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                                                                                            Jasmine

Mi sveglio per colpa della luce solare che filtra dalle tende, è lunedì mattina. Possibile che una studentessa non possa sonnecchiare in pace? In tutto questo ho una magra consolazione: è l'ultima settimana di scuola e dopo sarà tutto finito. 

In realtà più o meno, dato che ci sono tutte le probabilità che mio padre mi obblighi a prendere un lavoro estivo per portare qualche soldo in più alla famiglia. Mi vesto in fretta e vado in cucina, vedo mia mamma che versa un po' di latte in una tazza con affianco dei biscotti. 

–Buongiorno tesoro! Come va?- mi dice con il sorriso. È già da un bel po' che vorrei dirle tutto, svuotare il sacco, la sua serenità sembra quasi spingermi a farlo. Mi siedo e le chiedo di mettersi accanto a me. 

È il momento perfetto: baba non è a casa e i miei fratelli stanno tutti dormendo. Cerco di parlare ma le parole mi muoiono in gola, lei aspetta con gli occhi che mi invitano a fidarmi. Dico veramente tutto, nonostante le parole mi fanno male più dei segni che ho sulla pelle, è come se riaprissi ferite che in realtà non hanno mai smesso di sanguinare. 

Ho gli occhi lucidi, ma non piango, sento un peso sul petto, ma mi sforzo di continuare a respirare, l'aria non entra e mi sento annegare nei brutti ricordi. "Io non sono debole" provo a ripetermi, ma sta succedendo, ancora. 

Mia mamma se ne accorge, mi ha già visto avere un attacco di panico, è sempre la prima a notarlo. Questa volta è come un fiume in piena, troppo potente perché io lo possa arginare. Mi fa segno di respirare ed io la seguo. L'aria entra ed esce di nuovo. 

Questo è sempre il momento più strano, dopo tutto quello che è successo le persone mi guardano diversamente. Mia madre no, per lei sono sempre io, sempre la sua piccola bambina perfetta. –Troveremo un modo, tutto si sistemerà principessina mia, te lo prometto.- mi consola abbracciandomi ed asciugandomi le lacrime. 

Il suo volto si illumina in un modo nuovo: -Mi è venuta un'idea, ce ne andremo dove tuo padre non potrà farci del male, io tu e i tuoi fratelli. Vi proteggerò a costo della vita, lo sapete bene.-. Si può fare, andarcene lontani, lontani dall' uomo che per una vita ho chiamato padre.

Mi guardo un'ultima volta allo specchio e poi esco. Oggi non ho proprio voglia di andare in bicicletta quindi prendo il primo autobus e ci salgo. Mi siedo in un posto un po' in fondo, vicino ad una vecchietta con il libro di "Orgoglio e pregiudizio" in mano e la borsa della spesa ai piedi. Inizio a pensare a quale possa essere stata la reazione di Pietro alla consegna del pacco. 

Gli saranno piaciute? Lo scoprirò fra poco. L'autobus si ferma ed io scendo. Nessuna traccia di lui al cancello né nel vialetto. Controllo se ho ricevuto qualche messaggio da parte sua, nulla. Sembra tutto assurdo, lui si accerta sempre di aspettarmi e di accompagnarmi dentro. Decido di entrare, salgo le scale e scorgo la porta dell'aula. 

Lo cerco con gli occhi e all'inizio non lo trovo. Non è seduto al solito posto, è dall'altro lato della classe ed è seduto vicino ad un ragazzo che fa parte della squadra di basket, credo sia Diego. Lo sapevo: dopo il bacio ha deciso di evitarmi, un po' me lo aspettavo. Fa male sapere che tutti i sentimenti che provo per lui non sono corrisposti, me ne farò una ragione. 

Forse esito troppo su di lui, si volta e il suo sguardo si incatena nel mio. È come se stesse trattenendo un sorriso. Magari in fondo non mi odia, mi riprometto di non pensarci più e di non illudermi. Seguo la lezione e prendo appunti, il tempo passa in fretta e la campanella dell'uscita suona. Mi alzo con calma dalla sedia e rimetto i libri nello zaino, si sono già dati tutti alla macchia.

Vado dritta verso l'uscita e noto quanto la scuola sembri più vuota del solito. Svolto l'angolo e vedo Pietro con un mazzo di rose rosse in mano ed uno striscione dietro di lui con scritto: "Vuoi venire al ballo con me". Mi guarda negli occhi e mi chiede: -Allora?-. Non ci posso credere, è tutto vero, ha fatto tutto questo per me!

–Io... Io non so cosa dire.-.

Lui mi sorride: -Un semplice sì basterebbe.-.

-Sì! Cento volte sì!- dico.

I compagni dietro di lui esultano e Pietro mi viene incontro, noto solo ora che indossa le Converse che gli ho regalato, mi stringe fra le sue braccia e mi bacia. Mi dà le rose dicendo: -Queste sono per te.- sembra felice come un bambino la mattina di Natale. 

Toglie una scatolina dalla tasca dei jeans e continua: -Oh, anche questa.- La prendo in mano e noto la meravigliosa scatola decorata da girasoli e rose. –Che aspetti? Aprila!- mi incita. Sollevo il coperchio e trovo una collanina argentata con una farfallina rossa. 

–Grazie!- lo bacio di nuovo, poi gli chiedo: -A cosa devo tutti questi regali?-. Sempre sorridente mi risponde: -È il minimo dopo tutto quello che hai fatto per me.-. Non ho idea di cosa ho fatto per lui, ma ammetto di sentirmi lusingata da tutte le sue attenzioni. Torniamo a casa insieme a piedi, questa mattina si è fatto accompagnare in macchina da sua madre perché doveva portarmi tutto questo.

Mi chiede: -Come mai ti chiami Jasmine?-. 

Gli sorrido e rispondo: -In Marocco mia madre aveva un piccolo giardino, lo adorava e passava moltissimo tempo a prendersene cura, la maggior parte dei fiori erano gelsomini, da lì il mio nome. E tu, come mai il nome Pietro?-. 

Prende un respiro e inizia a raccontare: -Pietro è il nome di mio zio, il fratello di mia madre, è morto una settimana prima che nascessi a causa di una malattia rara. Non l'ho mai conosciuto, ma so che era una persona affidabile e molto simpatica. Mia mamma voleva fossi come lui.-. 

I nostri nomi sono gli opposti, uno celebra la vita di un fiorellino e l'altro ricorda la morte di una persona. Che sia uno scherzo del destino?

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