Capitolo 17
«Devo parlare con te Blake, posso entrare?» domandò Jay dando tre colpetti per niente leggeri alla porta ancora chiusa dell'ufficio dell'interessato.
Ma nessuna risposta. Sembrava che lí dentro non ci fosse ancora nessuno. Ed era strano questo. Anche perché Blake non era tipo da ritardi. Non ne aveva mai fatto uno. Era sempre in orario o proprio se doveva spicciarsi delle cose era il primo ad arrivare sul posto. Jay ancora perso nelle sue elucubrazioni cedette alla sua preoccupazione che poco a poco lo stava risucchiando sempre più a fondo della voragine che sotto ai suoi piedi si era aperta. Prese un sospiro e tirò giù la maniglia, accorgendosi anche del fatto che la porta non fosse stata nemmeno chiusa. Forse per dimenticanza o no, questo era pressoché da irresponsabili.
Oh se avrebbe fatto una bella strigliata non appena Blake fosse rientrato. Ma una di quelle che forse, dopo, Blake non avrebbe più avuto voglia di starlo a sentire per un po'.
Ma doveva. Doveva stare più attento alle proprie cose. E poi lí teneva tutte le fatture e documenti vari che servivano e che se poi avrebbe perso come li avrebbe potuto più recuperati?
Entró dentro all'ufficio, dando un' occhiata in giro. Un piccolo sorriso fece capolino sulle labbra rosee ad accettarsi che fosse ancora tutto sulla scrivania, sparpagliate a caso e in modo disordinato come solo Blake avrebbe potuto lasciare. A differenza sua, Jay era molto più ordinato, prima di andare via si assicurava sempre di mettere i fogli dei documenti al proprio posto, nei raccoglitori appositi - perché gli piaceva avere le cose nei loro posti -. Non gli piaceva arrivare il giorno dopo e cercare in mezzo alla confusione le cose che gli servivano. Per quanto ne sapeva poteva anche non trovarli più.
Socchiuse la porta alle spalle in modo del tutto delicato e si avvicinò alla scrivania, mettendo la pila di fogli che teneva tra le mani sulla superficie di legno pregiato. Ma nel farlo - non volutamente - i suoi occhi finirono su una cartellina per...
«Offerta di Lavoro Boston? Ma che....»
Lesse ad alta voce.
«Blake... Tu...»
Mormorò sentendosi deluso dal fatto che se aveva pensava e credeva bene, Blake lo avesse ballatamente escluso da ciò. Non degnandosi di accennargli una emerita virgola forse di quel trasloco pure accettato. Non erano amici? I segreti non andavano condivisi? Si erano ripromessi che ci sarebbero sempre stati l'un per l'altro, che non si sarebbero mai nascosti niente. Ma forse, Blake, non era mai stato sincero con lui - o almeno - non come Jay credeva.
Con la sensazione di un coltello affilato e conficcato nel centro del petto aprí i documenti, facendo girare quelle pagine macchiate di finta sincerità tra i polpastrelli freddi e perdendosi in ogni riga che faceva del tutto riferimento a ciò che aveva pensato all'inizio. Quelle erano pagine in cui ci stava scritto delle offerte che Blake aveva avuto per un nuovo lavoro a Boston e che di fatto il qui signor Blake Nelson avesse accettato di lavorare nella grande azienda industriale e falcotativa.
«Cosa stai facendo?»
Domandò un Blake trafelato e fermo sulla soglia della porta con una mano ancora appoggiata sul manico.
A udire quella voce, Jay alzò lo sguardo glaciale su di lui. Non si sentiva colpevole di avere sbirciato negli affari - che tra l'altro non erano nemmeno suoi - ma se non fosse stato per quello, lui ne sarebbe rimasto totalmente all'oscuro. Forse un giorno di questi sarebbe arrivato in ufficio e sorpresa. Niente più Blake. Perché? Perché a sua insaputa se ne sarebbe andato via, senza troppe cerimonie.
E se c'era una delle cose che odiava, per Jay quelle erano le menzogne e le falsità delle persone.
Sí anche lui aveva dei segreti. Ma se aveva e preferiva tacere sulla verità, erano per dei ottimi motivi. Non voleva perdere la sua amicizia con quel ragazzo che gli aveva rubato il cuore e che giorno dopo giorno inconsapevolmente calpestava quei sentimenti segreti. Apprezzava più il fatto di omettergli alla vera evidenza che spifferarli ai quattro venti.
Jay chiuse la cartellina con un tonfo.
«Devo dire che sei un ottimo attore, mio Blake. Davvero, tutta questa falsità mi sorprende. Sí» derise, alzandosi dalla comoda poltrona in pelle.
«Ma si può sapere di che diamine stai parlando, Jay? Se io sarei un perfetto attore, allora tu saresti un bipolare con i fiocchi» scherzò tra il mezzo ferito e mezzo divertito da tutta quella scena.
«Tutti i miei anni spesi in una amicizia che credevo autentica. Fino poi ad arrivare sino oggi e scoprire che fosse solo tutto basato da menzogne. I miei complimenti più sinceri, emerito stronzo» gli urlò in faccia, non appena lo raggiunse a quattrocchi.
«Credevi che non lo avrei mai scoperto? Invece ora so tutto. So del tuo trasferimento e auguri per il tuo brillante futuro nel quale non farò parte» aggiunse sfidandolo a dire il contrario con un contatto visivo sincero e infuocato, poi con una spallata lo oltrepassò. Uscendo da quell'ufficio sbattendosi la porta alle spalle.
Blake non sussultò. Non lo inseguí. Non reagí. Insomma non fece nulla di nulla. Lasciò solo che tutto scorresse come acqua intaccata dalla corrente, che poi andava a disperdersi nei suoi affluenti.
Ma a guardarlo fissare la sua cartellina, altro non sembró che un camion gli fosse appena passato più e più volte addosso. Schiacciandolo con tutto il suo peso al cemento. Davvero, non era sua intenzione ferire il suo migliore amico - ma a parte il averlo dimenticato - stava in realtà cercando il momento adatto per dirglielo, perché sapeva come avrebbe reagito. La prova difatti ne era stata poco fa.
Ma ora? Ora aveva tradito la fiducia di una delle poche persone che a lui teneva.
Doveva parlare e cercare di risolvere questo fraintendimento che tra loro si era venuto a creare. E pensò che Jay avesse avuto pure ragione a chiamarlo stronzo. Se lo meritava. Ecco la verità.
Aveva pensato più a sé stesso che all'amico. Non si era fermato a pensare - che forse - e aspettare oltre, questo non avrebbe fatto altro che complicare la divergenza. Ma prima di fare anche solo un passo, solo allora notó la pila di fogli messi sulla sinistra.
***
Attenzione: parte con scene spinte, per chi é suscettibile chiederei gentilmente di non leggere e di arrivare direttamente alle fine degli ultimi asterischi di questa parte.
«Aah! S-Sean. Fa p- piú piano. Il mio amato fondoschiena sta già risentendo parecchio». Si lamentò Neil, sentendo la prontezza già dura dell'altro premere con più forza contro la sua soditá stretta da dei slip neri.
«No. Non é abbastanza. Te lo voglio sfondare ancora di più. Voglio sentirti gridare il mio nome quando lo facciamo» sussurró suadente Sean, prendendo tra i denti il delicato lobo del più piccolo stretto di schiena a lui.
I suoi muscoli guizzanti del petto e della tartaruga, ad ogni movimento sfregava con la pelle della schiena del più piccolo eccitandolo parecchio. Con lui così vicino e con due gambe muscolose in mezzo alle sue e a sentire quel battito forsennato attraverso la gabbia toracica che si abbassava e alzava irregolarmente, non riusciva a ragionare lucidamente.
Dopo un'intera nottata a fare l'amore, le parti del corpo del più piccolo chiedevano pietá. Quella stessa notte non era riuscito nemmeno a farsi la tanto attesa doccia, poiché entrando in camera il più grande aveva ben pensato di chiudere la porta a chiave, nascondendola poi nel suo intimo. E fu in quel esatto momento che la loro lotta nacque. Sean lo aveva provocato in tutti i modi possibili e immaginabili e Neil alla fine aveva ceduto quelle lusinghe da lupo in calore.
Altro che dolce passione. Quello era risultato essere un selvaggio represso. Pensò Neil, tentando in tutti i modi di non portare la propria mano a stoppare quella dolce tortura che aveva incominciato a tirare e dolere.
"Cosa abbiamo qui?"
Chiese un Sean divertito prendendo a baciargli la spalla, nel frattempo che portò la mano con cui non lo stava stringendo al pacco gonfio. Da sopra la stoffa lo accarezzò, facendo in modo che le gambe del più piccolo si aprissero un po' di più e con una ferrea presa lo racchiuse tutto nel palmo tirandolo verso sopra.
«Ti piace?»
Neil annaspò dal piacere, lasciando che la propria mano finisse su quella del più grande guidandolo a suo piacimento. Spinse il sedere all'infuori, facendolo del tutto aderire perfettamente al nudo membro eretto e gonfio dell'altro.
«C-cosí. S-Sean» .
Gemette lascivamante, finendo poi col strizzare gli occhi.
Sean in quel momento desiderò fargli anche molto altro. Ma per qualche motivo doveva farsi andare bene quelle restrittive. Avevano ancora poco tempo prima che la sveglia avrebbe rotto il loro momento. Come per cancellare quella distrazione dalla sua mente, si concentrò nuovamente sulla intimità adesso scoperta de compagno. Si era così perso dalla realtà, per un paio di minuti che non si era nemmeno accorto che la mano calda e bagnata del più piccolo lo aveva condotto dentro gli slip. Non c'erano tracce di peli a tatto. Il che non lo rendeva per niente ruvido a palmo. Era liscio, così come quei testicoli gonfi che aveva preso ad accarezzare con maestria.
"E poi mi chiedono perché amo i maschi. Guarda che divertimento c'è qui . E poi.... Siamo molto più animaleschi quando si tratta di sesso» ruppe il momento dicendo ciò che per la testa gli passava. Separandosi per un momento con le labbra, di pochi centimetri, dalla pelle bruciante del più piccolo.
«S-Sean?»
«Sí piccolo?» .
Gli fiató nel padiglione auricolare, prendendo poi a mordergli il collo scoperto e con la mano che aveva preso a fare su e giù su tutta l'asta che si era fatta bagnata, già per le prime gocce di precoito che la punta aveva iniziato a fare fuoriuscire.
Invece di sua la erezione stava per esplodere dal piacere al solo osservare il suo amato che si lasciava andare totalmente alla sua devozione per lui. Neil era pronto per rispondere, ma non appena aprí solo di poco la bocca, ecco che il telefono del più grande prese a far rumore.
«Tempo scaduto. É ora del dovere».
Lo prese in giro il più piccolo, ridacchiando tra sé.
«Vuoi davvero farmi andare a lavorare con questo ingombro che ho in tiro in mezzo alle gambe? Sarebbe imbarazzante solo a camminare» lasciò andare un lungo sospiro, lasciando una volte per tutte libero il suo piccolo amore. Dai, almeno di costituzione era il meno di lui, ma se si trattava di altro, allora non lo era per niente. Proprio come quell'attrezzo che sino a momenti prima aveva toccato. Ma il proprio invece di arnese ancora una volta lo batteva.
Scosse la testa a questo pensiero e con un mezzo sorriso abbandonò il calore della sua persona e delle coperte, mentre solo una volta dopo poggiati i piedi nudi sul freddo pavimento raccolse i propri boxer mettendoseli addosso. Il tutto sotto lo sguardo bramoso e lusingato di un Neil appoggiato con i gomiti al materasso.
"Vai via adesso o prima. ...»
«Sí amore mio. Vado prima a finire ciò che abbiamo lasciato in sospeso. Perché così non esco do casa» ribatté, facendo gesto al rigonfiamento che si intravedeva.
E detto ciò si voltò avviandosi verso il bagno, dove per l'appunto avrebbe fatto un duro lavora che ne sarebbe almeno valsa la pena.
***
Erano le 8:30 quando Sean lasciò il suo condominio - ma prima di fare ciò si era ricordato di salutare come dovere il suo amore - con un buon caffè caldo appena fatto e un bacio del buongiorno.
Ma dopo qualcosa decisamente andò storto. Il suo sorriso si spense del tutto, non appena i suoi occhi finirono su una figura che non aveva più visto da anni, fermo a braccia incrociate e con la schiena appoggiata sul parabrezza dell'Audi nera.
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