Capitolo 12

"Smettila di guardarmi, ti prego, ti prego"continuava a sperare in mente un Iris punto da uno sguardo fisso su di sé. Inconsapevole di ciò che passava nella testa dell'altro.

Mentre, James, ammaliato da tutta quella vitalità, che il più piccolo sprigionava ogni volta che serviva ai tavoli brulicanti di gente, era conscio di non riuscire a toglierli gli occhi di dosso, con una sola voglia. Quella  di alzarsi dal balcone in cui era seduto, e per poi prendere il ragazzino da una braccio e sequestrarlo per una manciata di minuti, nei quali, molto volentieri se lo avrebbe sbattuto al muro e baciato senza esitazioni. Senza ma e se.

Anche se era sicuro, che molto probabilmente, Iris, infastidito da quel gesto, avrebbe cercato di allontanarlo da sè, come meglio avrebbe potuto. Ma non per questo era restio da togliersi dalla mente questo pensiero.

Lo voleva fare. Per una volta in vita sua, aveva giurato a sé stesso e a Dio, che non si sarebbe tirato indietro da ciò che voleva per sè. Voleva e desiderava da mesi, quel piccolo ragazzino e prima o poi lo avrebbe avuto.

Per lui, avrebbe anche aspettato l'eternità.  Ma non ora.

Come di chi non riusciva ad avere la pazienza di aspettare, si alzò, per poi fare il giro dello sgabello e raggiungere Iris, che nel frattempo prendeva appunti sul suo taccuino.

Lo sorprese agganciandoli un gomito, sotto gli occhi sorpresi e un po' infastiditi dei clienti.

Iris dal colpo appena ricevuto, perse la presa degli oggetti che teneva in mano, facendogli  cadere a terra, con il cuore che batteva forte causato dallo spavento incassato.

James, sogghignó e febbricitante da ciò che da ora a qualche minuto avrebbe messo in atto, abbassò le labbra sulle orecchie dell'altro, in una sottile carezza.

"Non chiedere. Vieni solo con me".
Gli sussurrò dolcemente, sentendo una forte scossa adrenalinica percorrergli la spina dorsale.

Il solo pensiero che tra poco avrebbe assaggiato la morbiditá di quelle labbra rosee, era in grado di fargli scatenare in mente scene ben poco caste, in cui lui finalmente avrebbe preso ciò che da diversi mesi sognava.

Non c'era più niente che ora potesse fermarlo.

Ma non per Iris, che con la mente ben annebbiata dalla paura e dall'imbarazzo, non una sola parola riuscì a far fuoriuscire, totalmente immobilizzato  dalle mercè inaspettate e dalla sensazione di angoscia che all'altezza del petto sentiva, qualcosa gli diceva che c'era qualcosa che non andava.

Se l'avesse seguito era sicuro che da dove lo avesse portato, non ne sarebbe uscito indenne.

Ma che altro poteva fare, se non di eseguire ciò che gli era stato detto, inoltre, per non mettere in cattiva luce il bar dove lavorava, doveva fingere che andasse tutto bene.

Nessuno doveva sospettare di niente o se il capo avesse avuto qualche reclamo non ben gradito, conoscendolo, gli avrebbe dato la colpa di tutto, finendo poi con il licenziarlo.

E questo non poteva permetterlo, quello era il suo unico lavoro, il quale, grazie a ciò che faceva, questo gli permetteva di pagarsi il cibo da mettere sotto i denti e aiutare con le spese e gli affitti, la casa in cui Jane, nonché, l'unica persona che si stesse prendendo cura di lui, lo stava ospitando insieme al fidanzato.

Non voleva arrivare un giorno in cui non sarebbe più riuscito ad aiutarli, con quale faccia li avrebbe detto che non aveva più soldi necessari?

Con quale coraggio poteva continuare a vivere con loro, usufruendo della loro bontà e vivere come un pasha? Com'era giusto che fosse, se avesse dovuto continuare ad abitare lì, anche lui avrebbe dovuto mettere la sua parte.

Come sempre aveva fatto, anche se Jane, più volte gli aveva ribadito di non preoccuparsi, e che se lo stavano ospitando non era per pena, ma perché lo voleva bene come un fratello, dopo la morte di suo nonno, non avendo un posto dove stare, non gli avrebbe permesso di vivere da solo in quella casa, che ne ora e nei prossimi mesi, sapendo che sarebbe stato cacciato via, per non essere riuscito a pagarsi gli affitti e di conseguenza il solo pensiero di immaginarlo per le strade, l'aveva destabilizzata.

E in piú sapeva, che Jane e il suo fidanzato, lo avevano fatto anche per aiutarlo, per non lasciargli tutto il peso sulle spalle.

In tre sarebbe stato molto meglio e più leggero, così gli avevano detto.

E lui gli era grato di tutto, grato anche dell'affetto che mai li avevano fatto mancare.

Così in silenzio e cercando di controllare l'espressione, rendendola più neutra possibile, aveva finto un sorriso mentendo sul fatto che quella persistente persona era il suo fidanzato.

"Torno subito, nel frattempo pensate con calma quello che volete prendere" rassicurò i clienti, i quali annuirono con un piccolo accenno di sorriso.

"Bravo bambino, e ora da bravo vieni con me"gli disse languido James, trionfante del fatto che il più piccolo non avesse osato obiettare.

Iris, da in silenzio e con il terrore che da dentro sentiva avanzare come una strisciata di vermi, lo seguì senza alcun fiato, fuori da quel bar.

Silenzioso come quella sera in cui si udivano solo il suono grilli, consapevole che tra poco, tutto quel silenzio si sarebbe trasformato in un orrore senza fine.

***

"Finalmente mio piccolo Iris"
ringhiò James, sbattendo il più piccolo al muro, bloccando i lati scappatoi con le proprie braccia muscolose.

Quella faccia derisoria, mista a un luccichio sinistro, che non prometteva niente di buono, a Iris metteva brividi, tant'è che iniziò a tremare come un piccolo pullo abbandonato dal calore della madre.

Sentire quel naso sfiorargli la pelle dell'incavo del collo, gli metteva brividi di freddo, non sentiti di certo per via di un piacere, ma bensì di ribrezzo verso quell'essere che lo aveva del tutto bloccato.

Non aveva possibilità di scappare.

Nessuno lo avrebbe salvato, abbandonato completamente a quel destino che lo avrebbe segnato.

Chiuse gli occhi, tenendo con forza la maglia dell'altro, sentendo sempre di più un pezzettino di sè, strapparsi dagli altri.

Rendendolo nient'altro che  solo uno e isolato.

James, prese a mordergli un lembo di pelle del collo, facendo quella piccola macchia rossastra un suo marchio.

Quel piccolo e appena udibile mugolio, che riuscì a strappare da quelle labbra che già ne prevedeva il buon gusto, era buon suono per il suo udito.

Ma non per Iris, che sentendo un calore dentro di sè, stava quasi per perdere la voglia di fare qualsiasi cosa.

Tanto sapeva che lottare molto probabilmente non lo avrebbe portato da nessuna parte, le forze erano sempre di meno.

"L-lasciami. T-ti prego".
Sussurrò con un singhiozzo rotto.

Ma l'azzurrino sembrò non ascoltarlo, troppo intento a dargli sin troppe attenzioni, non volute.

"No! L-lasciami".
Ripetè con tono un poco più forte, mentre il petto si alzava e abbassava velocemente.

Non aveva più controllo del suo essere, del suo corpo, ogni parte di lui era semplicemente stretta in una morsa di un grosso boa, la cui presa era sempre più pressante.

"STA ZITTO, CAZZO! ZITTO!"
Tuonò James, con un cipiglio in fronte, stanco di ascoltare quelle strazianti lamentele, di quella piccola persona totalmente sbiancata in faccia.

Gli occhi castani spalancati e le piccole labbra aperte, erano un incentivo per rendere la preda sempre più vulnerabile.

Con una mano andò a stringere la mascella del più piccolo.

Le sue labbra presto si avventarono quelle del più piccolo, in un unica mossa, facendole proprie.

Lacrime salate fecero capolino sul volto delicato di Iris, che non potendo muoversi, lasciò che l'altro lo rigirasse come una bambola di pezza.

Con le guance rosse e la bocca che annaspava in cerca di aria, le sue mani finirono a pugno sul quel ruvido muro roccioso, pronto per l'evidenza che pian piano dentro di sè, sempre di più prendeva.

Piangeva Iris, chiedendo aiuto, anche se in cuor suo sapeva , che nessuno oltre a loro due, avrebbe sentito quelle suppliche, troppe distanti da un posto più affollato.

Solo in un vincolo cieco con il suo aggressore.

"No! No! No!"
Gridava singhiozzando, facendo arrabbiare ancora di più il predatore.

Ma proprio mentre la speranza veniva sempre di meno, fino a spegnersi come una lampadina bruciata, ecco che quella luce ritornò più potente che mai.

"Hei! Che stai facendo?"
Chiese in un puro ringhiò  un Sean che era di passaggio di lí.

Era sicuro di ciò che aveva appena visto, la sua vista non si era proprio sbagliata e anche se era buio, grazie ad un flebile lampione, era riuscito a scorgere quella scena di violenza.

Se non fosse arrivato adesso, che sarebbe successo di quella persona che continuava a chiedere aiuto, piangendo? Non lo avrebbe voluto sapere. Ma nemmeno immaginare.

James si bloccò, ma senza lasciare la vittima.

Non rispose, finse di non avere sentito.

Ma non per Iris, che prendendo l'attimo al volo, singhiozzò un "m-mi aiuti, l-la p-prego".

"Stupido ragazzino. Ma non finisce qui"gli ruggí ad un orecchio, graffiandogli poi il collo.

Senso di bruciore e sporcizia sentiva in sé il più piccolo, con le orecchie rese in ascolto da quei passi che sentiva in avvicinamento.

A quel punto, vedendo con la coda dell'occhio, la sagoma dello sconosciuto con un telefono già pronto in mano, James, con la la paura che avrebbe chiamato la polizia, lasciò finalmente la presa e scappò via.

E sentendosi finalmente libero, il più piccolo si accasciò tremante e totalmente in sotto schok  a terra.

"Va tutto bene?"
Gli chiese un Sean che aveva preso a correre per raggiungerlo.

Ma non ricevendo risposta, si inginocchiò a terra, accanto al piccolo che era scoppiato in un pianto.

"È tutto finito. Ci sono io qui"gli sussurrò con il cuore ristretto.

Gli faceva male vedere una persona così indifesa e in quelle condizioni, così spaventata e persa.

Delicatamente, senza farlo spaventare , dalle spalle lo voltò verso di sè e in quel momento, guardandolo bene, un angelo gli sembrò.

Un angelo a cui momenti prima aveva rischiato di perdere tutta la sua purezza.

Sean, lo guardò negli occhi, ma gli occhi spenti dell'altro sembravano non vederlo.

"Mi dispiace piccolo, ma adesso tu verrai a casa con me. Che altro potrei fare sennò? Lasciarti qui in queste condizioni non se ne parla" e dopo aversi guardato un poco in giro, ritornando con lo sguardo preoccupato verso quella figura ancora piangente, riuscì a scorgere sul  grembiule bianco, sopra a un completo nero, una targhetta, con su inciso qualcosa, sembrava un nome.

"Iris".
Ripetè dolcemente, con un piccolo e debole sorriso.

***

Ed'è così che dopo averlo caricato in macchina di Neil, cingendogli le spalle con un braccio, lo portò nel loro appartamento.

Solo dopo avere aperto la porta, un Neil sorridente, di vedersi finalmente l'amore della sua vita arrivare, il sorriso gli morí e la sua espressione divenne corrugata dalla preoccupazione, nel vedere il più piccolo stretto a Sean e con lo sguardo non del tutto presente.

"Cosa è successo, Sean?"
Gli chiese postando lo sguardo verso il più grande.

"Ecco .... Stava per essere.... violentato"ripose in difficoltà il più grande, con ancora la scena ben presente e nitida nella sua mente.

"Per Dio! Piccolo".
Sbottò Neil, posando una mano sul petto.
"Portalo pure dentro" aggiunse andandogli incontro, circondando la vita del più piccolo fra loro con un suo braccio, e portando un fine braccio ad avvolgere il proprio collo, chiudendosi subito dopo con una gamba, la porta alle loro spalle.

Quel ragazzino per adesso avrebbe dovuto riposare, per riprendersi almeno un pochino, cosìcchè finalmente avessero potuto capire le dinamiche giuste che sarebbero uscite fuori.

Ma al momento sarebbero stati con lui, attendendo che  il più piccolo smettesse una volta per tutte di tremare come una figlia trasportata via dal vento.

Al momento, per quella sera, lo avrebbero tenuto con loro, al sicuro e con un tetto sopra la testa,  al dopo vi avrebbero pensato dopo.

"Iris".
Mormorò  Sean, gettando un occhiata al proprio amato.

Gesto che venne subito capito, da Neil, il quale capí che si trattasse del nome di quel piccolo e fragile ragazzino che  appena divenuto inconsciente  era ancora tra le loro braccia.

"Iris. Che nome raro. Proprio come il nome di un fiore delicato" disse in risposta Neil, guardando con tenerezza prima il fidanzato, che lo guardava a sua volta e poi il ragazzino.

E i due in quel momento si promisero, con un solo sguardo a vicenda, che quella sera avrebbero vegliato su di lui, con attenzione.

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