Capitolo 1 - Gio' ✔

«Maledizioneee!»

Troppo tardi, sto già rotolando lungo l'enorme scalinata davanti l'ingresso degli uffici dove lavoro; parlo di decine di gradini che, in questo preciso istante, sto percorrendo in posizione orizzontale anziché, come tutte le persone normali, in posizione verticale.

Mi sento una botte di vino lasciata cadere dalla cima di una collina e mi fermo solo quando quella tortura spigolosa smette di accanirsi contro il mio corpo. Mi stanno sicuramente guardando tutti.

Non riesco a tirarmi su, sono dolorante in ogni parte del corpo; alzo gli occhi e davanti a me passa una mamma insieme al suo bambino che fa spudoratamente finta di sistemargli il cappello, pur di non dare una mano a una povera deficiente seduta per terra con una scarpa in mano. Il bambino in compenso mi fa una bella linguaccia, che non posso fare altro che ricambiare.

Con la coda dell'occhio, intravedo alla mia sinistra un uomo distinto con la ventiquattrore in pelle che avanza nella mia direzione; mi passa davanti con la testa china, evitando il mio sguardo, senza nascondere un sorriso beffardo dietro quegli orrendi baffi bianchi.

Il peggio arriva quando, più in là, scorgo due ragazzi, poco più che tredicenni, che se la stanno spassando col cellulare in mano e guardano nella mia direzione. Giuro che se hanno ripreso tutto, vado lì e li strozzo con quelle orripilanti sciarpe che hanno al collo. Mi manca un mio bel video su You-Tube!

«Come hai potuto farmi questo?» impreco. Il paragone con la botte di vino forse non è poi tanto sbagliata, sembro ubriaca e parlo da sola.

Fisso il tacco del mio stivaletto destro che si è spezzato: il responsabile di quella caduta accidentale e tortuosa. Mesi di sacrifici e straordinari per permettermi di acquistarli e ora stringo lo stivaletto in una mano e il tacco nell'altra, ormai separati per sempre da un ingiusto gioco del destino; ricordo quando li ho visti per la prima volta in una delle bellissime vetrine di Michael Kors e me ne sono innamorata immediatamente: tacco nove, velluto nero e fibbie laterali in pelle. Ora addio per sempre!

Provo a non dare peso alle decine di persone che mi circondano e mi guardano, anche se ho la consapevolezza che tutti stiano ridendo a crepapelle per il mio pietoso show. La mia attenzione, per il momento, è tutta rivolta a quel traditore.

Continuo a fissarlo e a inveirgli contro: «Maledetto, proprio adesso che sono in ritardo, Tracy stavolta mi uccide. Ti prego! Ti prego! Fai qualcosa!»

«Non credo si possa riparare da solo» sento dire sopra di me. Queste parole arrivano come un arcobaleno dopo la pioggia, come uno spiraglio di luce in un cielo tempestato di nuvole; un tono caldo e profondo, direi musica per le mie orecchie. Qualcuno si è intromesso nel mio soliloquio con la scarpa, allungando una mano per aiutarmi ad alzare. Uno di quegli infami spettatori ha avuto pena per me!

«Grazie mille, sei gen-ti-li-ssi-mo.» Sillabo quest'ultima parola mentre due occhi di un verde intenso e brillante, con una leggera sfumatura di azzurro nei bordi, incrociano i miei.

Il suo corpo copre il sole eclissandolo ed evitando che mi accechi; l'aura formatasi intorno alla sua sagoma lo rende così magicamente celestiale, tanto da togliermi il fiato.

Ma la sua bellezza fa molto di più: sono persa! E il mio cervello si riempie di musica: "La sua bellezza non sa fingere ♫♫♫ La sua bellezza è sesso in polvere ♫♫♫"

«Ti senti bene?» chiede preoccupato quel viso angelico: carnagione chiara, liscia e rosea come quella di un bambino, capelli biondi, forzatamente tenuti composti da un'abbondante dose di gelatina, probabilmente a nascondere irrequieti ricci che io invece tendo a far prendere autonomamente la loro strada.

Muove sinuosamente le labbra sottili, ma non capisco neanche una parola; è un alieno appena atterrato sulla terra con il suo disco volante, eppure avrei giurato, pochi secondi fa, di averlo sentito parlare nella mia stessa lingua.

Il suo tono esprime preoccupazione: «Hai sbattuto la testa? Ti serve qualcosa? Forse è meglio che ti fai visitare.»

«Cosa?» Vorrei essere una mosca per vivere la scena da spettatore e guardare la mia espressione inebetita, tipica di chi ha appena assistito a un'apparizione celestiale e sta per gridare al miracolo. Le figuracce sono parte di me!

«Forse è il caso che ti porti in ospedale. Mi sembri un po' stordita.» Il suo tono preoccupato è sempre più accentuato.

Ora non diamo tutta la colpa alla caduta, qui non c'è bisogno di un medico, c'è bisogno che la smetta di guardarmi in quel modo ipnotico. Il suo viso perfetto, il suo sguardo dolce, il più dolce che abbia mai incontrato, mi ha paralizzato il cervello.

«No, no, grazie sto bene. Sì, ho un po' di confusione in testa, ma credimi, sono già bella svampita di mio. La capocciata, anzi, le capocciate date hanno solo accentuato la cosa» provo a spiegare che la caduta non ha inciso sul mio modo di essere, ma che, se pensa che sono pazza, è perché lo sono veramente!

«Io sono William Reed, ma per gli amici sono semplicemente Liam.»

Non perdo l'occasione per dirgli: «Io sono Giorgia Mele, ma puoi chiamarmi semplicemente Gio'.»

«Sei italiana?» domanda sorpreso.

Non ha tutti i torti per esserlo, di solito sono abituata a essere scambiata per una tipica irlandese dai capelli rossi, occhi verdi e carnagione chiara tempestata di lentiggini. Li ho ereditati dalla nonna della nonna della nonna... "Non ricordo per quanto devo continuare!" Dopo diverse generazioni ecco la prescelta dell'eredità.

I greci credevano che chi aveva i capelli rossi si trasformasse in vampiro... ecco il perché del mio temperamento sanguigno. Nel XVI e XVII secolo venivano credute streghe... ma magari lo fossi stata! Secondo Mark Twain, invece, le gingerhead avevano una strana influenza sui gatti... su questo non ci ho mai fatto caso! Si dice anche che chi ha i capelli rossi sia di temperamento bollente, implacabile nella parola e con una forte tendenza al sesso fisico. Posso confermare che i miei capricciosi ricci non potevano essere di altro colore!

Ormai ho risposto a questa domanda centinaia di volte: «Solo di origini, nata e cresciuta qui.»

Liam mi chiede: «Ha un significato il cognome? Vuol dire qualcosa?»

"In verità sì!" «Miele.»

«Allora sei dolce?» dice con aria provocante.

"Ci sta provando? Dolce? Forse ma... non sotto le coperte!"

Lo incito: «Scoprilo!» Questo gioco lo conosco bene!

«Ti serve un passaggio?» chiede premurosamente.

Una persona normale e giudiziosa avrebbe sicuramente risposto di no a uno sconosciuto, ma io non lo sono mai stata, quindi non me lo faccio ripetere due volte; chi se lo fa scappare un figo del genere?

«Magari! Te ne sarei grata, non posso camminare con una scarpa sola, devo arrivare allo Staten Island Ferry e sono tremendamente in ritardo.»

Sarò costretta a camminarci comunque fino a casa, ma non voglio approfittare troppo della sua gentilezza, anche se...

«Abiti a Staten Island?» chiede ancora curioso.

Mi affretto a rispondergli: «Sì, mi sono trasferita lì da qualche mese».

«Bel quartiere, tranquillo e soprattutto verde. Ci capito spesso!»

"Grazie per l'informazione!" penso tra me e me, un pensiero che trattengo con molta fatica, insieme a una miriade di domande e osservazioni del tipo: "Come ho fatto a perdermi questo ben di Dio? Se ti avessi incrociato prima sicuramente non saresti passato inosservato!"

Sento il bisogno di indagare.

Provo a chiedere cercando di non essere invadente anche se so di non esserne in grado: «Come mai?»

Dribbla la mia domanda con estrema eleganza: «Sono sicuro che avremo modo di parlarne, o almeno lo spero; non eri tremendamente in ritardo? Non vorrei che aumentasse per colpa mia.»

Sottolinea quel "tremendamente" accennando con le dita il segno delle virgolette. Il suo sorriso splende nel mezzo. Ho i brividi lungo tutto il corpo!

Troppe domande mi frullano in mente: "Ritardo? Per cosa? L'appuntamento con Tracy? Al momento Tracy non so più chi sia."

Non sa ancora quanto amo parlare e che sforzo sto facendo a trattenermi tutto dentro. Sento come una bomba dentro che sta per scoppiare; quel "almeno lo spero" riesce a trattenere l'esplosione.

Spronata dalle sue parole, mi rendo conto che sto ancora seduta per terra mentre stringo la sua mano, calda e morbida, come fosse un oggetto prezioso, come se stessi accarezzando la lampada di Aladino e dovessi esprimere un desiderio: "In verità uno in mente già ce l'avrei!" Arrossisco.

Mi alzo con il suo aiuto, slanciandomi involontariamente con un po' troppo impeto, forse volontariamente, ma mi sento una farfalla che fluttua nell'aria, così leggera da trovarmi in un istante stretta tra le sue braccia, così vicino da sentire il battito del suo cuore e il naso a un millimetro dal suo; vorrei rimanere in questa posizione per l'eternità!

L'istinto alla Gio' mi dice di stampargli un bel bacio su quelle labbra che sicuramente sanno di buono ma, ahimè, ho promesso di comportarmi, o almeno tentare, in modo più responsabile, per non passare sempre per quella facile da una notte e via.

Mi costa parecchio starmene buona, trattenere i miei istinti, perché per me l'amore è libertà, non ha confini, va espresso quando se ne sente la necessità, senza badare alle conseguenze. Sempre! E io, anche se sto tra le braccia di uno sconosciuto, sento bisogno di dimostrare la mia gratitudine con un gesto fisico; è la forza del rosso!

La magia che si è creata tra noi viene interrotta, ahimè, dalle sue parole. Come al solito l'ho percepita solo io.

Mi sussurra: «Il tuo ritardo aumenta ogni secondo di più.»

È visivamente imbarazzato dal mio sguardo fisso e perso nei suoi splendidi occhi; lo respiro un altro po' senza saziarmi, il suo alito profumato mi riporta per un attimo nella cucina di mia nonna mentre sforna torte alla cannella. È inevitabile! Sa di buono e voglio assaggiarlooo!

"Controllati Gio'! Controllati!" mi ordino a malincuore: «Hai ragione!»

Mi sciolgo malvolentieri dalle sue braccia rassicuranti.

Mi fa segno di seguirlo, a pochi passi da noi ci attende una moto, la sua moto. Non mi aspettavo questo mezzo visto gli abiti eleganti che indossa; non si vede spesso un uomo in giacca e cravatta girare in motocicletta, eppure mi piace questa stonatura. Il motociclismo è uno stile di vita e probabilmente è pazzo e fuori dagli schemi quanto me.

«Tieni, metti questo» mi passa il suo casco, invitandomi a indossarlo e a salire.

«Tu come farai?» chiedo preoccupata, non voglio che prenda una multa per colpa mia.

«Posso correre il rischio!» risponde e sul suo viso perfetto si stampa un sorriso che mi provoca inevitabilmente una extrasistole.

Indosso velocemente il casco, più che altro per coprire la faccia da pesce lesso che ho assunto.

Accende il motore e salgo dietro lui; sfacciata come sono non evito di passargli le braccia intorno la vita, anzi ne approfitto per stringerlo, per scoprire che corpo nasconde sotto la giacca.

Non rimango delusa dalle aspettative, sento gli addominali in tensione sfiorare la camicia. Lo annuso, seduta nella parte posteriore della sella, come una cagnolina in calore.

È la prima volta che salgo su una moto, non ne ho mai avuto l'occasione prima e la cosa mi eccita parecchio. Assaporo l'aria come quando da piccola mettevo la testa fuori dal finestrino: tutto questo vento, la frequenza dei battiti del cuore che aumenta in proporzione all'aumentare della velocità, mi fa sentire libera e leggera come allora.

Mi sento sicura in sella con il mio salvatore che ha visibilmente il pieno controllo della situazione. È un tutt'uno con la moto e sembra danzare quando piega tra un mezzo e l'altro; purtroppo arriviamo al traghetto troppo presto, ancora non sono abbastanza sazia di quella scarica di adrenalina!

«Eccoci qua, il suo taxi è arrivato!» dice mentre spegne il motore.

I suoi capelli sono perfetti come prima, anche senza casco, io invece ho paura a toglierlo sicurissima di aver peggiorato la mia capigliatura da spaventapasseri; lo sfilo impaurita e, velocemente, butto un occhio allo specchietto per darmi una sistemata con la mano, in modo da limitare i danni procurati dal vento e dallo schiacciamento del casco.

Lo guardo con l'eccitazione di una bambina appena scesa dal primo giro sulle montagne russe e pronta a gridare "ancora ancora un altro giro!"

Il mio sguardo insistente con gli occhi sbarrati lo ha spaventato e mi guarda intimorito: «Perché mi stai fissando in questo modo?»

«È stato... è stato... pazzescooo!» Probabilmente mi hanno sentita anche dall'altra parte del fiume.

Sembro l'imitazione di Hip dei Croods quando prova il suo primo paio di scarpe.

«Ti prego promettimi che lo rifaremo, ti prego, ti prego, ti prego» aggiungo, saltellando come una bambina capricciosa, perdendo ogni briciolo di dignità.

Non so quanto sia positivo, ma lui sgrana gli occhi titubante e con cadenza esitante risponde: «D'accordo!»

Sì, l'ho decisamente spaventato, ma allo stesso tempo lui impaurisce me con la sua espressione di terrore.

«Non ci fare caso, è stato il mio primo giro in moto e l'ho... adoratooo!» dico, gridando nuovamente. È più forte di me, non so proprio trattenere le emozioni.

«Promettilo, promettilo, promettilo.» Tento, come al mio solito, la strada dello sfinimento, incapace su alcuni aspetti, forse troppi, di cambiare il mio modo di essere nonostante gli sforzi.

«Te lo giuro!» risponde, alzando contemporaneamente le mani al cielo in segno di resa.

«Tu sei folle!» aggiunge, scoppiando a ridere.

"Buon segno!" penso.

Le parole escono da sole: «Non posso dirti che cambierai idea quando mi conoscerai meglio, perché è vero, sono pazza! Sono pazza di tutto quello che mi circonda, di quello che non conosco e che voglio conoscere. E ora sono pazza di questa moto.»

Nel frattempo accarezzo la moto come fosse un animale domestico qualunque; sono già anche pazza di lui, ma lo tengo per me, per adesso.

«Non credo di poterne fare più a meno!» "Di te!" vorrei aggiungere.

«Credo di provare lo stesso per il tuo sorriso» gli sento dire.

Un'altra extrasistole! Rimango ferma, composta, ho già esagerato con le precedenti esternazioni e contraccambio al complimento con un semplice sorriso, ma dentro urlo dalla gioia: "Ha abboccato, ormai è mio, questo non me lo faccio scappare" e altrettante frasi del genere viaggiano imperterrite nella testa.

Riprendendo il controllo della mia mente, gli propongo: «C'è un localino molto carino aperto da poco sulla Bay Street, domani ci vado con la mia amica Tracy, se ti va ci puoi raggiungere. Magari porta un amico, un fratello... insomma, chi vuoi tu.»

«Segnati il mio numero così ti faccio sapere domani» risponde Liam.

Non me lo faccio ripetere due volte e comincio a rovistare nervosamente nella borsa alla ricerca disperata del mio cellulare; quando cerchi una cosa che ti serve, quella come per magia sembra essersi volatizzata nel nulla. Mi riprometto di comprare al più presto una borsa più piccola, non mi sono mai resa conto che quella che porto solitamente è troppo grande e mi fa sembrare Mary Poppins intenta a tirare fuori qualche oggetto misterioso e super ingombrante.

«Eccolo, finalmente!» Faccio scrivere il numero a lui perché a me tremano troppo le mani dall'emozione.

Infila il casco che poco prima indossavo io privandomi di quella visuale eterea: «Allora ci si vede.»

Per fortuna ho lavato i capelli questa mattina, quindi per un po' gli rimarrà il mio odore da assaporare. Speriamo serva per riportarlo da me!

«Ci conto!» Lo saluto, rimanendo con la mano alzata per parecchio tempo, anche dopo che lo vedo sparire, inghiottito dal traffico.

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