Una nuova conoscenza





Vista dall'alto non sembrava più così immensa, Madracorn. Ma la capitale del regno restava la città più vasta di tutto il paese, e, forse, del mondo intero. Racchiusa e protetta dai suoi contorni irregolari stabiliti da massicce mura in pietra, era costituita da un intrico disordinato di strade, stradine, vicoli e viali che divideva tra loro una moltitudine di piccole e grandi costruzioni, una discreta quantità di giardini e addirittura qualche parco. Gli ultimi spiccavano particolarmente in mezzo a questo caos, sopratutto durante le stagioni calde. Tra tutte le strade, però, solo una risaltava più delle altre, attraversando senza interruzione la città e dividendola in due. Era un ampio viale, conosciuto da tutti come "la lunga via", che collegava la porta sud-est, l'ingresso principale della città, al castello dell'Ordine, dove vivevano e potevano accedervi solo i nobili. Percorrendola si aveva l'impressione che fosse perfettamente dritta, ma dall'alto avevo potuto notare che in realtà, durante il tragitto, accennava vagamente una S.

Non l'avevo mai percorsa in tutta la sua lunghezza. Di solito mi limitavo ad attraversarla per il largo e, fino a qualche anno fa, anche piuttosto frequentemente. Casa mia si trovava nella zona più a ovest di tutta Madracorn, mentre l'accademia, nella quale avevo seguito il mio addestramento, era dalla parte opposta, seppur spostata più centralmente. Ovviamente in quel periodo mi ero trasferita tra quelle mura, ma in ogni caso dovevo ai miei genitori visite regolari.

Odiavo ricordare quegli anni. Anche solo pensarci mi faceva sentire in imbarazzo, così cercavo di evitare il più possibile. Non lo avrei ammesso nemmeno sotto tortura, ma al tempo una piccola parte di me aveva vissuto ancora nell'illusione di poter diventare Signora dei Draghi grazie all'impegno e al talento. Ero stata una ragazzina stupida!

Lo scontro con la realtà era stato duro, mi aveva riempito di rabbia e di odio a lungo. Avevo odiato sentirmi stupida, e questo mondo ingiusto. Avevo colto ogni occasione per attaccare briga con tizi grossi, o fuggire nella foresta per prendermela con fiere ancora più grosse.

E quando, così facendo, mi ero guadagnata questa cicatrice sulla faccia, invece di darmi una regolata avevo iniziato a prendermela anche con chi aveva iniziato a chiamarmi "sfregiata". (Appellativo che non era durato molto.)

Poi avevo stretto il legame con Ko e tutto era cambiato.

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Ora era tarda mattinata, e io lo stavo aspettando in una zona non troppo trafficata della città, per lui facile da raggiungere, dove ci eravamo dati appuntamento. Ko, però, non arrivava. Incominciai a incupirmi. Lui non tardava mai. Che gli era successo? Era stato scoperto?

Stavo cercando di non pensare al peggio quando un ragazzo, bellissimo, alto, e dai capelli meravigliosamente dorati, entrò nel mio campo visivo. Lo fissai sognante, mentre si aggirava per la via guardandosi intorno confuso.

Era così pallido e i suoi capelli erano così biondi e dorati che lo avrei preso per un nobiluomo, non fosse stato per i vestiti d'accattone che aveva addosso. L'ampia maglia bianca in cui era avvolto aveva una sola manica, lunga e nera, mentre l'avambraccio nudo lo teneva zeppo di bracciali in cuoio. Portava tre cinture totalmente inutili strette in vita, e gli stivali che calzava erano completamente diversi l'uno dall'altro. Il primo, che corrispondeva al lato della manica, era poco più alto della caviglia, aveva un voluminoso risvolto ed era fatto di vecchio cuoio sbiadito. Il secondo, invece, era palesemente nuovo, senza pieghe, di un marrone scuro ma luminoso, e rivestiva anche il pantalone, alto com'era fino quasi al ginocchio e totalmente privo di risvolto.
Smisi definitivamente di prestare attenzione al suo abbigliamento appena si fece abbastanza vicino vicino da permettermi di vedere fino a che punto fosse realmente bello.
Avevo la strana sensazione di averlo già visto da qualche parte, senza però riuscire a ricordare esattamente dove. Ma ovviamente ciò non era assolutamente possibile, perché un viso del genere non lo avrei mai, mai, potuto scordare.

«Ciao.»

Tornai bruscamente alla realtà e mi trovai a fissare negli occhi il ragazzo, che nel frattempo si era avvicinato ed ora mi stava guardando. Ed io stavo lo stavo guardando a mia volta, mi resi conto, sgomenta, con un'espressione che stava a metà tra il pesce lesso e il lemure impagliato. Distolsi rapidamente lo sguardo, cercando di riassumere un certo contegno, e con il mio miglior tono noncurante ricambiai il saluto.

«Scusa il disturbo, sai per caso dirmi dove si trova, mmm, "L'Ingegnoso Macaco"?» Chiese, titubante.

Alzai di scatto la testa, attenta. «Intendi "L'Allegro Macaco"?

"L'Allegro macaco" era il mio locale preferito. Purtroppo era da un sacco di tempo che non vi andavo, ma, pensai guardando il ragazzo che mi stava di fronte, molto probabilmente avrei ricominciato a frequentarlo presto.

Lui annuì, i suoi ipnotici occhi verdi piantati nei miei. Il mio stomaco fece una capriola. Diamine, quant'era carino. In tutta la mia vita, poco ma sicuro, non avevo mai visto un ragazzo tanto bello. Eppure continuavo ad avere quella sensazione, come se l'avessi già incontrato prima, e poi me ne fossi dimenticata. L'ignorai.
«Si, è, ehm, verso il centro, a venti minuti a piedi da qui. Ma non saprei dirti precisamente la strada...»
Il ragazzo sembrò deluso.
«Ma, se vuoi, ti ci posso accompagnare,» aggiunsi allora. «Tanto non ho nulla da fare!»

«Comunque, io sono Runa,» mi presentai mentre ci incamminavamo. Tesi la mano. Il ragazzo la guardò, corrucciato, poi alzò lo sguardo verso di me, rivolgendomi un sorriso sghembo, imbarazzato, che mi provocò un cortocircuito mentale.

«Hm... Io sono Raen,» disse infine, stringendomi la mano.

Lo guidai tra le vie della città, chiacchierando di tanto in tanto, per venti minuti buoni. Alla fine raggiungemmo la bassa costruzione dall'alto tetto spiovente de "L'Allegro Macaco", che, schiacciata tra quattro alti edifici, si affacciava su un vicolo pulito, al quale si accedeva tramite uno stretto passaggio tra due mura. Così nascosta non era molto conosciuta, nonostante si trovasse poco lontano dal centro della città, e in questo momento non c'era anima viva.

Raen lanciò uno sguardo incuriosito all'architettura. «Ma è chiusa?» Domandò.

Io annuii. «Apre solo la sera,» spiegai.

Restammo in silenzio per qualche istante, durante il quale mi riaffiorò alla mente il motivo per cui ero uscita di casa stamattina. Raggelai. Koywoo!

Finsi di controllare il mio segnatempo, con noncuranza. Per lo meno stavolta lo avevo davvero con me. «Si è fatto tardi,» dissi, «è meglio che vada, ora. Ciao!»

Feci per scappare via, ma Raen mi bloccò. «Runa!»

«Sì?»

Lui mi sorrise. «Grazie davvero.»



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«Ah, eccoti!» Mi salutò Ko quando mi vide arrivare. «Meno male! Ed io che pensavo di essere in ritardo,» rise.

«Ma io ero puntuale,» mi difesi, «solo che, dopo un quarto d'ora che t'aspettavo, mi sono, ehm, dovuta allontanare per...» Lasciai perdere, e provai a cambiare argomento. «Come mai hai fatto tardi?»

Ko si fece serio. «Runa,» disse. «È successa una cosa.»

Ecco, lo sapevo. Suo fratello aveva fatto due più due. Ero spacciata.

«Nulla di cui ci si debba preoccupare,» si affrettò ad aggiungere, un po' troppo tardi. «Però... È strano,» proseguì. «L'altro ieri, quando mi sono ritrasformato in drago dopo averti salutato, i miei, ehm, vestiti non si sono, mmm, non si sono trasformati con me. Si sono ridotti a brandelli. Non mi era mai successo.»

«Oh.»

«Stamattina mi sono ritrovato nudo nella foresta e son dovuto tornare indietro, rubare dei vestiti di Howahkan -tanto non se ne accorgerà mai- e nasconderli in un mio vaso per evitare che qualcuno mi vedesse mentre li portavo via. Dopodiché ho passato tutto il tempo a cercare di tirarli fuori, visto che di rompere il vaso non c'era verso. Alla fine ho avuto l'illuminazione che una zampa umana è notevolmente più piccola di...»

Scoppiai a ridere, senza nemmeno provare a trattenermi. «Grazie tante.» Ko si finse offeso.
«Quindi,» cominciai, quando smisi di ridere, «per oggi niente voli, giusto?»

A Ko si illuminarono gli occhi. «Non ci contare, cara,» disse, afferrandomi il polso per trascinarmi via. «Per oggi io non volo, ma a te nulla lo impedisce.»

«No, dai, Ko!» Mi ribellai. «Sarebbe ingiusto nei tuoi confronti!»

«Che gentile! Ma non ti devi preoccupare per me, davvero!» Sghignazzò.

Mi lasciai guidare per qualche isolato, in direzione delle porte della città più vicine, ma poi mi fermai.

«Aspetta, Ko,» dissi. «Guarda, un gattino! Ohh.»

In effetti dall'angolo della strada era appena sbucato un piccolo gatto, dal pelo maculato nero e di tutte le tonalità del marrone. Ko mi lasciò andare, ed io mi avvicinai. Gli animali mi erano sempre piaciuti, e in particolare per i gatti avevo un debole.

Il gatto mi guardò ma non si mosse, quindi allungai la mano per fargli qualche grattino sul collo. Si allontanò solo dopo, quando anche Ko cercò di avvicinarsi.

Proseguimmo fino alle porte della città, che in quel momento erano sorvegliate da due guardie; una mia vecchia amica e un uomo che conoscevo di vista. Quest'ultimo mi fissò indifferente, mentre Wero, la ragazza, mi salutava allegra.

«È il tuo ragazzo?» Chiese, ammiccando a Ko. Mi voltai verso di lui, alzando le sopracciglia.
«Certo,» risposi, prendendolo sotto braccio, «ragazzissimo.»

Avevo imparato a mie spese che quella bugia era la risposta più sicura da dare. Certo, Wero non era tipo da assillarmi costantemente su chi fosse quel ragazzo e dove l'avessi conosciuto, "visto che ero sempre in accademia ad allenarmi"-dopotutto non eravamo più ragazzine-, ma quell'esperienza mi aveva segnato per la vita.

«Che romantico, una passeggiata nel bosco!» commentò la guardia prima di salutarci e lasciarci passare.

Finalmente io e Ko eravamo nella foresta. Avanzammo sicuri verso la nostra radura, circondata da fitti alberi e così difficile da trovare. Quando la raggiungemmo, circa mezz'ora dopo, iniziai a sentirmi un po' tesa. Era arrivato il momento di trasformarmi, e temevo che potesse accadermi ciò che era successo a Ko l'altro giorno.

«Forse per oggi sarebbe meglio lasciar perdere, no?» Tentai per l'ennesima volta.

«Ma no! Perché mai?»

«Non voglio rischiare di distruggere i miei vestiti,» spiegai.

«Ma va', è impossibile!» Mi liquidò lui. «Penso abbia a che fare con le metamorfosi parziali che ho imparato. Tu non avrai problemi.»

«Pensi? O ne sei sicuro?» Chiesi, perplessa, ma Ko mi ignorò.

«A te non accadrà,» insistette. «Ti fidi di me?»

Lo fissai di sbieco. La carta della fiducia, un classico. Che infame.

«Se proprio devo,» Borbottai alla fine. Ko rise.

Non del tutto convinta, iniziai a trasformarmi, in apnea e con gli occhi serrati. Ero abbastanza tesa, certa di fare una stupidaggine. Ko aveva un talento per farmi fare stupidaggini.

La mutazione fu rapida, come al solito meno di un secondo per assumere la dimensione, allungare il collo, farcrescere le squame; poi quasi il doppio per plasmare le ali e la coda. Riaprii gli occhi, espirando piano, e mi guardai intorno.

«È andato tutto bene,» mi precedette Ko. «Niente brandelli di vestiti in giro, visto?»

"Non erano sol..." Lasciai cadere la frase a metà, irrigidendomi e trattenendo nuovamente il respiro non appena percepii qualcosa muoversi tra la boscaglia circostante. C'era qualcuno? Aveva visto la scena? Ovviamente considerai l'ipotesi che potesse trattarsi di qualche creatura della foresta, ma, obiettivamente, quale animale con un minimo istinto di sopravvivenza si sarebbe fatto vivo, percependo la presenza di un drago?

«Oh, guarda, il gattino di prima!» La voce di Ko fece breccia tra i miei pensieri e tornai alla realtà. Effettivamente da dietro un cespuglio era appena sbucato lo stesso gatto che avevamo incontrato in città quella mattina.

Quel dannato gatto per poco non mi faceva venire un colpo!, pensai, ringhiando. Il felino si defilò.

Il mio amico rise, mi picchiettò su una spalla, e, senza alcun avvertimento, montò a cavallo. Mi alzai in volo, e anche piuttosto bene, per i miei standard. Dapprincipio planai in cerchio, come Ko mi aveva insegnato a fare, allargandone sempre di più il diametro, poi, non senza una certa difficoltà, cambiai direzione, puntando alla zona più remota e selvaggia della foresta; l'Angolo Dimenticato. Una palude terrificante dove crescevano alberi radi ma grandi come montagne, e perennemente avvolta nella nebbia. Nessuno osava avvicinarsi. Quel luogo era così spaventoso che nemmeno noi ci arrischiavamo ad atterrare; limitandoci a volare tra gli enormi rami, celati dalla nebbia.

Certo non erano le monagne del nord, ma dopo l'incontro con Howahkan non credo che avrei avuto il coraggio di tornarci per molto tempo.

"Sai, ko..." Cominciai, cercando di appiattirmi mentre volavo in mezzo a due tronchi dai colori vivaci e malsani. "Stamattina, mentre ti aspettavo... È successa una cosa."

«Cioè?»

"Ho incontrato... Un angelo!" Risposi, sognante. Feci per continuare ma Ko mi interruppe.

«Aspetta,» disse. «ho un déjà vu!»





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Nel prossimo capitolo:

Finalmente entrerà in scena il mio personaggio preferito! E ovviamente sarà il personaggio più detestabile di tutti.

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