Capitolo Ventuno

La Madre Superiora se ne andò subito dopo, e la catenina che aveva restituito a Selvaggia finì a far compagnia al paio di orecchini che le aveva regalato Sebastiano Caruso, dentro al carillon che teneva in bella vista in camera sua.

Ben presto si dimenticò sia di quell'oggetto che della parole che le aveva detto, presa com'era dalla sua vita e dai suoi studi.

***

"Che cosa vorresti per i tuoi diciassette anni, tesoro?"

Michele posò il tovagliolo dopo essersi pulito la bocca.

"Non posso credere che devi ancora comprare il mio regalo. Il mio compleanno è domani!"

Michele sorrise e scosse la testa. "Ormai mi conosci troppo bene."

La ragazza si alzò dal suo posto e andò a sedersi sulle sue ginocchia.

"Non mi importa quale regalo tu mi abbia preso, mi basta tutto quello che ho già."

"Vuoi dirmi che non ti piacerebbe quella borsa che va tanto di moda tra voi ragazze in questo periodo?"

Selvaggia sgranò gli occhi, estasiata: "Mi hai comprato una J.bag?"

Michele iniziò a ridere, facendola sobbalzare sulle sue ginocchia.

"Può darsi!"

Entusiasta, gli gettò le braccia al collo. "Grazie, grazie! È bellissima!" Si staccò e assunse un'espressione assorta. "Di che colore è? Perché se è quella viola so già con cosa metterla, altrimenti potrei sempre trovare degli abbinamenti..."

La risata del padre le fece scemare il soliloquio.

"Guarda che non è detto che sia quella. Ho solo chiesto se ti piacerebbe riceverla in regalo."

Il broncio su quel faccino lo fece scoppiare di nuovo a ridere.

***

Il telegiornale alla TV mostrava un fatto di cronaca in cui un ragazzo, con l'aiuto di un paio di amici, aveva ucciso i propri genitori per riscattarne l'eredità, senza manifestare alcun segno di pentimento. Selvaggia rimase colpita da quel fatto, e dopo il resoconto del giornalista, sembrò totalmente assorta nei suoi pensieri. Guardò il padre, vicino a lei con un libro in mano, e assunse un'espressione strana.

"Cosa prevede la legge per un reato simile?"

La domanda spinse l'uomo ad abbassare il libro e a prestare tutta la sua attenzione alla figlia.

"Beh... Ci sono sempre molti fattori di cui tenere conto. In questo caso gli hanno dato trent'anni, il massimo della pena, ma anche la semi infermità mentale. Ma perché me lo chiedi?"

"No, niente." Borbottò. " Ero solo curiosa."

Michele restò perplesso, ma tornò a leggere il suo libro.

"Ma alla fine la signora Margherita perché è stata dichiarata colpevole al posto mio?"

L'uomo lasciò subito perdere la lettura e abbassò di nuovo il libro. Si aspettava questa domanda. Ripose il libro e fece sedere la figlia sulle proprie ginocchia.

"In che senso al posto tuo? Se è stata dichiarata colpevole da una giuria e dalla legge italiana vuol dire che lo era. Non tu."

"Sì, ma... insomma..." Selvaggia iniziò di colpo a balbettare e abbassò lo sguardo, tutto d'un tratto incapace di guardare il padre negli occhi. "Alla fine... lei non ha..." balbettò ancora e si zittì.

Quel caso che stavano trattando in televisione le aveva fatto ricordare il suo e un forte senso di colpa l'aveva invasa, come ogni volta che qualcosa glielo faceva ricordare.

"Tu avevi solo dodici anni all'epoca," le alzò il viso per cercare di tranquillizzarla anche con lo sguardo, "e lei una donna matura che sapeva come convincere una ragazzina confusa e impaurita a fare una cosa così grave che non sapeva bene cosa fosse. La signora Caruso, cosa che forse tu non sai, aveva seguito alcuni studi sulla manipolazione mentale, sapeva manipolare le persone a suo favore. E poi le prove che alla fine l'hanno inchiodata non potevano essere confutabili. Lei aveva da guadagnarci dalla morte del marito, non tu. Non è stata colpa tua."

"Sì ma... materialmente sono stata io a sparare... lei non c'era..."

"Oh, no, tesoro." La abbracciò stretta, confortandola. "Quella donna ha agito in maniera meschina sia con suo marito che con te. Tu avevi solo dodici anni... non avresti mai potuto comprendere fino a che punto ti stava manipolando. Non è colpa tua."

Selvaggia si lasciò stringere e consolare da quelle braccia forti e robuste, respirando profondamente, anche se una lacrima riuscì a sfuggirle. Con dolcezza, Michele gliela asciugò con una carezza.

"Tu sei stata solo una vittima delle circostanze, una marionetta inconsapevole nelle mani di una donna dall'animo cattivo. Non hai colpe, tesoro mio!"

Le parole del padre riuscirono a tranquillizzarla. Finora era stata forte, anche nei momenti in cui il ricordo di quell'avvenimento la destava di notte disturbandole il sonno, ma era riuscita ad andare avanti senza neanche l'aiuto di uno psicologo. In cuore suo l'amore di quel nuovo padre le bastava per andare avanti. Deglutì lasciando che Michele le asciugasse altre lacrime silenziose, e poi finalmente annuì.

"Va bene..."

Lasciò che le accarezzasse i capelli, esattamente come faceva ogni qualvolta ne aveva bisogno. Ormai aveva diciassette anni, ma farsi coccolare da lui era un'abitudine a cui non voleva rinunciare tanto facilmente.

*

Dal canto suo Michele non si sarebbe mai stancato di farlo. Anzi, gli sarebbe piaciuto enormemente riuscire a scacciare dall'animo della figlia ogni minimo sentimento negativo che quella storia le aveva lasciato; nonostante la gioia di vivere e il costante sorriso, pretendere che un'esperienza simile non le lasciasse delle cicatrici era un'utopia, sapeva che per estirparla del tutto ci sarebbe voluto molto, moltissimo tempo, e che alcune tracce le sarebbe comunque rimaste, indelebili.

Dopo alcuni minuti in cui i due rimasero in silenzio godendosi la vicinanza l'uno dell'altra, Selvaggia alzò finalmente il capo e lo guardò.

"Mi piacerebbe studiare per diventare avvocato come te."

L'uomo la fissò sbalordito, anche se dentro di sé sapeva che il suo interessamento avrebbe portato a quello, furono comunque vparole inaspettate. Averla tra le sue braccia era per lui un vero e proprio dono dal cielo, solo il signore conosceva quanto avesse sognato quel momento, sapere che era intenzionata a seguire il suo esempio lo caricò di un'enorme sentimento di orgoglio.

"Sei sicura? Voglio dire... ci vogliono molti anni di studi, molti lavori sottopagati, è faticoso—"

"Sì, lo so," lo interruppe lei, "ma sono decisa a voler studiare per aiutare gli altri, proprio come fai tu. È da tanto che ci penso, e ho pensato di dirtelo adesso, dato che devo decidere cosa fare dopo la maturità."

Michele tornò a stringerla a sé, realizzando che, in quel momento, la sua vita era molto più bella di quanto forse si meritava.

"Sono davvero fiero di te!"

***

All'età di diciannove anni il sogno di Selvaggia stava finalmente per avverarsi. Le sue valigie erano pronte e ogni preparativo già terminato. Non stava più nella pelle, stava per partire per la città di Catania, dove avrebbe seguito gli studi di Giurisprudenza all'Università, lo stesso posto in cui suo padre adottivo aveva studiato e aveva conseguito la laurea, portando poi prestigio allo stesso ateneo grazie alla fama a cui era arrivato.

Selvaggia sapeva che molto probabilmente avrebbe avuto un trattamento di favore da parte del personale universitario per questo motivo. Aveva infatti espresso il desiderio di studiare in un altro luogo, ma Michele aveva insistito talmente tanto che non aveva potuto che accettare.

"Sei sicura che non vuoi almeno che ti accompagni?" Le domandò per la milionesima volta.

"Ne abbiamo già parlato, sai come la penso. Ho accettato di andare a Catania, ma voglio essere indipendente."

"Avanti, tesoro, sarai da sola in una città sconosciuta, dove non conosci nessuno. Lascia che almeno—"

"Ho detto di no, papà!" Lo interruppe, categorica. Sorrise per addolcire quel rifiuto e gli si avvicinò per mettergli le mani sul petto. "So che vuoi proteggermi, come hai sempre fatto, ma ormai sono una donna e voglio imparare a volare da sola."

Lui la osservò con lo sguardo commosso e dispiaciuto. "Lo so che ormai sei una donna, ma resterai sempre il mio tesoro."

"Lo so..."

"Ma hai ragione..." sospirò rassegnato, "devi imparare a volare da sola e uscire dal nido."

"Mi lascerai andare da sola come fanno tutti gli altri ragazzi della mia età?" Michele annuì. "Grazie." Sorrise raggiante e si allungò per stampargli un bacio sulla guancia.

Stava finalmente per diventare grande. La sua vita stava per prendere una nuova piega e farla avanzare verso una vita indipendente, da adulta, le sembrava tutto possibile e bellissimo.

***

Non aveva una macchina, anche se aveva preso la patente appena compiuto diciotto anni, quindi, una volta scesa dal treno, si recò immediatamente alla stazione dei taxi, trascinando dietro di sé due valigie con le ruote. Il tassista, un uomo di circa quarant'anni con una barba incolta e una pancetta da ubriaco, l'aiutò mettendole le valigie nel bagagliaio e aprendole la portiera posteriore.

Guardava la città scorrerle davanti agli occhi cercando di frenare l'emozione, mentre il taxi la portava al suo nuovo appartamento. Era come se vedesse quella città per la prima volta, consapevole che finalmente stava camminando da sola. L'emozione di trovarsi lì senza nessuno, significava sapersi reggere sulle proprie gambe, significava diventare adulta. E anche se l'istinto le suggeriva di mettersi a saltare dalla felicità e a battere le mani come una bambina, fu capace di contenersi.

L'infanzia tormentata e difficile che aveva vissuto era diventata un ricordo sbiadito.

Mentre il taxi si avvicinava alla sua meta pregustava come sarebbe stata la sua vita con le ragazze che avrebbero diviso con lei l'appartamento. Sapeva che una delle due era la figlia dei proprietari, e con l'altra avrebbe diviso la camera da letto. Si immaginò con loro la sera davanti alla TV, intente a raccontarsi storie di ragazzi o ad aiutarsi reciprocamente nello studio.

Quando il taxi si fermò finalmente davanti al portone dell'appartamento, il cuore di Selvaggia sembrava impazzito. Il tassista l'aiutò a scaricare le valigie dall'auto e, dopo essersi fatto pagare, la lasciò da sola sul marciapiede. Afferrò entrambe le valigie, una per mano, e si attardò di fronte al portone, guardando la facciata maestosa di quel palazzo antico. Finalmente aveva la sensazione di essere come tutte le altre ragazze della sua età.

Con un respiro di incoraggiamento si avvicinò al portone e cercò nella sua borsetta il mazzo di chiavi che la padrona di casa le aveva dato quando era stata lì con suo padre per concludere il contratto di affitto. Provò tutte e tre le chiavi presenti nel mazzo prima di trovare quella giusta. La padrona le aveva mostrato ogni chiave e a cosa corrispondeva, ma in quel momento l'emozione le fece dimenticare ogni cosa. Entrò nel portone con un sorriso raggiante sulle labbra, che però si spense subito ricordando di colpo che l'ascensore era guasto e che avrebbe dovuto fare quattro rampe di scale a piedi. Osservò il cartello su di esso con una punta di frustrazione. Sospirò rassegnata e trascinò le sue valigie verso la prima rampa di scale, per rendersi conto che non avrebbe mai potuto trascinarle entrambe per tutte e quattro le rampe, era impossibile. Si guardò attorno e ne nascose una dietro l'ascensore, afferrò l'altra e se la trascinò su per i quattro piani, la lasciò di fronte al portone e tornò al pian terreno per recuperare la seconda valigia. Quando si ritrovò di fronte alla porta dell'appartamento con entrambe le valigie aveva il fiatone. Quelle scale erano dannatamente pesanti!

Inserì una delle tre chiavi nella toppa, già si era dimenticata quale avesse usato per aprire il portone del palazzo e non si accorse che stava usando proprio quella. Ancora col fiatone girò la chiave a destra e a sinistra senza risolvere alcunché, finché la porta non si spalancò, mostrando una moretta con dei lunghi capelli castani e una frangetta che ombreggiava in parte due dolci occhi colore nocciola. Si guardarono per un attimo a bocca aperta, finché quest'ultima non si riscosse.

"Scusa... ci conosciamo?"

Selvaggia chiuse la bocca di scatto, presa in contropiede. "Ahm... scusa, questo è l'appartamento dove ho affittato la camera—"

"Oh, scusami." La ragazza spalancò la porta e si fece di lato per farla passare. "Mia madre mi aveva detto che oggi sareste venute. Dovevo immaginarlo dato che hai le chiavi. Sei Selvaggia?"

"Sì... piacere di conoscerti." Entrò un po' impacciata.

"Scusa ancora... io sono Eleonora."

Le allungò la mano che lei strinse spingendo le valigie contro il muro dell'ingresso.

"Piacere di conoscerti."

"Vieni, ti faccio vedere la casa."

La precedette verso la cucina, dove l'aroma del caffè appena fatto le diede il benvenuto.

"Ho già visto la casa, e mi piace molto."

"Oh... ehm, hai ragione, sei già stata qui. Vuoi un caffè?" Eleonora era impacciata, stava facendo una gaffe dopo l'altra.

Selvaggia sorrise, sia per cercare di toglierla di impaccio che per essere una brava coinquilina.

"Sì, grazie."

Si sedé su una sedia del tavolo da cucina mentre Eleonora le diede le spalle. La vide trafficare con una macchina con le cialde ma prima che potessero rompere il ghiaccio con qualche parola sentirono scattare la serratura della porta d'entrata. Si spalancò e apparve una ragazza bionda e minuta, coi capelli corti, il naso all'insù e un borsone a tracolla più grosso di lei. Aveva l'espressione di chi aveva appena fatto le quattro rampe di scale di corsa, ma si riprese subito, chiudendo il portone con troppo slancio.

Le due ragazze in cucina rimasero per un attimo sbalordite nel vedere questa ragazzina così minuta trasportare con tanta disinvoltura un borsone così voluminoso.

Questa si guardò attorno, osservò le due valigie di Selvaggia con un'espressione tra il disgusto e il borioso e si voltò verso la cucina.

"Salve ragazze." Esordì entrando nella stanza con un sorrisetto.

Eleonora le sorrise, gioviale. "Manuela, sei arrivata giusto una manciata di minuti dopo la tua nuova coinquilina. Ti presento Selvaggia."

La biondina, senza risponderle minimamente, osservò la nuova arrivata con due occhietti vispi e canzonatori "Quindi tu dovresti essere quella che dividerà la camera con me." Sembrò soppesarla con attenzione dall'alto verso il basso, squadrando la sua figura, dai vaporosi capelli rossi ai pantaloni neri aderenti. Una camicia a scacchi rossi e neri copriva le sue curve aggraziate, velando un fisico molto snello e decisamente armonioso. Sorrise. "Ci sarà da divertirsi..."

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