Capitolo 18
«E tu che cazzo ci fai qui?»
Tanta rabbia si venne a formare sul suo bel viso a diamante di Sean, che presto come una bomba a orologeria sarebbe esplosa. Travolgendo quella figura dannata come il diavolo nei suoi infernali inferi. Guardò quegli occhi senza emozioni, se non per la traccia omicida che vi era al loro interno. Qualcosa gli diceva che se proprio adesso si sarebbero affrontati, non sarebbe potuto altro che finire male.
Ma vedendolo, nessuna paura lo invase. Sapeva come prendere il toro per le corna e se solo c'è l'avrebbe fatta gli sarebbe andato in contro tranquillamente. Suo padre era uno di quegli uomini che non andavano presi con troppa comprensione, gli conosceva tipi come lui e proprio per questo sapeva esattamente a cosa stava andando incontro.
«Sai mio piccolo bambino, ora era da un po' che ti stavo tenendo d'occhio. Ts ts, sei cresciuto, ma non sei cambiato di una virgola. Ma... C'è ancora qualcosa che non riesce a soddisfarmi pienamente. Dannazione! E pure ero dal così dal rovinarti del tutto. Ho visto che nonostante non ci sia più quell'altro frocio, continui a comportarti come tale. Com'é già che si chiamava il biondino che é sempre con te? Se non sbaglio portava il nome di Nial, ah no! aspetta era Neil. Potrei anche rovinare lui sai. Però non sarei clemente, come in tutti questi anni sino ad oggi ho fatto con te. Ti conviene comportarti a dovere se non vuoi che questa
storia finisca con tanto di sangue» sghignazzò senza riguardi, ma solo con l'intento di metterlo all'avanguardia.
Con la mente totalmente annebbiata da ciò che aveva appena udito - anche il solo sentire il nome di Neil messo in mezzo a questa situazione - il sangue freddo che nel suo corpo scorreva un per qualche ragione non affluiva a dovere al cervello. Facendogli così perdere il contatto con la realtà. Senza nemmeno aspettare oltre Sean a passo spedito si avviò verso quell'alta e possente figura incappucciata da un parka nero che portava addosso, gli occhi per quanto piccoli e gonfi erano si riuscivano a intravedere a malapena, ai piedi i soliti scarponcini invernali. Quante botte aveva preso con quelli. E il dolore se lo ricordava ancora bene. Quello stesso dolore che lo invogliò a caricare un bel pugno e lasciarlo sfrecciare sulla faccia del padre, imprimendo così il suo segno. Ma l'uomo di ghiaccio non barcollò, in faccia stampato un ghigno divertito, uno di quelli che sembravano che la cosa non avesse avuto il potere di scalfirlo nemmeno un poco. Solo un rivolo di sangue colò giù dalle labbra ma niente di ché.
Sean lo odiava e non c'erano parole per descrivere questo sentimento. Si meritava molto di più che un semplice pugno e questo lo sapeva. Ma davvero non voleva macchiarsi le mani di peccati per un sangue che molto volentieri avrebbe gettato anche nell'acqua santa.
Lo afferrò malamente con due mani al collo, strattonandolo verso di sé.
«Sentimi bene. Non osare a torcere un solo capello al MIO ragazzo o ti giuro su Dio che non arriverai nemmeno ai tuoi 60 anni. Lui non c'entra niente. Se proprio devi prendertela con qualcuno prenditela con me. Hai causato già troppo dolore. Non pensi nemmeno a mamma. Quanto ha dovuto sopportare pur di starti accanto? Le avevo detto di venire via con me. Ma sei chi ha preferito? Te, piuttosto che salvarsi. E non sai come questa cosa, come altre cose successe mi preme allo stomaco. Non sono mai riuscito a digerirlo» ringhiò Sean a pochi centimetri dal volto diventato improvvisamente serio dell'uomo. A colui che non aveva mai considerato un padre. Ma solo una bestia soggiogatrice.
Ma solo dopo poco tempo qualcosa lo stordí facendogli perdere il contatto visivo.
«Non ti permettere brutto bastardo. Parli proprio tu, che nonostante adesso mi faccia la predica sei stato il primo che l'ha abbandonata. Ma guarda come ti sei ridotto. Non sei niente. Solo un brutto reietto uscito male. Gente come te non dovrebbe esserci. Forse Dio non lo sa ma quelli come te ci infangano».
Un secondo pugno arrivò allo stomaco, fecendo in modo di fargli tossire sangue. Sean barcollò piegato dal dolore all'indietro, ma senza incespicare rovinosamente a terra, lasciando che quell'angoscia creata dai sensi di colpa - dopo simili parole - lo tirassero giù dalle tenebre, nelle ombre in cui era sicuro che quello fosse il suo posto.
Ma perché poi questi sensi di colpa? Perché tutta questa angoscia? No. Non era solo per paura di mettere l'amore della sua vita in pericolo. Forse c'era anche qualcosa in più. Era sicuro di non doversi sentire colpevole per l'aver abbandonato la madre al suo triste e doloroso destino. Ma non era stata lei quella che l'aveva fatto scappare di casa? Non era proprio stata lei chiaramente a dirle di andarsene e non tornare mai più? Aveva pure lei avuto delle occasioni in cui scappare, allora perché non lo aveva fatto? Ma dall'altro lato sentiva e credeva che quella donna gli avesse messo sopra troppe responsabilità. Ma nonostante ciò non poteva fare altro di chiedersi a volte come stesse.
Ma non sarebbe più tornato indietro. Non le avrebbe più permesso di entrare a fare parte ancora una volta della sua vita. Non le avrebbe più dato il potere di mettergli alcun peso. Sean guardò il cemento a rimuginare frammenti del passato, incurante del sangue che aveva preso a colargli dalle labbra e il tutto sotto lo sguardo grigio dell'uomo che come un furia aveva preso a raggiungerlo.
«Tu... Mi fai schifo».
Gli sputò addosso con tutto il disprezzo che nella sua faccia si era venuto a insinuare, mentre il suo colletto venne afferrato bruscamente dal "presunto padre".
Non lottò. Non fece niente. Lasciò solo manovrarsi come una vuota bambola di pezza, senza anima. Perché era così che si sentiva. Solo uno sporco involucro vuoto. Ma se avesse anche solo osato fare del male al ragazzo che amava, allora lí si che sarebbe potuto diventare un criminale. L'avrebbe fatto fuori con le proprie stesse mani, indipendente che quel "sconosciuto" fosse davvero suo padre o meno.
«Maledetto! Te lo faccio vedere io chi fa schifo qui» ruggí, andando a tirare fuori dal parka una pistola piccola che gli puntò in mezzo alla fronte - ma non prima di avere lasciato che quella stessa mano che teneva l'oggetto, con un dito che premeva sul grilletto, avesse pulito l'occhio macchiato di saliva di quel che secondo lui era un pezzente -.
«Forse non hai ancora capito che io ancora potere su di te e questo finché non sarò sotto terra. Ti conviene fare il bravo se non vuoi che ti faccia saltare questo malato cervello. E per essere in tema. Non ti avvicinare più alla mia donna» aggiunse come per aiutare l'altro a non fare dimenticare chi tra i due comandava.
Una folata di vento irruppe tra i due, così come i loro sentimenti interni che in questo momento provavano, ancora occhi negli occhi macchiati solo di puro odio. Ma qualcuno pensò bene di rompere quella tensione, lasciando il modo all'uomo con la pistola in mano di rinasconderla.
«Prova a farne parola e oggi sarà davvero la fine per lui» gli sussurró all'orecchio, facendo cenno al ragazzo in avvicinamento e con un strattone lo allontanò da sé, per poi voltargli le spalle ed avvicinarsi alla sua audi che poi, una volta salito dentro e chiusa la sportiera fece sfrecciare via.
«SEAN!»
Esclamò un spaventato Neil, che solo con abiti leggeri adesso - senza alcuna giacca a coprirlo e ancora appena bagnato di doccia - corse da lui, prendendolo dal volto. In modo che avessero in contatto visivo, dato che lo aveva visto guardare quella macchina stringendo le mani a pugni.
«Sean cazzo guardami. Stai bene? Ti sei fatto male?» gli chiese a raffica impaurito dalle sorti dell'altro.
«Sto bene, ma ora lasciami».
Lo scansò via con un braccio, infastidito da quei dolci tocchi delicati che avevano preso ad accarezzargli il viso.
«Sean....»
Lo chiamò con gli occhi fatti lucidi, vedendo il compagno dargli le spalle e con la mano colpita stretta al petto, dove aveva appena sentito restringersi il cuore. Era preoccupato e spaventato. Ecco.
Solo attimi dopo Sean capí lo sbaglio, se l'era presa con il più piccolo nonostante lui non c'entrasse nulla. Ma era stato così suggestionato e innervosito da ciò che era appena successo che non era riuscito a farne a meno. E ora sí che erano sensi di colpa. Si sentiva un verme nei dolci confronti del compagno, che chiaramente era solo preoccupato per lui.
Si voltò e lo guardò addolcendo lo sguardo, avvicinandosi delicatamente al compagno.
«Cazzo! Mi dispiace, okay piccolo? Tu non c'entri nulla. So che non dovevo trattarti così ma...»
«Ma é stata tutta colpa di quella merda» finí per lui Neil, con il volto tra i freddi palmi del compagno, che con i polpastrelli del pollice aveva preso ad accarezzargli li zigomi.
«Ho visto tutto dalla finestra e avendo paura che ti potesse capitare qualcosa sono corso da te. Come vedi non ho nemmeno avuto il tempo di asciugarmi i capelli» aggiunse, portando una mano sulla mano del più grande e con l'altra ad asciugare il rivolo di sangue dalle labbra socchiuse dell'altro.
«Scusami tanto, ti amo vita mia. Ma ora devi solo farmi un piccolo favore» disse il più grande rubandogli un bacio a fior di latte.
«Sarebbe?»
«Vai subito a casa. Non aprire a nessuno e non uscire da lí finché non arriverò».
«Ma Sean...»
«Niente Sean. Fallo e basta. Promettimelo».
Un piccolo sorriso amaro fece capolino sulle labbra di Sean, il quale era alla ricerca di certezza che l'altro facesse ciò che gli era stato appena chiesto. Doveva prometterglierlo, perché la vita di Neil valeva più della propria. Aveva già perso e non voleva perdere più niente. Neil era tutto ciò di più gli era caro.
«Lo farò Sean. Ma prima rispondimi sinceramente. Sei sicuro di stare bene? Non ti ha fatto del male vero? Dimmi la verità, ti prego ne ho bisogno» sussurró con occhi pieni di speranza.
«A parte qualche colpetto, sto bene. Non preoccuparti. Ma ora va a casa. Appena arriverò a lavoro ti chiamo, forse anche prima».
Non voleva mentirgli. Ma non volevo farlo preoccupare ulteriormente. Non voleva fargli venire l' ansia da fidanzato protettivo - anche se effettivamente Sean era il primo in questo fatto - ma nonostante ciò sapeva come era fatto e bastava veramente poco che il fidanzato non lo lasciasse andare a lavoro quel giorno. Ma non poteva mancare, non oggi.
Il più piccolo annuí sotto al sorriso rassicurante del più grande, con la speranza che ciò che gli avesse appena detto fosse la verità. Non avrebbe sopportare l'idea che gli mentisse ancora una volta. Questo pensò Neil, restituendendogli il bacio di prima, ma con più intensitá.
***
Blake chiuse la porta del suo ufficio, per poi correre dietro a un Jay furioso che per tutta la mattinata non aveva fatto altro ignorarlo.
Aveva provato a parlarci, ma ogni volta che lo faceva, l'altro inventava scuse su scuse per allontanarsi da lui. Blake lo capiva anche, sapeva che aveva bisogno più tempo per smaltire la rabbia e la verità sul trasloco. Ma d'altro lato voleva sistemare le cose prima del trasferimento.
Lo raggiunse alla macchinetta del caffè, guardandolo con titubanza sul fatto se fosse stato un bene avvicinarsigli oppure no. Ma poi fu l'altro a dargli certezze con un cenno alla testa. Sapeva che l'aveva visto al vetro della macchinetta, poiché gli dava completamente le spalle con una mano in tasca.
«Cosa ti serve?»
Chiese Jay in modo brusco, totalmente ancora incazzato con lui e si capiva. Ma Blake non riusciva a sopportare questo.
Blake aspettò ancora per poco, prima di prendere posto affianco a lui. Voleva dirgli che non voleva mentirgli e che alla loro amicizia ci teneva veramente. E che sbagliava a pensare che fosse tutto una menzogna, perché non era così.
«Volevo parlare con te e chiederti scusa Jay» disse con in mano la sincerità e se non avesse creduto a queste parole allora per credergli avrebbe fatto bene a guardarlo negli occhi. Cosa che effettivamente l'altro stava ben evitando.
Jay sussultò. Ma non si voltò.
«Blake non ora. Ho bisogno del mio tempo, solo questo ti chiedo» disse lottando contro la voglia che aveva di mandare tutto a fottere e abbracciarlo, per via dalla faccia da cucciolo bastonato che aveva fatto quando gli si era avvicinato. Ma poi Jay per non fare qualcosa che avrebbe compromesso tutto, pensò bene di dargli la schiena per allontanarsi da lui.
«E il caffè non lo prendi?»
Chiese difatti Blake, oramai senza più speranze di sistemare tutto.
«No. Non mi va più. Prendilo tu se lo vuoi» e con un'alzata di spalle se ne andò.
Una volta solo, Blake si rigirò verso la macchinetta e allungò una mano per prendere il caffè appena uscito. Ma poi qualcosa lo bloccò, era il suo cellulare che dalla tasca dei pantaloni aveva preso a squillare. Il nome del suo Ren lampeggiava sullo schermo e il solo leggere il suo nome, ecco che il primo sorriso della giornata illuminò il suo viso.
Ren aveva il potere di questo a di tanto altro ancora. Cosa che Blake ne era certo. Era il sole che oltre a illuminare la sua mattina era anche colui che risplendeva i momenti più grigi. «Grazie di tutto amore mio» sussurró a sé stesso, per poi portare il cellulare all'orecchio, in attesa di sentire l'essenziale suono della voce della sua luce.
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