Capitolo Ventitré

Pochi giorni dopo iniziarono i corsi all'università e ogni mattina di Selvaggia divenne un continuo correre da un'aula all'altra dell'ateneo, alla ricerca di seguire tutti i corsi a cui si era iscritta.

Era appena terminata la prima ora di diritto, il professore non aveva ancora chiuso il libro che sfrecciò fuori dall'aula sotto gli occhi sbigottiti dei compagni, mentre controllava sul diario la direzione da prendere per la lezione successiva. Si bloccò di colpo in mezzo al corridoio e riprese subito a correre dalla parte opposta, rischiando di travolgere un ragazzo che si era trovato sulla sua strada. Alzò le mani per non andargli a sbattere contro, slittò di lato e ritrovò l'equilibrio prima di cadere a terra.

***

La sveglia suonò di buon ora per l'ennesima volta e con un grugnito infastidito Manuela si coprì il volto col cuscino.

"Ma perché ti svegli così presto?" Borbottò.

"Non posso perdere del tempo prezioso quando posso studiare."

Un verso contrariato attraversò il cuscino della bionda e accompagnò la sua uscita dalla camera da letto. Si gettò sotto la doccia e si lavò velocemente, altrettanto velocemente si vestì con quello che la sera prima si era preparata e uscì di casa. Come ogni mattina.

Entrò nel piccolo bar di fronte alla facoltà e il barista, un ragazzo poco più grande di lei, la accolse con un sorriso.

"Buongiorno, Selvaggia. La tua colazione arriva subito!"

Si sedette al tavolino più vicino alla porta e il ragazzo le portò il suo cappuccino e la sua pasta dolce, raccolse i soldi che gli aveva lasciato sul tavolino e tornò dietro al bancone, salutandola nuovamente con un sorriso.

Dopo pochi minuti era di nuovo nel corridoio della sua facoltà, alla ricerca della sua aula per la prima lezione della giornata. Entrò un po' trafelata, la lezione era già iniziata e il professore alzò uno sguardo sorpreso e infastidito su di lei. Appena la riconobbe le sorrise.

"Signorina Giordano, la prego, si sieda." Aspettò che andasse al proprio banco e si schiarì la gola. "Sono felice di vedere la figlia di Michele alla mia lezione. Spero solo che imparerà a essere più puntuale, la prossima volta."

Selvaggia abbassò lo sguardo. "Mi dispiace."

Il professore riprese la lezione come se nulla fosse.

Come si era aspettata sin dall'inizio, la fama del suo padre adottivo l'aveva preceduta, quei professori che non le facevano mai pesare i suoi piccoli ritardi erano i compagni di studio di quel padre dalla fama ingombrante.

Si chiese se fosse così famoso per il fatto di aver difeso diversi pentiti mafiosi che non godevano affatto di una buona reputazione. Ma in fondo si aspettava un trattamento simile andando a studiare lì.

***

Entrò in casa sbuffando di fatica. Nella solitudine di quell'appartamento sempre meno estraneo, si diresse nella sua stanza deserta e si mise subito a ripassare alla scrivania le lezioni che aveva appena seguito in facoltà.

La porta della stanza si aprì nuovamente e Manuela tornò dal suo giro che faceva dopo i corsi.

"Si può sapere quanti corsi frequenti? È in pratica da quando ti conosco che ti ho sempre vista china su quei libri. Ma non ti diverti mai?"

Selvaggia rimase sconcertata, finora non aveva mostrato molto interesse nei suoi confronti; era la prima volta che esprimeva un pensiero su ciò che la riguardava.

"Beh... non credo che sarebbe da saggi procrastinare sullo studio. Ritengo che per me sia molto importante imparare il più possibile che—"

"Ma così non puoi dire di aver vissuto veramente!" La interruppe, già stanca di quel discorso da secchiona. "Cavolo, hai diciannove anni, dovresti uscire tutte le sere e conoscere gente nuova in continuazione! Invece ho paura che quando avrai raggiunto la laurea uscirai di qui con la gobba!"

Selvaggia si portò istintivamente una mano sulle scapole. "Con la gobba?"

"In senso figurato!" chiosò con enfasi.

"Ah..." Sembrò rifletterci brevemente e tornò a rivolgere la sua attenzione ai libri. "Beh, mi dispiace ma che figura ci farei se non riuscissi a ottenere la laurea entro il tempo minimo quando mio padre si è laureato qui nel più breve tempo possibile e con la lode?"

Nonostante la risposta che le aveva dato dentro di sé in parte le dava ragione, ma l'indole di essere una brava studiosa era più forte.

*

Manuela la osservò incredula mentre tornava a studiare ignorandola completamente. Se lo era sentito dal primo momento che quella ragazza era un tipo con la puzza sotto il naso e l'arroganza da figlia di papà; esattamente il tipo di persona che lei odiava di più. Decise di disinteressarsene e finì di vestirsi, uscì nuovamente di casa senza nemmeno salutarla. Fortuna che a parte la stanza non aveva niente a che spartire con la rossa!

*

Selvaggia pensava la stessa cosa della sua coinquilina: pur non avendo avuto occasione di conoscerla profondamente, non le piaceva. All'inizio le sembrava uno spirito libero e leggero, con il passare del tempo era diventata una sorta di anarchica saccente. Sembrava sempre saperne più degli altri su tutto e, anche se non le aveva mai detto niente, non le erano sfuggiti gli sguardi increduli e dubbiosi che le rivolgeva quando pensava di non essere vista. Si era piuttosto sorpresa quando le aveva parlato, quella sera. Passava la maggior parte del tempo fuori casa e, quando c'era, non si interessava mai né a lei né a Eleonora. Quest'ultima non se ne faceva un problema, la conosceva ormai da tempo e l'aveva accettata così, per lei l'importante era che le pagasse regolarmente l'affitto.

Ad ogni modo per Selvaggia rimaneva un problema, se tale si poteva definire, soltanto in quei momenti in cui la incontrava in casa. Per il resto della giornata Manuela era l'ultimo dei suoi pensieri.

***

Il campanello sulla porta del bar avvisò il  giovane barista del suo ingresso, le rivolse un cenno sbrigativo per salutarla, si voltò e preparò un caffè per una donna con il pellicciotto in piedi davanti al bancone.

Selvaggia spostò lo sguardo tra i vari tavoli del bar finché Ludovica, Paola e Daniela attirarono la sua attenzione alzando con eleganza tre braccia affusolate e adornate con braccialetti tintinnanti e orologi costosi. Sorrise e si sedette insieme a loro.

"Buongiorno!"

"Buongiorno a te, Selva." Risposero in coro Paola e Daniela.

Ludovica le piazzò dinnanzi un cappuccino e un piattino con la sua pasta dolce preferita.

"Te lo ricordi, vero, che hai promesso che oggi saresti venuta con me a quella lezione di psicologia?"

Selvaggia sospirò teatralmente ma inzuppò la pasta nel cappuccino. "Certo... Ma che sia la prima e l'ultima volta, te l'ho detto. Sto saltando una lezione di storia fondamentale per assecondarti!"

"Ma se non è nemmeno nel tuo indirizzo di studi!"

"Non importa!" Diede un morso alla pasta e masticò a bocca chiusa. "Per me è importante anche quello."

Non le sfuggì l'occhiata canzonatoria che le altre tre si scambiarono, ma non si sentì derisa da loro anzi, fece una linguaccia che venne accolta con risatine e battutine sulla sua infantilità.

"Dopo questo primo mese dovremmo conoscerti, ormai," Paola era quella con i modi più garbati. "Invece non abbiamo ancora capito quanto tu sia speciale ma matta come un cavallo!"

Le altre ridacchiarono per quelle parole. Ma il tempo scandì la fine della colazione e tutte e quattro si alzarono lasciando le tazze sul tavolino.

"A chi tocca pagare, oggi?" Domandò Ludovica, scuotendo i corti capelli neri, consapevole che non era il suo turno.

"A me!"

Daniela si avvicinò alla cassa mentre le altre si dirigevano fuori dal bar.

Una volta tra i corridoi dell'ateneo si divisero, ognuna andò per la propria direzione. Ludovica prese Selvaggia sotto braccio.

"In fondo se consideri bene sono informazioni che potrebbero sempre esserti utili in futuro." Riprese a parlare di psicologia. "Metti che dovrai difendere qualcuno con dei problemi psichici, un'infarinatura di psicologia può tornarti utile..." 

Selvaggia le sorrise, un po' divertita dal suo continuo sproloquio e un po' stanca dallo stesso, ma alla fine la mora era così dolce e carina che non poteva rifiutare. Quegli occhioni enormi in quel viso minuto la rendevano come un cucciolo da accudire, pur avendo la stessa età era piuttosto bassa, soprattutto in paragone con lei che era più alta della media. Quella verve effervescente e la parlantina sciolta avevano fatto subito breccia nel suo cuore.

"E poi è un corso frequentato da un sacco di ragazzi carini..." aggiunse alla fine arrossendo leggermente.

A questo punto Selvaggia si bloccò prendendola per un polso, provocando un brontolio nervoso da parte del ragazzo che stava camminando dietro di loro e che riuscì a schivarla per un soffio, evitando di andarle addosso. La sua amica non aveva mai menzionato i ragazzi in quel senso e sentirla dire una frase del genere la allarmò.

"Ti piace un ragazzo di questo corso?"

Ludovica arrossì ancora di più e si guardò attorno, come per verificare che nessuno avesse udito quella domanda.

"Shhh" sibilò soffiando tra i denti, si avvicinò e sussurrò: "Non è iscritto a questo corso, ma in pratica lo segue come se lo fosse."

Afferrò nuovamente il suo braccio e la condusse nell'aula, senza darle modo di ribattere o rifiutare.

Selvaggia rimase interdetta nel vedere quanti ragazzi avevano già preso posto; la psicologia non le era mai interessata e non pensava che invece potesse suscitare tanto interesse. Seguì l'amica fino a due banchi al centro, stranamente vuoti, e si sedette sentendosi osservata. Eppure, nessuno la stava guardando. Non ebbe nemmeno il tempo di chiedere alla sua amica quale fosse questo ragazzo che aveva attirato la sua attenzione che entrò il professore, seguito da due ragazzi che entrarono precipitandosi a sedere a due posti vuoti.

Il professore era un uomo piuttosto alto e ben piazzato, con dei lunghi capelli biondi con qualche filo bianco trattenuti sulla nuca in un codino. Si presentò con il nome di Camusso e, senza ulteriori indugi, iniziò subito la sua lezione.

Afferrò un gesso e sulla lavagna alle sue spalle scrisse: Assenza di coscienza.

"Secondo voi è possibile compiere azioni senza essere consapevoli di compierle?"

Iniziò a esporre l'argomento in un modo semplice e chiaro, elencando alcuni casi in cui potevamo compiere azioni senza averne le intenzioni, come ad esempio cogliere una canzone che passa alla radio mentre siamo intenti a fare tutt'altra cosa come studiare, o a percepire un messaggio subliminale, come quello che mettono nelle pubblicità, per portarci a comprare un determinato prodotto.

Selvaggia stava quasi per rispondere che era impossibile ma dalle sue parole ne rimase affascinata, così come sembrava affascinata l'intera aula attorno a lei, non si sentiva volare una mosca.

Il professore elencò quelle situazioni in cui molti si provocano volontariamente l'assenza di coscienza per compiere azioni che altrimenti non compirebbero mai, come nel caso di assunzione di alcolici o di sostanze stupefacenti.

Una voce maschile forte e profonda proveniente dal fondo dell'aula attirò l'attenzione di tutti, compresa quella di Selvaggia, che si ritrovò a fissare un ragazzo con dei lunghi capelli castani fino alle spalle e l'aria strafottente di chi crede di saperne sempre più degli altri.

"Vuole forse dire che chi commette un crimine sotto gli effetti dell'alcool o della droga, come un omicidio o una violenza sessuale, non è soggetto allo stesso tipo di trattamento da parte della legge di chi commette quello stesso crimine volontariamente?"

Il professore si schermì gli occhi con una mano, come se dovesse proteggersi dai raggi di un sole che non c'era, e guardò verso il fondo dell'aula.

"Signor Siriani! È un piacere averla nel mio corso anche quest'anno! Ha intenzione di seguirlo per intero, questa volta?"

Il ragazzo sorrise come a voler minimizzare le parole del professore. "Risponda alla domanda."

Camusso lo guardò per alcuni istanti con un sorrisetto divertito. "Certo che no! Chi si droga o si ubriaca per poter commettere azioni deplorevoli non deve aver nessun trattamento di favore da parte degli organi di legge."

"E non crede che, invece, dovrebbero inasprire le sanzioni per chi commette un crimine in quelle condizioni?"

I due continuarono a disquisire per diversi minuti, lasciando l'intera aula ad assistere al loro scambio di opinioni, ma per Selvaggia non fu la stessa cosa. Ad un certo punto, senza capire quando, aveva smesso di seguire quel dibattito e si era concentrata esclusivamente sulla figura di quel giovane dalla parlantina sciolta e da quel modo di esprimersi maturo e intelligente. Senza contare come quei capelli lunghi lo rendevano estremamente affascinante, rendendo il suo sguardo serio e al tempo stesso misterioso.

Mentre tutti gli altri si erano voltati per continuare a seguire il professore, Selvaggia era rimasta a guardarlo completamente catturata da quella aura di mistero. All'improvviso i loro sguardi si incrociarono per appena due secondi e il cuore di Selvaggia prese a correre frenetico, costringendola a voltarsi di scatto.

Si sentì le guance prendere fuoco. Avvertì il bisogno inconsapevole di voler conoscere quel ragazzo. Voleva sapere chi fosse e perché si era rivolto in quel modo al professore, trattandolo come un suo pari.

Ludovica le si accostò all'orecchio. "È lui il ragazzo di cui ti parlavo. Carino, vero?"

Sbatté le palpebre sotto quel sorrisetto furbo... quel ragazzo che aveva attirato la sua attenzione, come mai nessuno era riuscito a fare prima, era il ragazzo che piaceva a Ludovica?

Non voleva crederci!

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