Capitolo 8
"Mio piccolo Blake" .
Lo chiamò la giovane donna, tendente con una mano verso la sua figura.
Il piccolo le sorrise. La chiamò e prendendo a muoversi verso quelle due figure che lo avevano amato come se fosse stato il loro vero figlio, donandogli tanto amore e attenzioni cercò di raggiungere le loro mani. Ma ancora una volta dal raggiungere la sua intenzione ecco che tutto andò in frantumi così come quelle due persone a lui care che andarono a sbiadirsi man mano sempre di più, finché non rimase solo lui a piangere e a gridare mamma e papà. Un straziante eco che andò a infrangersi tra quelle quattro pareti, ripetendo quel suono, che lo rese sempre più vero e doloroso.
Un eco che continuò a ripetersi fino a che una dolce voce lo riportò nel presente. Lontano da quel dolce-amaro ricordo di un Blake bambino che rivoleva indietro i suoi genitori. Lontano da quel Blake solo.
Di soprassalto, aprendo lentamente gli occhi, abituandoli alla fioca luce che entrava dalla tapparelle, ecco che poi riuscì a distinguere la sagoma di qualcuno, che stava a pochi centimetri dal suo viso. Sorrise candidamente e alzando la mano prese ad accarezzare quella calda guancia.
"È ora di svegliarsi Blake, forza".
Lo riprese Ren, con voce fintamente severa, per poi scostargli dolcemente i capelli sudati sulla fronte e sostituendoli poi con le propria labbra. In un affettuoso bacio.
Beandosi di quel momento, Blake lasciò chiudere per un momento gli occhi come per imprimersi al meglio quel veluttuoso contatto. Ren si staccò e si perse a guardare quegli occhi segnati dalle occhiaie violacei. Segno che il più grande avesse dormito poco e niente.
Blake se ne rese conto, e come per smorzare il momento, dato che non aveva alcuna voglia di farlo preoccupare, parlò con voce bassa e roca, causa ancora del sonno.
"Che fretta c'è?"
E nel formulare la parola fece strusciare la punta dei loro nasi.
"Che fretta c'è? Davvero non ricordi che giorno è oggi, Blake?"poi prese un momento di pausa, nel quale con un espressione esasperata davanti a quel viso confuso rilasciò poi un lungo sospiro.
"Bene, dato che al momento lo hai scordato ci penserò io a rinfrescarti la memoria. Buon compleanno Blake" aggiunse, addolcendo il tono nelle ultime tre frasi.
E tutto si fermò, così come anche il suo cuore. Lui se lo era scordato, ma ci aveva pensato qualcun'altro a ricordarselo. Qualcuno di veramente a lui speciale. Dopo un secondo di basimento ecco che il più grande decise di ringraziarlo, ma anziché si usare le parole, aveva lasciato che fossero i gesti a farlo a posto loro. Così portò le sue labbra su quelle sorridenti del più piccolo e afferrandolo con una mano al retro del collo, fece più pressione, lasciando che fossero le loro lingue a continuare. Riscoprendosi sempre di più e sempre meno timide. Il più piccolo portò le mani sul ampio petto dell'altro, sentendo come il movimento sotto al suo palmo andava a ritmo irregolare. Lo lasciò continuare finché ne avesse avuta voglia. Lasciò che Blake facesse ciò che realmente avesse voluto fare. D'altronde non era nessuno per dirgli di no e ne tantomeno in quel giorno speciale.
Ci furono ancora altri minuti e secondi dove il bacio continuò, fino a quando non venne a spezzarsi del tutto. Blake approfittò di quel momento per tenersi il suo Ren più vicino a sé, senza avere la voglia di lasciarlo andare, pensando di avere ancora di quel tanto amore da donargli e che ne era sicuro, che mai se ne sarebbe pentito, qualunque cosa fosse successa. Era sicuro di ciò che stava facendo e di ciò che desiderava che nessuno mai sarebbe riuscito a fargli cambiare idea. Perché amare Ren, era come amare e sapere apprezzare la vita. Ren era ossigeno. Ren era sentimenti e senza di esso sarebbe soltanto stato un involucro vuoto, contenente un cuore altrettanto vuoto. Aveva già provato questa tipica sensazione, in passato, ed era sicuro di non volerla provare mai più. Perché non c'era niente di peggio nell'essere un corpo senza anima, solo sofferente e pieno di crepe.
Bisognava apprezzarsi e non disprezzarsi. Ma questo lo aveva imparato soltanto stando a fianco del suo amore.
"Vestiti. Ti devo portare in un posto speciale"annunciò il più piccolo, cercando di levarsi un po' in su, anche se con un poco di difficoltà, per via della prese del più grande che ancora aveva sul suo collo.
"Dove?"
Chiese divertito Blake, spalancando leggermente gli occhi.
"Non posso dirtelo, ma presto lo scoprirai".
Ci fu soltanto un lieve accenno di assenso. E quando finalmente il più grande si decise a lasciarlo andare, senza dire più niente, il più piccolo uscí fuori dalla stanza come una scheggia.
E così a Blake una volta solo, non gli restò altro che alzarsi dal caldo letto, recuperare dei vestiti nuovi nel doppio armadio e per poi rinchiudersi nel bagno. Dove una sana e calda doccia lo avrebbe aiutato a ritornare in sé.
***
7 Gennaio - 2021
Sprazzi di frammenti del mio passato
E anche questa sera, piccoli frammenti rinchiusi in me, si sono divertiti ancora una volta a darmi il tormento. Sono stanco, di svegliarmi con questi battiti anomali, la fronte imperlata dal sudore, e la paura di rimanere ancora una volta solo. Sono stanco di tutto questo.
Sento una fottuta mancanza dei miei genitori.
Mi mancano le carezze che mia madre sapeva donarmi appena mi svegliavo da qualche incubo o la mancanza di mio padre che con tutta la pazienza e la premura di questo mondo, ogni pomeriggio mi stava dietro ad insegnarmi ad andare in bicicletta. E ogni caduta che facevo per lui corrispondeva "non è niente" seguita da qualche coccola. O il profumo di casa che mi inondava le narici, non appena ci mettevo piede dopo scuola e i "bentornato tesoro" da mamma e papà. Me li ricordo ancora , quei pomeriggi delle domeniche, a guardare mia madre mentre tutta sorridente preparava la torta per il dopo cena e papà che se stava a fumare tranquillamente una sigaretta mentre guardava la tv. E pensare che sin da piccolo quell'odore di tabacco e sigaro mi faceva nauseare, ma ora quando appena lo sento, lo rimpiango, mi riporta in mente troppi ricordi dolorosi.
Mi fa ancora male il sapere che non ci siano più, che mi abbiano lasciato ancora nel fiore della giovinezza. Quando il tutto successe io andavo solo alle medie. Sembrava un giorno qualunque, sai, uno di quelli in cui ti svegli e dici "anche un'altra giornata monotona è appena iniziata" ma chi lo poteva mai sapere per davvero, che qualcosa potesse andare storto. Io e la mia bocca troppo grande. Mi rimprovero ancora oggi, per quelle mia stupide parole. Ma forse, alla fine, era così che le cose dovevano andare e secondo me non ci sarebbe potuto essere niente per fermare quell'ostacolo che la vita aveva ben pensato di metterci in mezzo.
Di quel giorno riesco ancora ricordarmi bene, del profumo della macchina di papà. Quel giorno, insieme ai miei saremmo dovuti andare dai mie zii, dove poi alla fine non ci arrivammo mai. C'era un bel sole quella mattina, tipico quello estivo, così caldo e luminoso. Le macchine sfrecciavano tra quegli asfalti grigi, mentre io mi perdevo a guardare il paesaggio che veloce come un fulmine, mi passava davanti al finestrino lasciato un poco aperto, e quell'aria che vi entrava mi scombinava i capelli, che dopo mezz'ora ero riuscito a tenerli fermi e dritti grazie a un gel, ma alla fine, non era servito un cazzo. I miei capelli presero la forma di una palla di fieno. Ma sorvolando su questo mio punto, papà se ne stava sul lato del guidatore, a guidare con prudenza, come sempre aveva fatto. Mentre mia madre seduta sul lato passeggero, se ne stava con un braccio appoggiato al finestrello e i suoi lunghi capelli miele svolazzavano indietro guidati dal vento. Era così bella. Parlavano e io me ne stavo lí, in silenzio, ad ascoltarli, ma l'unica pecca, fu che non capii un bel tubo di ciò che si dissero, però mi piaceva ascoltare le loro voci, mi davano un senso di sicurezza. Questo, finché non vedemmo una camion venirci addosso. Ricordo ancora il rumore delle sgommate sul cemento e tutti i tentativi di mio padre di spostarsi sul lato opposto, e mia madre che mi gridava di mettermi giù. Ma non ascoltai, troppo paralizzato da ciò che stava succedendo. E poi uno schianto. La nostra macchina che si stava capovoltando, facendomi ritrovare con il corpo all'insù e la testa all'ingiù. Posso ancora ricordare bene la sensazione, di quel liquido appiccicoso, che mi stava colando lungo il volto. La testa troppo pensante che sentivo, e poi prima di chiudere una volta per tutte gli occhi a quel buio che voleva invadermi, il mio flebile lamento che chiamava mamma e papà.
Dopo quello, dopo il tunnel nero e buio nel quale ero rinchiuso, ricordo di essermi svegliato, con il disinfettante dell'alcol nel naso, e il fastidioso rumore dei bip, che la macchinetta vicino a me ammetteva ad ogni mio respiro e poi ancora il fastidioso pizzicore che quegli aghi conficcatemi nella pelle mi davano fastidio. Una stanza bianca e piena di attrezzature strane, ecco dove mi ero risvegliato.
Ad un certo punto, potei sentire la voce di una giovane donna, che gridava dottore si è svegliato, mio nipote si è svegliato, era mia zia. Ecco cos'era quella sensazione di calore che sentivo alla mia mano, stretta dalla sua. Voltai lentamente il viso nella sua direzione, anche se non potei vedere nitidamente, vidi anche la figura di mio zio in lacrime, che le se avvicinava e l'abbracciava. E fu un attimo in cui ricordai il momento dell'incidente, e una domanda mi venne spontanea da fare in quel momento. Volevo sapere a tutti i costi di cosa ne fu stato dei miei genitori, e fu lì, che il mondo mi crollò addosso facendomi cadere in una sorta di crisi. Piangevo e tremavo. Non volevo credere a ciò che mi era appena stato riferito. Non volevo credere nella realtà che i miei non c'è l'avevano fatta , che erano morti e che io invece, di essere con loro, me ne stavo ancora qui a respirare. Mi rifiutavo di crederci. Il petto mi faceva così male che per un momento mi fece evitare di respirare, sentivo l'ossigeno abbandonarmi, e le mie mani che si aggrappavo con forza alle bianche lenzuola che coprivano il mio corpo immobilizzato. Le voci che piangevano mi sembrano molto più distanti da qualche erano. Fu in pochi attimi, ma che per me sembravano secoli, che qualcuno arrivò in mio soccorso. Una puntura e poi una mascherina che mi copriva naso e bocca, questo fu l'ultimo mio ricordo prima di essermi addormentato profondamente.
Triste ma è tutta la realtà. Una realtà che anche se cerchi di sfuggire, non potrai mai farlo per davvero. Quando arriverà quel momento, aprirai gli occhi e imparerai ad accettare, a realizzare i veri fatti e con lei anche la cruda realtà.
Blake.
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