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                              Pietro
Sono riuscito a dire una bugia alla persona a cui tengo di più. Non ci sono scuse. Sono nel bagno della scuola, faccia rivolta allo specchio e mani che si reggono saldamente ai bordi del lavello. Sono da solo perché è la prima ricreazione, tutti gli altri vanno sempre durante le lezioni per saltarle. C'è un fastidioso odore di fumo e le porte sono piene di scritte e graffiti a matita, a penna e fatte con gli uniposca. 

Con la coda dell'occhio scorgo un ragazzo con i capelli marroni che entra nel bagno. Non lo riconosco subito, ci saranno almeno cento studenti con il suo stesso colore di capelli, ma appena si gira non potrei mai scambiarlo per qualcun altro. Ha gli occhi verdi contornati da occhiali neri con la montatura sottile e una cicatrice sul sopracciglio. Dice di essersela fatta da piccolo cadendo da un albero, però a me ha raccontato la verità: è quello che gli resta dell' incidente che ha ucciso i suoi genitori, è per questo che vive dai suoi zii. 

-Ehi Pietro, cosa mi volevi dire?- mi domanda. L'ho chiamato in corridoio dicendogli di vederci ora in bagno. -Niente, Matteo, niente.- gli rispondo. Mi squadra da capo a piedi e ammette: -Dalla tua faccia non direi!- e ride. Ha un senso dell' umorismo che mette d'accordo tutti e che gli è valsa un bel po' di popolarità. Allora forse vi chiederete perché un ragazzo simpatico sia diventato il migliore amico di qualcuno di noioso come me. È molto semplice: con i suoi viveva nel mio stesso palazzo, dopo l'incidente però si è trasferito in una casa singola un po' più lontana. Non andiamo nella stessa classe dalla quinta elementare e all' università ci divideremo ancora di più dato che lui farà ingegneria aerospaziale ed io giurisprudenza (come vuole mio padre)o archeologia (come voglio io). 

È il mio più grande confidente e ha già capito che c'è qualcosa che non dico. -Facciamo così, dato che il gatto ti ha mangiato la lingua oggi pomeriggio dopo la partita verrai a casa da me. Zia Margherita ha comprato il gelato al pistacchio, se non basterà quello a farti parlare non ho altre idee.- dice uscendo. 

Il resto delle lezioni passano in fretta, prendo i soliti appunti e mi guardo bene dal rivolgere la parola a Jasmine. A mattinata terminata tiro fuori dallo zaino un panino con il prosciutto crudo e mi avvio verso la palestra. Ad aspettarmi all' ingresso c'è Matteo, anche lui fa parte della squadra, è agile e veloce, perciò si è dimostrato fin da subito un ottimo attaccante. 

Aspettiamo lì fuori gli altri ragazzi e una volta che abbiamo finito il nostro pranzo entriamo nella palestra. Ci dirigiamo in fretta verso gli spogliatoi e ci mettiamo la divisa della squadra. È rossa e bianca, con il nome della squadra sul davanti e il disegno stilizzato di un' aquila. Il suo nome è Mark, detto Spennacchiotto. Sul retro della canottiera c'è il cognome e il numero. Il coach Rossi ci fa fare dieci giri di campo come riscaldamento e poi ci dà il permesso di andare a bere. 

La squadra rivale sta per arrivare, sono i ragazzi di Latina, sono venuti qui per le regionali. Siamo ancora nello spogliatoio e sentiamo il clacson del loro pullman. Ci mettiamo in una fila e quando sentiamo l'arbitro che ci chiama scendiamo correndo in campo e la nostra tifoseria ci accoglie con un sonoro applauso. La partita procede bene, faccio quindici canestri in totale. Fino a quando improvvisamente i ragazzi di Latina sembrano svegliarsi, e non solo raggiungono i nostri trentacinque punti, ci superano arrivando a trentasette con un mitico canestro da parte del capitano. 

Mancano poco più di due minuti, e faccio cenno a Matteo di passarmi la palla. La prendo e mi dirigo verso il canestro tentando di pareggiare, ma l' altro capitano mi marca stretto e mi costringe a uscire fuori area. Salto, tiro e chiudo gli occhi. Il tempo finisce e la tifoseria esulta, so bene che è quella dell' altra squadra. Mi volto per vedere effettivamente di quanti punti hanno vinto. 

Ma mi aspetta una sorpresa, è finita trentotto a trentasette, per noi! Esulto con i miei compagni, non me lo aspettavo. Il coach viene a festeggiare e urla: - Andiamo alle nazionali!-. Non ci posso credere, questo risultato non era mai stato raggiunto dalla nostra scuola, nemmeno quando della squadra faceva parte mio padre. 

Viene perfino lui a farmi i complimenti, o meglio più dei complimenti mi dice semplicemente: -Era quello che mi aspettavo da te.-. L' unica a tenersi a distanza è Jasmine, anche se non sa che ho sentito che era lei quella che urlava più forte. Però non ho tempo di chiedermi dove ho sbagliato, spiego di fretta a mio padre che vado a casa di Matteo. Poi ci imbuchiamo nelle vie di Roma contenti e soddisfatti verso casa di sua zia. 

La signora Margherita ci apre alla porta e ci accoglie in casa. Ha sui quarant'anni ed è una persona gentile e disponibile con i capelli rossi sempre raccolti in uno chignon confusionario tenuto insieme da un pennello. Solitamente ha le braccia sporche di vernice: è una pittrice molto brava  che si occupa anche di disegni per alcuni giganti nel settore dell' animazione. Ci accomodiamo in veranda dove troviamo ad aspettarci due coppe di gelato pistacchio e caramello. Se ne va lasciandoci da soli. 

Io mi fiondo sul gelato e Matteo fa la stessa cosa. -Buono, vero?- mi fa il mio amico -Non c'era qualcosa che mi volevi dire?-. So bene che sono costretto a dirgli ogni cosa, allora prendo un respiro profondo e gli racconto di Jasmine e di tutto il resto, lui ascolta in silenzio.

 Alla fine del racconto annuisce e mi chiede: -Se averle detto una bugia ti pesa tanto, perché non le dici subito la verità e ti scusi?-. Domanda sensata, l' unico problema è che non so la risposta. 

-Non lo so, ho paura di fare la figura del fissato con i libri. Insomma, il ragazzo noioso a cui non chiedi di uscire ma che al massimo inviti a casa tua per avere un aiuto nella relazione di scienze!- dico tutto d'un fiato. Matteo sembra concentrato, sono sicuro che riuscirà a trovare una via d'uscita per me da questo pasticcio.

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