Capitolo 5
"Il numero da lei chiamato è al momento irraggiungibile. Riprovi più tardi" questa fu l'unica voce che dopo ben tre squilli andati a vuoto, risuonarono alle orecchie di Neil.
Sbuffò e stanco di quella frustrazione, staccò la chiamata. Posò il cellulare sulla scrivania e prendendosi la testa tra le mani si chiese "che diamine di fine avesse fatto Sean".
Da quando si erano visti l'ultima volta di ore ne erano passate, ma di lui ancora nessuna traccia. Non lo aveva nemmeno chiamato per avvisarlo che era arrivato presso l'ufficio in cui lavorava e questa non era una cosa da lui. Si stava seriamente preoccupando e la voglia di abbandonare tutto e raggiungerlo era tanta. Ma purtroppo era costretto a subire ancora un'ora. Ancora un lunga e lenta ora straziante e piena di ansie. Nel frattempo, come se non bastasse, aveva cominciato a piovere e il ticchettio di quelle gocce sbatterono violentemente contro le ampie vetrate.
In un gesto lento, la testa di Neil, scattò verso il finestrone e sentendosi proprio come quella tempesta che si stava abbattendo sulla sua città, decise che non voleva aspettare oltre. Il suo compagno arrivava prima di tutto e tutti. Proprio per questo, aveva appena deciso di saltare tutto. Non poteva rimanere qualche secondo in più in quell'edificio. Sarebbe andato a cercarlo.
In un solo gesto recuperò il parka che aveva adagiato al lato della spalliera della sedia, per poi alzarsi. Uscì dal suo ufficio senza preoccuparsi minimamente di chiudere la porta e senza curarsi della ripresa del capo d'ufficio, lo ignorò scendendo a grandi falcate le scale, che lo condussero davanti alle porte scorrevoli che poi si chiusero alle sue spalle non appena le varcò.
Non appena fu fuori, lo colpì un vento gelido ma la pioggia fitta che imperterrita scendeva su di lui, non riuscì a fermarlo. Niente lo avrebbe fermato se non il solo aver trovato il suo Sean e possibilmente sano e salvo. Ma fino ad'allora niente sarebbe stato in grado di frenare quel sesto senso, che lo portava a provare quel leggero fastidio di nausea, che man a mano andava a farsi sempre più insopportabile.
Aspettò che si fermasse uno di quei taxi, che di solito erano i soliti a passare dintorni e lo fermò con un autostop. Una volta dentro e chiusa la sportiera con più forza, si allacciò la cintura di sicurezza e diede indicazioni secondo ciò che dentro sentiva. Sapeva che sarebbe stata una perdita di tempo raggiungere l'ufficio in cui il fidanzato vi lavorava, perciò decise di ignorare quello step e dirigersi verso il Boston Common. Un grande parco pubblico d'America che a renderlo celebre, oltre allo storia, erano le attrazioni che lo circondavano più che per il parco in sè. Anche se i passatempi e le attività non mancavano. Si estendeva per 50 acri più di 20 ettari, fra Tremont Street, Park Street, Beacon Street, Charles Street e Boylston Street.
E voi vi starete chiedendo, perché aveva pensato proprio quel posto? Beh, era semplice. Oltre a quel sesto senso che gli diceva che Sean si trovasse lí, sapeva che era l'unico posto dove trovarlo. Proprio perché sapeva che quel parco avesse un legame importante con il ragazzo.
Nell'attesa di arrivare lí, disse all'autista di fare il più fretta possibile. Anche, se, sapeva che chi stesse guidando stava andando con prudenza per via delle strade bagnate e i vetri che rendevano difficile la strada, anche se con ancora il giorno, anche se i tergicristalli cercavano di fare il proprio lavoro. Ma l'impazienza che lo stava attanagliando, con i suoi piccoli artigli affilati e puntiti lo rendevano più irascibile.
"Mi scusi signore ma non posso andare più veloce, con questo diluvio. Rischieremmo sicuramente un incidente. A casa ho ancora una famiglia che mi aspetta. Se poi a lei non sta bene allora può pure scendere e chiamare un altro Taxi" sbottò l'autista ma con una pazienza disarmante.
"Oooh al Diavolo!"
Esclamò il giovane prendendosi i capelli tra le mani. Labbra dischiuse e l'espressione contratta.
Nel frattempo quella disperazione intravista dallo specchietto che il tassista aveva davanti lo colpì. Certo non poteva biasimare il giovane per essere suscettibile, ma evidentemente se era così, era per la preoccupazione per qualcuno a lui di importante. In fondo, pensò che avrebbe fatto lo stesso, se non di peggio, se al suo posto ci sarebbe stato lui.
Sospirò senza mai distogliere poi lo sguardo dalla strada deserta e poi buttò fuori anche un suo pensiero. Forse così almeno, sarebbe anche riuscito a distrarlo dal momento in cui sarebbero arrivati sul posto.
"Mi faccia indovinare.... A per caso a che fare con qualcuno che gli ha rubato il cuore?" nel dire la frase, si curò apertamente di non usare la parola fidanzata o fidanzato proprio perché non sapeva. Quindi aveva pensato che fosse plausibile parlare in generale.
Un sospiro che fino a quel momento era stato trattenuto e Neil si lasciò libero. Lasciò andare la testa e si appoggiò al sedile, lasciando le mani cadenti in mezzo alle gambe un poco aperte.
"Fidanzato. Non ho suo notizie da oggi e questo mi sta preoccupando" e non si preoccupò che la frase " fidanzato" potesse scandalizzare la persona che gli era seduta sul sedile davanti, ormai l'omofobia faceva parte di tutti i giorni. Ma a lui non importava. Decise di essere sincero proprio perché non si vergognava a fare sapere che fosse fidanzato con un altro ragazzo del suo stesso sesso. In fondo l'unico parere che contava per davvero era il proprio e non quello degli altri.
L'autista sorrise vedendo l'espressione del cliente perso nei propri pensieri, conditi con un piccolo sorriso nostalgico.
"Stará bene. Ma ha pensato di chiamare anche nei posti in cui lui potrebbe essere?" lo rassicurò.
"No. Ma non penso che sia a lavoro, anche perché mi avrebbe già contattato in qualche modo" rispose con rassegnazione il più piccolo.
"Magari era indaffarato e non è riuscito".
Un momento di esitazione e poi un Neil deciso disse ciò che non dubitava.
"No. Lo conosco e questo non sarebbe da lui".
"Allora, provi a chiamare il numero di qualche persona che lavori con lui".
"E chi? Non ho numeri dei suoi colleghi" rispose in un sorriso quanto sarcastico ma amaro.
"Ma perché cazzo non mi richiami? E possibile che dopo tre squilli, se non di più, ancora tu non li abbia visti?" parlò con rabbia fra sé e sé.
"Bene. Siamo arrivati".
Lo interruppe il tassista, fermando l'auto.
Neil, senza esitare un secondo in più, slacciò la cintura, afferrò il portafogli dalla tasca del parka e diede i soldi che doveva nelle mani del tizio.
"Grazie".
Disse mettendo le mani sulla sportiera.
"Buona fortuna".
Neil, annuí, e come un fulmine uscì dall'auto, fregandosi altamente della pioggia che lo stava nuovamente inzuppando e corse verso il parco che aveva davanti, ma prima di entrarci si diede un occhiata in giro, per accertarsi se ci fosse la macchina del fidanzato parcheggiata da qualche parte. E il suo battito mancò quando si accorse anche se con fatica, che poco più in là, rispetto al parcheggio c'era effettivamente la sua auto. Ma non come realmente avrebbe dovuto essere. La macchina che tra l'altro risultava quasi irriconoscibile, si presentava pieni di bolli, segno che era avvenuto un incidente. Fu anche impossibile non notare che dalla parte del lato guidatore, ora il finestrino non c'era nemmeno più. Ma da quella distanza fu impossibile capire se all'interno vi fosse qualcuno e tutto questo orribile incubo non faceva altro che presagire nulla di buono.
"Non può essere. Dimmi di no ti prego. Dimmi che non è come penso. Ti prego Dio" pregò, sentendosi tremare e piangere difronte a quella vista che lo aveva colpito come un sasso piombato dal nulla. E Dio! Se faceva male. Se a Sean, fosse successo qualcosa ne sarebbe morto. Non sarebbe riuscito a sopportarlo. Sarebbe stato troppo. Sarebbe stata quella forbice che avrebbe tagliato quel pezzo fragile del filo che ancora lo teneva in bilico e a quel punto sarebbe caduto, una volta per tutte.
***
(N/A avviso che da questo pezzo si presenteranno scene di violenza fisiche e verbali, per tanto per chi è suscettibile o a chi non si senta pronto di sapere cosa accadrà, passate direttamente di sotto, dove c'e scritto Nota Autrice, dove verranno spiegate alcune cose riguardanti la storia + per gli aggiornamenti. Grazie per l'attenzione.)
Non appena la porta si chiuse alla spalle della donna, i suoi occhi si piantarono sulla sagoma dell'uomo che ubriaco fradicio, con ancora in mano un'altra bottiglia da un 1L di vino, la guardava con sguardo serio e fin troppo incantato, appoggiato di schiena contro il frigo.
"Dove eri stata per tutto questo tempo, hm? Dimmi, ti sei divertita con altri uomini? Dopo 30 anni di matrimonio ti diverti così alle mie spalle? Pensi che non venga a saperlo?" tuonò, prendendo un altro sorso dalla bottiglia, per poi pulirsi la bocca ma senza mai smettere di guardare la donna, che inerme a quella scena, se ne stava zitta, con lo sguardo rivolto a terra.
La donna sapeva che la sua parola non valeva niente, a confronto di quelle che si faceva chiamare marito ma che in realtà era un grande pezzo di stronzo che non si faceva problemi a mettere le mani addosso ad una donna. A quella che doveva essere sua moglie. La donna che avrebbe dovuto amare e proteggere. Trattarla come i più preziosi dei diamanti. Anziché di esserne solo ossessionato e osare maltrattarla come la peggiore delle specie. Ma a lui questo non importava, non se ne curava. In quella casa era sempre stato così. Lui il padrone e lei quella che doveva ascoltarlo senza fiatare. In caso contrario aveva giurato di ammazzarla.
Non si curava di tutto quel male mentale e fisico che gli stava procurando e che forse presto l'avrebbe spinta all'esasperazione. A lui non importava dei sentimenti che la donna provava ancora per lui. A quell'amore che da parte di lei, ancora non si era spento. Lei sapeva che lui non meritava quell'amore. Doveva essere consapevole che era solo una marionetta appesa a dei fili che lui manovrava. Lei da quel tunnel nero non ne sarebbe mai uscita. Solo se in un unico modo e che presto avrebbe messo la parola fine a quella terribile tortura che da anni e giorni doveva subire. Quella stessa tortura che l'aveva portata a isolarsi da tutti. Specialmente dalla sua vera famiglia. Quella che ogni volta sapeva che per lei ci sarebbe sempre stata. Il suo papà e la mamma le avevano sempre detto che doveva lasciarlo al più presto e che quella storia sarebbe anche potuta finire male. Ma lei decise di seguire il suo cuore innamorato. Pensava che fosse stato giusto seguire il suo amato fino a Boston. Ma ora si rese conto che aveva sbagliato tutto. Avrebbe dovuto dare retta ai suoi . Ma se da un lato si sentiva un poco colpevole, dall'altro, invece, sapeva che senza di lui, non sarebbe mai riuscita a dare alla luce la sua meravigliosa ragione di sopravvivenza. Suo figlio. Non il loro ma solo il suo. Perché così lei sentiva che fosse.
Lui non meritava quella creatura.
Vide che a passi svelti l'uomo che puzzava pregno di alcool le si parò davanti e in un gesto dettato da una ira insensata scaraventò a terra la bottiglia ormai quasi mezza vuota, mandandola in frantumi. La donna sussultò per la paura che in quel momento stava provando.
"FIGLIA DI UNA BRUTTA PUTTANA.
IO TI UCCIDO SE FARAI ANCORA UNA VOLTA RITARDO E RICORDATI CHE TU SEI SOLO MIA. MIA" gli urlò in faccia, in preda a quella gelosia che si era manifestata per la immaginazione inventata che si era venuta a creare nei suoi pensieri contorti.
La donna pianse, trovando il coraggio di affrontare quegli occhi iniettati di sangue.
"Sarà sempre così".
Rispose flebile.
Ma questo, non riuscì a fermare quella bomba che fra poco sarebbe esplosa. E difatti pochi secondi dopo un pugno che gli fu assestato in faccia la fece cadere malamente a terra. In un primo momento di intontimento, a causa del colpo che la nuca subí, non si accorse della situazione grave che si era venuta a creare, ma poi sentendo del sangue uscire dal naso e dai denti capì che ancora una volta lo avesse di nuovo fatto. Non era la prima volta.
"N-non è come pensi....t-i pos-so spiegare"singhiozzò dal dolore e dal terrore.
"N-non ho vi-sto nessuno di chi t-tu creda. Te l-o assicuro".
L'uomo se ne stava lí, inerme, torreggiante su di lei e nella sua testa malata un altra idea gli balenò in mente. Senza curarsi della mano sporca del sangue che non era nemmeno suo, se la portò davanti alla bocca e la leccò.
Poi con uno scatto veloce prese a tirare calci alla donna che urlava di dolore e lo pregava di fermarsi.
"C-CHI HAI VISTO?"urlò completamente fuori di sé.
La donna inerme a terra, ora adagiata di fianco, stanca dalle botte prese e di tutto quel sangue che la macchiava, in un debole respiro, riuscí solo a dire.
"Lui".
E da lí, l'uomo capí a chi si stesse riferendo.
"Figlio del Diavolo".
Derise, un attimo primo di lasciare la moglie quasi priva di sensi su quel freddo pavimento e andarsene da quella cucina, sbattendosi la porta alle spalle.
E solo allora la innocente persona si addormentò in un sonno profondo e con le mani strette al petto. Con la consapevolezza che non sarebbe finita lí.
Nota Autrice: volevo solo precisare tre punti...
1) So che avevo scritto che se sarebbe andato tutto bene avrei aggiornato tre capitoli, in una volta sola. Ma al momento ho deciso che fosse stato meglio aggiornare a giorni. Per cui ora , ne spiegherò il motivo.
Già parto, col dire che questo capitolo doveva essere anche più lungo, proprio perché avevo deciso di aggiungere anche una terza parte. Ma poi ho pensato che venisse troppo lungo. E perciò l'ho diviso in capitoli che dovrei aggiornare in questa settimana (forse) e che saranno molto più leggeri. Poi, cosa da non sottovalutare assolutamente questo capitolo è stato abbastanza pesante e per non renderlo, poi troppo noioso, ho deciso di non aggiornare tutto una una volta sola.
2) Riguardante il Boston Common ho cercato di strutturarlo, ma solo con cose essenziali che ho trovato nelle ricerche internet. Spero di essere riuscita a descriverlo meglio.
3) e come importante e ultimo punto, questa violenza che si è verificata. Perché ho voluto proprio inserirla? No. Non mi piace aver scritto ciò. Ma era neccessario, specialmente nella storia. E se ci pensiamo non sono solo cose scritte nei libri. Ma questa è anche la realtà. Spesso ci imbattiamo di storie che vengono narrate da quelle persone( quotidianamente) dal genere femminili, che vengono maltrattate e spesso dai fidanzati. Sí, è una cosa straziante che in un certo senso tocca nel profondo ognuno di noi, anche se magari e fortunatamente non le abbiamo vissute. Ma è proprio quá che sta il punto. Spesso, sentendo, queste storie, ci chiediamo perché quella persona non abbia reagito. Ma la risposta la sappiamo anche se "inconsapevolmente". A volte per semplice paura. Paura che non veniamo capiti o che una semplice denuncia non possa bastare, in fondo, quante volte abbiamo sentito che nonostante di mezzo ci sia stato un "ordine restrittivo" non serva. Molte.
O peggio ancora, come è successo al personaggio di questa storia, non si vuole lasciare quella persona che è carnefice del suo dolore, solo perché non è in grado di separarsene e il suo amore ancora persiste. Ma dobbiamo per forza trovare la forza di tagliare tutti i punti, anche se la paura ci tiene stretti a sé. Non dobbiamo mai lasciarci sopraffare da ciò che è il principio di violenza e un errore che non possiamo commettere e quello di dargli il potere di farci isolare da chi riteniamo importanti. Dobbiamo sin da subito trovare il coraggio di chiedere aiuto, prendere quella mano che ci viene tesa. Perché davvero. Se non lo facciamo poi finiremo in un limbo, dove non ci saranno via d'uscita. Non avremo più vie di scampo. Saremmo ancorati all'eternità con il mostro. Perciò dico, bisogna sempre lottare, anche più della propria stessa vita.
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