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Pietro
Dicono che gli occhi siano la porta dell'anima, sui miei hanno proprio ragione. Sono di azzurro gelido e spesso vengono definiti di ghiaccio. Il vero problema è che mi sono congelato un po' anche io. Erano dieci anni che non mi innamoravo di qualcuno. Lo so, è strano, ma è un lunga storia.
Da quando avevo quattro anni i miei genitori litigano, non riescono proprio ad andare d'accordo. Mi mandavano sempre in camera per evitare che sentissi le loro urla che però arrivavano anche alla mia porta e non potevo di certo ignorarle.
Un giorno allora ho deciso di andare in cucina per capire cosa stesse succedendo. La scena è impressa nella mia mente come se quel giorno fosse ieri. Mi accovacciai dietro al bancone e mio padre in un gesto rabbioso con la mano e buttò a terra una spillatrice, mi si conficcò nel labbro e mi ha lasciato la piccola cicatrice che ho tutt'ora.
Pochi giorni dopo mi avvertirono che stavano per divorziare, avevo solo cinque anni. Da lì ho smesso di credere nell'amore, ho continuato ad essere gentile ovviamente, però nonostante le numerose ragazze stupende che conoscevo non riuscivo a provare sentimenti seri per nessuno.
Era come se qualcosa in me si fosse rotto, poi è arrivata lei. Mi ha sbloccato qualcosa dentro, come se avesse scoperto una chiave e avesse aperto una porta. È dura spiegarlo a parole, quando sono con lei mi sento bene.
Mi distraggo da questi tristi pensieri e mi immagino fra due settimane seduto al tavolo della gelateria di mia madre con il mare davanti a me e un paio di infradito ai piedi.
Oggi ho la casa tutta per me , mio padre è in studio ed io mi distendo sul divano con il film di Iron Man in sottofondo. Sento il campanello suonare e mi affretto ad andare alla porta. Mi guardo intorno e non vedo nessuno, volto la testa e noto una chioma scura e riccia muoversi in fretta e allontanarsi.
Abbasso lo sguardo e trovo un pacchetto rettangolare piuttosto grande. Lo prendo e lo porto in casa, lo appoggio sul tavolinetto del salotto. La carta è rosso fuoco, il che mi dà un indizio su chi me lo abbia mandato. Lo apro e trovo una scatola nera con il marchio Converse stampato sopra. Attaccato c'è un biglietto, lo stacco e lo leggo:
"Ciao Pietro, sono Jasmine volevo solo dirti che ieri mi è piaciuto. Mi è piaciuto sul serio. È stato il mio primo bacio, sono sicura che a te fosse già successo, ci tenevo comunque a dirti quanto sia stato speciale per me. Mi piaci dal primo momento che ti ho visto, quando mi hai aiutato dopo quella caduta. So che probabilmente non ti interesso e per me va bene. Forse non ci rivolgeremo più la parola. Forse mi eviterai perché è stato tutto un grande errore, per me va bene. Ho avuto un piccolo attimo in cui sono riuscita a guardarti e mi basta, non chiedo di più.
P.s. mi dispiaceva per come si sono rovinate le tue scarpe perciò mi sembrava il minimo.
Ti voglio bene, Jasmine"
Come poteva anche solo pensare di non piacermi, era perfetta in tutti i sensi. Scoperchiai la scatola promettendomi di parlarle il giorno dopo a scuola. Ci sono un paio di Converse bianche, numero quarantacinque.
Come fa a sapere anche il mio numero? Glielo chiederò. Fantastica, ecco cos'è. Le metto nell'armadio ed inizio a riflettere su come ringraziarla. Un biglietto? No, troppo scontato. Un bracciale? Troppo semplice. Mi viene finalmente in mente il regalo perfetto: le comprerò un mazzo di rose rosse con una collanina con la farfalla e le chiederò di venire con me al ballo di fine anno.
Esco fuori e compro la collana, le rose le comprerò domani in modo tale che saranno fresche. Rientro in casa e mi accorgo che mio padre ancora non è tornato. Vado in cucina mangio una fetta di pizza patate e salsiccia avanzata da ieri sera. Vado in camera mia e controllo di aver fatto tutti i compiti.
Sento improvvisamente la porta aprirsi e due voci che parlano concitatamente. Mio padre avrà portato a casa qualche collega. Decido di rimanere in camera, sarà meglio non disturbarlo mentre lavora.
Le voci si fanno più vicine e più chiare, riconosco un timbro femminile, limpido, unico. Non può essere lei, lei non viene mai a casa nostra, lei non potrebbe nemmeno sopportare di respirare la sua stessa aria. Vado in cucina con passi leggeri e mi siedo sotto al bancone come facevo da piccolo.
È lei, è veramente lei. Non parla dal vivo con mio padre da dieci anni, non viene a Roma da dieci anni eppure a vederla di nuovo nella nostra cucina, seduta su uno degli sgabelli alti, sembra che il tempo si sia fermato. Questo è il posto in cui mia madre deve stare. Lei con i suoi ricci dorati come i miei ed i suoi occhi di ghiaccio che nemmeno il sole di Amalfi è riuscito a scongelare.
Lei e mio padre parlano tranquillamente, niente urla o vetri rotti. Sembra surreale. Scelgo di uscire dal mio nascondiglio. Mia mamma, Lucia, mi nota per prima: -Tesoro, quanto sei cresciuto. Mi sei mancato da morire.- mi dice abbracciandomi.
Il suo profumo di pistacchio e di caramello mi fa tornare a quando ero piccolissimo e mi rifugiavo fra le sue braccia quando sentivo il rumore di un tuono.
Mio padre Marco sembra stranamente sereno e mi spiega: -Stavamo definendo gli ultimi dettagli sulla tua partenza.-. Come è possibile? Nemmeno il primo anno mio padre scendeva dalla macchina per accompagnarmi e sono due anni che prendo da solo il treno. Questi due non me la raccontano giusta.
Io e mia madre andiamo in camera mia e lei mi chiede di dirle tutto. Le racconto di aver cambiato classe e di come va con i professori. –Sei sicuro che non ci sia altro? Non so, magari una ragazza...- . Vuoto il sacco spiegandole tutto di Jasmine e del bacio e di tutto quello che ha fatto per me.
Lei non ne sembra sorpresa e mi fa una proposta inaspettata: -Che ne dici di invitarla da noi quest'estate.-. Non ci posso credere, è un'idea fantastica. Spero che accetterà.
–Mamma, dimmelo seriamente: come mai sei qui? Non vieni mai. Hai per caso appena scoperto che le pratiche per il divorzio non sono mai state chiuse. Perché altrimenti non mi spiego. Tu odi papà.-. Forse marco eccessivamente la parola "odi".
Mi guarda come se non capisse le mie parole e mi dice: -Devo spiegarti. Io e tuo padre ci vediamo da qualche mese. L'hai fatto tornare chi era davvero. Hai fatto l'impossibile.- mentre parla ha le lacrime agli occhi –Io e lui siamo di nuovo insieme, grazie a te. Piccolo, hai di nuovo una famiglia unita.-.
Ciò in cui ho sperato per una vita è vero, il mio sogno da bambino si è avverato. È vero.
Sento gli occhi che si inumidiscono: -Stai scherzando, vero?-. Lei sembra felice quasi quanto me.
–Pietro, è tutto vero. Ci sposiamo di nuovo a Settembre, e tu sarai il mio testimone.-. Piango, ma per la prima volta non sono triste, sono lacrime di gioia che non posso controllare.
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