esclamò Anisha.
«E pensa che sarò anche laureata, quando terminerai il liceo», la derise lei.
Nei suoi occhi, però, intravedevo costantemente un velo di lacrime.
«Su su, venite tutti qui!», urlò la nonna, prendendo la macchina fotografica. Mio Dio ci avremmo messo ore per una semplice foto.
Per mia fortuna non fu così, la foto fu scattata in pochi secondi e dopo di essa se ne susseguirono altre venti.
Quando fummo liberi dalle grinfie della nonna, ci rendemmo conto che all'appello mancavano due teste.
«Dov'è Oks?», chiese Anisha, sistemandosi la borsa. «Ah... Eccola lì, ma che sta facendo?»
Ci voltammo verso il tavolo delle bibite e proprio lì vedemmo Kyuo seduto sul prato ed Oks con un palloncino rosso -probabilmente rubato dall'allestimento del liceo- ed un pennarello.
Scrisse qualcosa, per poi prendere il bambino in braccio e -con la mano libera- sorreggere il palloncino.
Al mio fianco sentii un sospiro e, quando mi voltai, vidi Stella con occhi rossi e lucidi.
«Sul palloncino... C'è scritto: ce l'abbiamo fatta.»
Aveva un vista straordinaria, nemmeno io riuscivo a leggere cosa c'era scritto.
Tutti sapevamo a chi era rivolto quel messaggio e qualche lacrimuccia scese quando lei indicò a Kyuo il cielo ed insieme lasciarono andare il palloncino.
Orgoglioso come non mai della mia ragazza, ci ritrovammo tutti la sera a festeggiare.
«Sei stata spettacolare oggi», confessai, poggiando i gomiti sulla ringhiera di casa sua e bevendo della Coca-Cola.
«In realtà ho cambiato ol discorso, non è quello che avrei dovuto dire, ma in quel momento le parole sono uscite da sole», sospirò, assumendo la mia stessa posizione.
Il meraviglioso vestitino verde che indossava venne messo ancora di più in risalto.
«Lo so, me lo ha detto Anisha. Ma sei stata comunque favolosa, io non sarei riuscito a fare un discorso del genere, improvvisato d'altronde.»
«In quel momento ho rivissuto tutti gli anni del liceo, a partire dalle occhiatine, le prese in giro, l'odio, fino ad arrivare alle cose belle, ai bei momenti passati con Melinda e a tutte le stronzate che abbiamo fatto. Ho capito che quell'isolamento a qualcosa è servito, così come ho visto l'enorme differenza tra la Oks quattordicenne e la Oks diciottenne. Ciò che ho detto stamattina è vero, le situazioni, le esperienze, possono cambiare una persona... Cambiare in meglio.»
M
i staccai dalla ringhiera e mi voltai verso di lei, trovandola a fissarmi. «Non ti ho mai ringraziato e voglio farlo adesso. Ti ringriazio per essermi sempre do supporto e soprattutto per subire silenziosamente tutti i miei scleri. So che per te non è stato facile lasciarmi venire a Northside, ma per il mio bene non hai agito egoisticamente. Non fare mai l'errore, però, di pensare che tu non mi sia mancato. Eri l'unica cosa per cui rimpiangevo la mia partenza, ma è un stato un bene venire dai nonni.»
«Oks non mi devi ringraziare, di nulla, e non ho mai lontanamente pensato che tu ti fossi dimenticata di me o che non sentissi la mia mancanza. Avevi bisogno di volare letteralmente via ed io non ti avrei mai privato delle tue ali. Ammetto, però, che è stato un periodo orribile. L'importante è esserne usciti.»
«Ti amo cosi tanto Gabriel, non ne hai nemmeno idea», mi circondò il busto con le braccia e poggiò il viso sul mio petto.
«Anch'io Oks, sei la mia vita.»
Quelli eravamo noi, un lupo e una volpe che avevano bisticciato sin dal primo giorno di conoscenza per dei sentimenti contrastanti, a partire dal rifiuto di condividere la propria vita con qualcuno, ad arrivare ad accettare l'altra parte. Per raggiungere la felicità avevamo superato il fuoco dell'inferno e quel paradiso ce lo meritavamo tutto.
Ecco una foto della nostra bella Oks!
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