Beh, Che Dire...
Mi svegliai il giorno dopo che era già mezzogiorno. Fortunatamente ero ancora in vacanza, per cui non sarebbe importato a nessuno a che ora mi sarei svegl_
Un rumore sordo mi strappò bruscamente dal mio adoratissimo stato di dormiveglia. Qualcuno stava bussando alla porta con talmente poca delicatezza che sembrava volesse buttarla giù.
«RUNAAA!!!» La stridula voce di mia cugina mi perforò i timpani anche da fuori. «EDDAI! SO CHE CI SEIII!» Non la finiva più di urlare.
Dio, no. Non può essere vero, pensai.
È necessario sapere che i sentimenti che di solito provavo la mattina, o in generale quando mi svegliavo, non erano esattamente bei sentimenti. Erano più un qualcosa sul genere:"rabbia misto odio".
Persone che dopo essersi svegliate euforiche colpite dai primi raggi del sole si mettono a cantare canzoncine in coro con gli uccellini, sporgendosi dalla finestra per salutare allegramente i passanti, non avevo mai creduto esistessero; neanche da bambina. Per quel che mi riguardava, non esisteva nemmeno un "piede giusto" con cui alzarsi, e se c'era non avevo mai capito quale fosse. Ma forse ero io ad essere nata con due piedi sbagliati.
Quando poi erano altri a svegliarmi era anche peggio, ovviamente. Avrei dovuto appendere un cartello sopra il letto con scritto: "Svegliami e non farai in tempo a pentirtene." Prova indiscutibile che non ero per nulla una qualche sorta di principessa perduta. Un principe che avesse provato a destarmi non sarebbe vissuto abbastanza a lungo da pentirsene.
Ma ero cresciuta. Ero diventata una Guardia. Mi ero più o meno adattata al fatto che spesso dovessi essere svegliata presto, trovata agile, scattante e pronta per turni mattutini e altre forme di tortura simili; per cui mi sforzai di essere meno infastidita. Tuttavia, essendo mia cugina l'attuale fonte d'irritazione, sarebbe stato più facile buttarsi da ventimila metri d'altezza e cercare di rallentare la caduta con la sola forza di volontà.
Perché lei era una lagna.
Un tormento infinito.
Il ricettacolo di tutto il male nel mondo.
Insomma, non mi stava particolarmente simpatica, non fossi stata sufficientemente chiara.
Odiavo passare del tempo con lei, ma pensavo, speravo, fosse un sentimento contraccambiato. Invece eccola là, fuori dal mio appartamento, a gridare come una gallina chissà cosa.
Mi arresi, e con mio grande disappunto sgusciai fuori dal letto per dirigermi alla porta. La aprii lentamente, facendola cigolare in modo lugubre, un po' come nelle storie di terrore che Sinn il pazzo alle volte raccontava in dormitorio, ritrovandomi faccia a faccia con Teaz, mia cugina. O meglio: collo a faccia, visto quanto era bassa la carissima consanguinea. Non che io fossi particolarmente alta.
«Che vuoi?» Sibilai, senza curarmi minimamente di simulare affetto. Nonostante l'antipatia non ero solita essere così sgarbata con lei, ma viste le gravi circostanze, poteva ancora considerarmi gentile.
«Ehi, Runa! Quanto tempo!» Sorrise lei. Adocchiò la macchia di bava sulla mia maglia. «Stavi dormendo?» La cosa sembrava sconvolgerla.
«Già. Stavo.» Borbottai.
«Beh, visto che sei in piedi, ti va di fare quattro chiacchiere? Non ci vediamo da tanto e vorrei parlarti di una novità...»
«Seh, seh. Va bene,» grugnii. «vado a cambiarmi.»
Le sbattei la porta in faccia, lasciandola ad aspettare sul pianerottolo. Per nessuna ragione al mondo sarebbe mai entrata in casa mia.
Una volta pronta, la raggiunsi fuori e scendemmo le scale dell'abitazione: una struttura esterna che fiancheggiava l'edificio lateralmente rispetto alla strada. Vivevo nel sottotetto di una casa di quattro piani in tutto, e conoscevo i vicini solo di vista.
Non passavo molto tempo nel mio appartamento. In genere dormivo nel dormitorio della caserma, e qui ci trascorrevo solo le rare vacanze, quando volevo stare per conto mio. Prima i miei genitori lo avevano utilizzato come una specie di magazzino; siccome era scomodo da raggiungere, una volta diventata ufficialmente Guardia, mi avevano lasciato vivere lì.
«Allora...» Cominciai. «Cosa ti porta qui?»
«Beh... È da tanto che non ci vediamo...» Non mi incantava. Sapevo che per quel che la riguardava avrebbe anche potuto non vedermi mai più, e lo stesso valeva per me. Le lanciai uno sguardo perplesso, che però ignorò.
«Stamane ero in giro con Hugo, il mio nuovo fidanzato, a fare acquisti. Tra noi le cose stanno diventando serie, gli volevo presentare il resto della famiglia, per cui l'ho portato alla locanda. La zia mi ha detto che eri in vacanza, che potevo pranzare con te se fossi venuta a chiamarti, e siccome l'ultima volta abbiamo avuto qualche divergenza, ho pensato che...» Ah, ecco. Aveva trovato un nuovo ragazzo da sbattermi in faccia. Ora si spiegava tutto.
Mi guardò intensamente, assumendo un'espressione malinconica mentre i suoi occhi scrutavano la cicatrice che mi attraversava il volto. Ecco un'altra ragione per cui odiavo Teaz. Era convinta che a causa di questo sfregio sarei rimasta sola per tutta la vita, e...
Beh, in realtà non mi dava fastidio che lo pensasse. Non mi ero mai curata dell'opinione altrui in vita mia.
«Cos'è quello sguardo?»
«Scusami, è che eri così bella, prima.» Disse, abbassando lo sguardo dispiaciuta.
Il problema è che Teaz sente il bisogno di rendermi partecipe di tutte le idiozie che si aggirano in quella sua zucca vuota.
La mia mano partì in automatico per uno schiaffo, ma fortunatamente ho più autocontrollo di mia cugina, e deviai traiettoria con noncuranza, fingendo di sistemarmi i capelli.
«Allora, ti va di venire?»
Sbuffai. «Dove?»
«A pranzo, con me, Hugo e la zia. Alla locanda...» Mi guardò, speranzosa.
Non ero entusiasta della proposta. Ma aveva menzionato mia madre, e chissà cosa le avrebbe detto se mi fossi rifiutata. In pratica, ero un ostaggio.
«E va bene...» Sospirai, poi mi schiarii la gola. «Mi spiace di essere stata un po' aggressiva, prima.» Però ti odio lo stesso.
Lei alzò le spalle. «Non ti preoccupare. So che non è colpa tua se sei così acida. È la solitudine che ti rende così...» Mi pose una mano sulla spalla in segno di compassione. Brutta stronza...
Raggiungemmo la locanda senza che le ebbi torto un capello, sebbene ogni qual volta che apriva bocca le mani mi prudessero sempre di più. Ero sul punto di tirarle il collo, ma allo stesso tempo sorpresa dalla mia stessa infinita pazienza. Forse avevo sbagliato strada, avevo le doti di un'oracola del tempio! Ah, ah, come no.
Ovviamente entrammo dal retro, direttamente in cucina, in modo da evitare i soliti avventori che avrebbero potuto invischiarci in discorsi senza fine. Teaz spalancò la porta teatralmente, gridando: «Hugo!»; cosa che colse alla sprovvista quel povero ragazzo che, girato di spalle, non l'aveva vista entrare. Riuscivo quasi a vedere la scena al rallentatore: Hugo che si girava sorpreso, mia cugina che prendeva la rincorsa e gli saltava in braccio quasi in lacrime, il bacio appassionato che si scambiavano quasi cercassero di mangiarsi la faccia a vicenda. Bleah. Cos'è, è appena tornato da una guerra? Manco non si vedessero da vent'anni!
Dopo un'eternità si divincolarono, imbarazzati. «Scusateci», la vocetta acuta di Teaz era a malapena udibile, tanto era flebile. «Ma, sapete, a volte perdiamo il controllo...» Si guardarono, innamorati. Io, in disparte, non potei fare a meno di roteare gli occhi. Mia madre invece assunse un'espressione commossa e disse: «Oh, non dovete preoccuparvi di nulla, cari. È bello vedere una coppia così appassionata. Mi ricordate tanto me e mio marito, tanti anni fa...» Santo cielo!
Teaz sembrò tornare in sé. «Runa, vieni, ti presento Hugo, il mio fidanzato.»
Mi avvicinai. Teaz era avvinghiata al braccio del suo ragazzo, un omone alto, dalle spalle larghe e massicce che la faceva apparire, se possibile, ancor più minuscola. Lui aveva i capelli scuri, corti, e ondulati. Non rappresentava esattamente la mia idea di bellezza, ma lo si sarebbe anche potuto definire carino, se non fosse stato per quell'enorme naso aquilino.
Teaz si rivolse a lui. «Hugo, Runa: mia cugina»
Tesi la mano. «Piacere.» Tuo.
Lui me la strinse, cauto, lanciandomi un'occhiata assassina. «Runa, eh? Teaz mi ha raccontato di te. Posso parlarti un secondo?»
«... Certo.»
Mi accompagnò in disparte continuando a guardarmi con astio. Ma che voleva? Provai ad alleggerire la tensione.
«Così tu avresti rubato il cuore di Teaz...» Accennai un sorriso, che però non venne ricambiato. Questo tizio stava iniziando a irritarmi.
«Senti, non ho idea di chi tu ti creda di essere, ma Teaz mi ha detto a sufficienza perché possa capire che persona squallida tu sia in realtà.» Mi aggredì lui. Lo guardai torva, le labbra strette in una linea sottile.
«Di. Che. Diamine. Stai. Parlando?» Questo squilibrato non vale la pena per omicidio, Runa, mi rammentai.
«Non fare la finta tonta. Falla piangere ancora e non mi importerà se sei sua cugina o meno: te la farò pagare cara.» Mi fulminò con lo sguardo.
«Intesi?» No.
A cosa diamine si riferiva? Non avevo mai picchiato Teaz in vita mia, ma in ogni caso non l'avevo più vista da... Oh. No, non poteva essere così scemo. L'ultima volta che avevo visto mia cugina era stato sei mesi prima, in occasione della mia nomina come Guardia. Avevamo litigato furiosamente, ed era finita inevitabilmente con lei in lacrime. Non ci eravamo più viste da allora, ma erano passati mesi e non era certo stato così grave come lo dipingeva Hugo. Forse tutte quelle manie da principe azzurro gli avevano fatto perdere il contatto con la realtà.
Ma poi, chi cazzo lo conosce, questo?
«Evidentemente no.» Risposi, acida. «Sappi che nessuno mi minaccia, meno che mai senza una valida ragione. Quindi, invece di dar fiato alla bocca tanto per fare, cerca di evitare che io ti faccia saltare i denti, per favore.»
Mi allontanai irritata, lasciandolo a sibilare un indispettito: «Io ti ho avvertita» nella mia direzione. Patetico.
Mi rivolsi a mia madre: «Mamma, credo sia meglio ci mettessimo subito a tavola...» Levato il dente, levato il dolore, giusto?
«Oh, sì certo, tesoro. Voi iniziate pure a sedervi, io purtroppo sono molto impegnata qui e non credo di potervi tenere compagnia...»
La fissai sbigottita. Cosa?! Un intero pranzo, sola con le persone più stupide che conoscevo? A fare da terzo incomodo? Dovevo aver sentito male.
«Mamma, non...» Cominciai, ma venni subito interrotta.
«Hugo, Teaz, venite!» Li chiamò. «Vi accompagno a una tavolo isolato, così potrete mangiare tranquilli.»
«Non credo sia il caso...» Ritentai in un sussurro.
«Fantastico!» Trillò Teaz, affiancandomi. Già, fantastico, come no.
«Non posso.» Dissi io. «Mi sono appena ricordata che ho... Un impegno. Tipo, ora. Subito.»
Mia cugina alzò un sopracciglio. «Pensavo fossi in vacanza. Che genere di impegno è?»
Mi guardai intorno innervosita. Non ero mai stata brava a mentire.
«Già, che impegno è?» Hugo sembrava compiaciuto. Oddèi. Forse pensava che fossi spaventata dalle sue vane minacce. Non sia mai.
«Nulla che non possa rimandare.» Sibilai a denti stretti.
Nel prossimo capitolo:
Come se non bastasse dover affrontare un intero pranzo sola con la TEAGO (capitemi), Runa dovrà gestire una telefonata improvvisa che le porterà novità piuttosto... inaspettate.
Riuscirà ad arrivare alla fine senza mai ricorrere alla violenza?
(No.)
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