Capitolo Venti

L'istituto scolastico che si ergeva al di là del finestrino era enorme ai suoi occhi. Scese dall'auto intimorita dalla situazione: cominciare di nuovo tutto dall'inizio dopo quello che era successo era davvero dura per lei.

Tutt'attorno a sé, lungo la proprietà dell'istituto e dentro il cancello dello stesso, gruppi di ragazzi vestiti con la sua stessa divisa chiacchieravano e scherzavano rumorosamente. Sembrava che non la vedessero, come se fosse diventata invisibile. Sperò che continuassero a non vederla per il resto della giornata.

Vincenzo scese dall'auto e la salutò, incoraggiandola a entrare oltre quel cancello.

"Le auguro una buona mattinata, signorina. Sarò qui quando uscirà."

Selvaggia annuì con poca convinzione e chiuse lo sportello della Porsche dietro di sé. Poco dopo il rombo del motore echeggiò attorno a lei, attirando l'attenzione dei ragazzi più vicini. Sotto i loro occhi curiosi tentò di farsi piccola piccola. Sentì l'auto allontanarsi lungo la strada e si fece coraggio. Avanzò titubante e oltrepassò quel dannato cancello.

Cercò di non badare agli sguardi curiosi che la osservavano e alle bocche che sussurravano alle sue spalle, coperte dalle mani per non farsi sentire. Si fermò vicino all'entrata, in un punto appartato e sgombro da altri ragazzi, e lì attese che il suono della campanella l'avvertisse dell'inizio delle lezioni. Quando si fece sentire si incolonnò insieme a tutti gli altri ragazzi per entrare dal portone principale, cercando di nascondersi nella folla. Quando mise piede nell'atrio della scuola si accostò lungo il muro per consultare il diario dove aveva scritto l'aula in cui avrebbe seguito la sua prima lezione. Alzò di nuovo lo sguardo per cercare la direzione da prendere e un magone le si fermò in fondo alla gola, una ragazza dai lunghi boccoli biondi la guardava si traverso, chiacchierando a mezza bocca con la sua compagna, coprendola con una mano per non farsi vedere.

Sapeva di cosa stavano parlando, glielo leggeva negli occhi, ma cercò di non badarci e proseguì per raggiungere l'aula a lei destinata. A pochi centimetri da quelle due, che continuavano a guardarla e a parlottare tra loro, non poté fare a meno di sentire la loro conversazione:

"Ti dico che è lei, è quella che ha ucciso il padre. Con quei capelli è difficile dimenticarla..."

Il magone le strozzò la gola e alcune lacrime minacciarono di esondare. Non volle dare spettacolo e continuò a camminare, se pur con difficoltà. Deglutì un rospo amaro e sulla sua sinistra si materializzarono, come per magia, i bagni femminili. Si precipitò lì dentro per cercare di calmarsi. Fortuna volle che non trovò nessuno e permise a qualche lacrima di solcarle il viso. Si asciugò e si fece forza.
Lei era più forte di quelle ragazzine!

***

Il suono della campanella sancì la fine delle lezioni e nel cuore di Selvaggia sembrò sollevarsi un peso opprimente. Insieme a tutti gli altri si diresse all'uscita, mescolandosi tra loro e sperando di non incontrare nuovamente qualcuno che l'avrebbe riconosciuta. Non credeva che così tanti ragazzi potessero ricordarsi di quella vicenda, e nemmeno che riuscissero a riconoscerla; per tutta la mattina non aveva fatto altro che nascondersi da sussurri sgradevoli e dita puntate.

Farsi delle amicizie era del tutto impossibile, lì dentro.

Appena notò Vincenzo in piedi di fronte alla Porsche di suo padre sentì nuovamente gli occhi farsi lucidi. Avrebbe voluto che fosse Michele a venirla a prendere, ma purtroppo era una cosa poco fattibile dato il suo lavoro.

Si avvicinò con ancor meno entusiasmo e, dopo un breve saluto tra lei e l'uomo, si chiuse nel suo mutismo e salì in macchina. Dopo pochi secondi anche lui montò al posto di guida e mise in moto, partendo per tornare alla villa.

Durante la strada di ritorno Selvaggia si convinse che almeno lo avrebbe trovato a casa e che avrebbe potuto sfogarsi con lui davanti a un bel piatto di pasta fatto da Carmen.

Ritrovata la speranza, quando Vincenzo parcheggiò l'auto sotto il pergolato della villa, scese di corsa senza aspettare che le aprisse lo sportello e corse in cucina, spinta dalla voglia di sfogarsi con lui. Ma quello che vi trovò fu solo Carmen, intenta come sempre a preparare la tavola, ma solo per lei.

Appena si accorse della sua presenza, la donna alzò su di lei un viso sorridente.

"Ciao, Selvaggia! Come è andato il primo gio—."

Si bloccò di colpo appena vide gli occhi della ragazzina alla ricerca di suo padre. Abbassò le spalle e assunse un'espressione dispiaciuta.

"Tuo padre purtroppo doveva lavorare. Tornerà stasera, così potete stare un po' di tempo insieme."

Lei ricacciò indietro le lacrime per l'ennesima volta e si mise a tavola. Si chiese come avrebbe mai potuto affezionarsi a quell'uomo se non c'era mai.

***

Si stiracchiò sulla sedia della sua scrivania, arcuando indietro la schiena e le braccia. Fuori dalla finestra si era fatto buio e non se ne era nemmeno accorta. L'orologio al polso segnava l'ora di cena e ancora Carmen non l'aveva chiamata. Strano.

Chiuse tutti i libri e i quaderni dove stava studiando, forse la lezione l'aveva talmente presa da non aver sentito la sua voce, e uscì dalla sua stanza, scendendo le scale per andare in sala da pranzo.
Con sua sorpresa, Michele era già seduto al suo posto, intento a leggere il giornale, senza accorgersi del suo arrivo. Lo fissò a lungo restando in piedi sulla soglia, e quando lui alzò lo sguardo e la vide, un sorriso sincero si distese sulle sue labbra.

"Ciao, tesoro. Spero che tu abbia fame. Ti stavo aspettando per poter dire a Carmen di servire la cena."

Un sorriso di sollievo illuminò il viso di Selvaggia che si precipitò al suo posto a tavola e si stese il tovagliolo sulle gambe.

"Non volevo iniziare senza di te," Michele posò il giornale sulla sedia accanto. "So che ormai le lezioni che ti danno sono impegnative e non volevo interromperti."

"Grazie!"

La felicità che quella situazione le donava non poteva quantificarla. Erano veramente poche le volte in cui potevano cenare insieme, perciò era come una festa quando succedeva.

Carmen entrò con due piatti di minestra di patate e cavolo, che posizionò davanti ai due.

"Buon appetito." Sorrise e si allontanò.

Michele fece dapprima i complimenti per la bontà del piatto, che anche Selvaggia gustò con appetito, e iniziò a parlare del suo lavoro. Aveva appena concluso con un cliente importante ed era di buon umore. Selvaggia ebbe finalmente la possibilità di fargli una di quelle domande che si teneva sulla punta della lingua dall'inizio:

"Perché hai deciso di diventare avvocato?"

Si sentiva grande ad aver avuto il coraggio e l'opportunità di fare quella domanda, specialmente per l'espressione compiaciuta dell'uomo, che la guardò sorridendo.

"Ho sempre creduto che tutti hanno il diritto di ricevere la giusta difesa in certe occasioni, anche chi sembra essere del tutto colpevole." Si forbì la bocca col tovagliolo di stoffa. "Quando ho iniziato a studiare all'università feci comunella con un ragazzo che studiava giurisprudenza come me, e insieme ci mettemmo alle calcagna di un vecchio boss della mafia accusato di essere il mandante dell'attentato a un magistrato importante." Sembrò perdersi nei suoi ricordi e assunse un'espressione sognante. “Stavamo anche per conoscere addirittura i suoi figli, che però abitavano fuori dalla Sicilia. Ma io a quei tempi ero un giovane ingenuo, innamorarmi in quel periodo fu una mossa davvero poco astuta da parte mia—”

Questa ultima frase fece rizzare le antenne alla ragazzina.

"Eri innamorato?" Alzò due occhi luminosi su di lui. "E lei che fine ha fatto? Chi era, la tua ragazza o era solo una cosa passeggera?"

Fece queste domande d'istinto, estremamente curiosa di conoscere questo lato della vita di un padre ancora del tutto sconosciuto su molti fronti. Ma l'espressione di lui le fece rimpiangere questa curiosità.

Dapprima restò ammutolito, come se stesse pensando attentamente a una risposta da darle, non riuscendoci, si alzò dalla tavola pulendosi di nuovo la bocca con il tovagliolo.

"Ti chiedo perdono ma tutto d'un tratto non mi sento molto bene, devo stendermi un pochino."

Senza altri preamboli, uscì dalla sala da pranzo diretto nella sua stanza, lasciando la ragazzina a finire di cenare da sola.

Selvaggia si chiese ripetutamente anche in seguito perché mai avesse avuto quella reazione a una domanda così semplice come la sua, ma non riuscì a darsi nessuna risposta. O meglio, se ne diede una marea, ma tutte ipotetiche, dato che suo padre non ne aveva mai voluto più parlare.

***

Vincenzo parcheggiò la Porsche sotto il pergolato, come sempre, e Selvaggia scese dalla macchina sovrappensiero, senza aspettare che lui le aprisse lo sportello. Ormai aveva preso quell'abitudine e non le andava di cambiarla per una stupida etichetta. Mica era la principessa sul pisello!

Si rifugiò subito nella sua stanza per togliersi il giaccone e lo zaino dalle spalle. Ben presto sarebbero iniziate le vacanze di Natale e non vedeva l'ora di passare le sue prime feste nella sua nuova casa con quella che considerava ormai la sua nuova famiglia.

Chiuse la porta con il piede, mentre si sfilava entrambe le spalline dello zaino e lo lasciava cadere malamente a terra, vicino alla scrivania. Si srotolò la sciarpa dal collo e si abbassò la cerniera del cappotto quando si accorse di un piccolo pacco regalo poggiato sul suo letto. Incuriosita si avvicinò, lo soppesò sul palmo della mano, cercando di indovinare cosa contenesse.

Suo padre apparve sulla porta, senza fare rumore. "Consideralo un regalo di Natale anticipato."

Restò con le mani in tasca su quella soglia, sfoggiando uno dei sorrisi che Selvaggia adorava, quello in cui faceva brillare anche gli occhi. Si chiese distrattamente come mai fosse a casa a quell'ora, ma la curiosità del regalo fu più forte.

"Posso aprirlo?"

"Certo, è tuo!"

Con impazienza tirò un lembo del nastro bianco che lo avvolgeva, e strappò la carta argentata fino a svelare la scatola arancione del cellulare che aveva desiderato.

"È uguale a quello di Martina!" Esultò estraendolo dalla confezione.

"Perché non la chiami? Ci ho già messo una SIM al suo interno, pronta per essere usata."

Non stando più nella pelle, accese il dispositivo e ammirò lo schermo che si illuminava ed emetteva la classica musichetta di avvio. Ma prima di poter chiamare l'amica si tuffò tra le braccia dell'uomo.

"Grazie! Era proprio quello che desideravo!"

Michele contraccambiò, stringendola con fare paterno: "Te lo sei meritato! Sei un'ottima allieva, studiosa e intelligente. Non mi andava di aspettare Natale per dartelo." Si staccò da lei e le sistemò un ciuffo di capelli. "E poi sei una figlia perfetta, non potrei chiedere di più."

Commossa dalle sue parole, si tuffò di nuovo tra le sue braccia. lo strinse con forza, cercando di trasmettere il sentimento che stava iniziando a provare per quel padre dolce e generoso, anche se poco presente. Si staccò subito dopo e con dita emozionate cercò il numero della sua amica e lo compose sul cellulare.

"Ciao Marti, sono io..."

Michele restò ad ascoltare la conversazione di sua figlia con uno sguardo sorridente e amorevole, vagando col pensiero a come si sentisse fortunato ad averla trovata. Di colpo lei tappò con una mano il microfono del cellulare e lo guardò:

"Oggi lavori?"

"No..." Sbattè le palpebre. "Perché?"

Selvaggia non rispose ma riportò il cellulare all'orecchio: "Mi dispiace, oggi la passo con mio padre. Possiamo fare domani..."

L'uomo restò senza fiato, e quando la figlia chiuse la telefonata con la sua amica, forse l'unica che aveva, si accorse di avere gli occhi lucidi.

"Preferisci passare il pomeriggio col tuo vecchio invece che con la tua amica?"

Con un sorrisetto dispettoso gli si avvicinò.

"Ho solo bisogno della tua consulenza per una cosa. Non riesco a finire il compito di diritto. Credo che tu sia altamente qualificato per darmi una mano."

Michele scoppiò a ridere, divertito. Cosa aveva fatto per meritarsi una figlia come lei?

***

La donna che Carmen si ritrovò di fronte quando andò ad aprire, un po' di tempo dopo, la fece restare a bocca aperta... Selvaggia aveva spesso ospitato delle sue amiche per studiare e passare insieme qualche ora spensierata, ma ricevere la visita di una suora era l'ultima cosa che si aspettava.

Conosceva l'infanzia che aveva passato, sapeva che era stata allevata dalle suore, ma non avrebbe mai immaginato che la madre Superiora del Monastero della Vergine Immacolata sarebbe venuta a trovarla. La lasciò ad aspettare nel salone mentre andava ad avvisare la ragazzina della sua venuta. Bussando poco dopo alla sua stanza, non sapeva come la ragazzina avrebbe potuto accogliere quell'ospite. Quando le aprì la porta aveva ancora gli auricolari indosso e la accolse con un sorriso.

"Carmen..." disse affrettandosi a spegnere la musica dal suo lettore mp3, ma quando tornò a guardarla il sorriso le si spense. "C'è qualcosa che non va?"

"C'è una visita per te, ti sta aspettando nel salone."

Il tono greve della donna la fece preoccupare. "E chi è?"

"È... dice di essere la Madre Superiora del Monastero della Vergine Immacolata."

Selvaggia sentì mancarle il respiro. La madre Superiora? Aveva dimenticato quella donna, così come ogni cosa che riguardava il suo passato, considerato fonte di ansia. E adesso quella stessa ansia tornò a scorrerle nelle vene. Cosa ci faceva lì? Come aveva fatto a conoscere il posto in cui viveva? Perché era venuta a cercarla dopo tutto questo tempo? Restò impalata a fissare Carmen con gli occhi sgranati cercando di capire il motivo di quella visita che la scombussolava così tanto... erano passati dieci anni da quando aveva visto per l'ultima volta quella donna, e il ricordo di come si era sbarazzata di lei affidandola a quell'uomo che l'aveva trascinata in modo rude verso l'orfanotrofio le tornò prepotente alla mente, ricordando di come lei non era nemmeno scesa dal suo ufficio per salutarla come avevano fatto tutte le altre suore. Era stata lei che l'aveva cacciata, in fondo era lei che decideva tutto tra quelle mura. Perché voleva rivederla? Non capiva.

Vedendo l'espressione sconvolta della ragazzina, Carmen cercò di rassicurarla. "Se non vuoi vederla posso dirle che non ci sei, che sei uscita senza che lo sapessi, o che sei indisposta. Non devi incontrarla per forza."

"No, va bene," si riprese con un sospiro. "Dille che scendo subito."

Carmen aggrottò le sopracciglia. "Sei sicura?"

Selvaggia deglutì. "Sì, certo, stai tranquilla."

"Ok..."

Titubante, Carmen obbedì e  scese al piano di sotto ad avvisare l'ospite. Selvaggia restò per un attimo sola per prepararsi psicologicamente a quella visita.

Quando scese per raggiungere la Madre Superiora la trovò seduta su una delle morbidissime poltrone del salone intenta ad ammirare l'enorme libreria che occupava interamente una parete della stanza.

Non l'aveva sentita arrivare, così Selvaggia ebbe tutto il tempo di osservarla in silenzio. Non sembrava cambiata molto, la figura elegante sotto la veste talare era sempre la stessa, e il viso aveva solo qualche ruga in più, ma reggeva bene il passare del tempo. Osservandola le passarono davanti agli occhi le immagini di lei al momento del suo addio dal convento, mentre le suore la stringevano a turno per darle l'ultimo saluto, tra baci e lacrime, e poi anche quando quell'uomo la strattonava per invogliarla a salire sulla sua auto, immagini sfuocate di un passato ormai lontano ma ancora presenti nella sua memoria, e ricordò che mentre si allontanava da quel luogo, teatro dei suoi primi passi, dal lunotto posteriore vedeva un'immagine d'insieme di tutte le suore riunite per salutarla... tutte tranne lei!

"Madre!"

La Madre superiora si voltò di scatto e si alzò in piedi alla vista di quella che poteva considerare come una sorta di figlia.

"Selvaggia... non sai che piacere rivederti dopo tutto questo tempo!" L'espressione estatica e un sorriso materno. "Oh, bambina cara, sei cresciuta, ti sei fatta una bellissima ragazza, e vedo che sei andata a vivere in una casa molto bella e confortevole, con addirittura una donna che—"

"Come mai siete qui?" La interruppe lei, incapace di ascoltare ancora il suo farneticare.

La suora smise di parlare e la sua espressione mutò, diventando subito apprensiva e dispiaciuta.

"Ho seguito le tue terribili vicende alla televisione, così come tutte le altre suore del convento—"

"Come stanno? Che cosa fanno?" La interruppe nuovamente. "Suor Carmela come sta?" Si colpo ebbe una terribile mancanza delle sue suore.

La Madre sorrise. "Bene. Sono state tutte in pena per te per quella vicenda, e sono rimaste davvero sollevate quando sei stata—"

"La prego, vorrei conoscere il motivo per cui lei è qui, adesso," la interruppe nuovamente, "non mi importa conoscere tutti i dettagli."

Aveva chiesto delle suore in un attimo di debolezza, ma non aveva voglia di attardarsi ancora molto con quella donna. La sua presenza era solo fonte di dolore.

La Madre allora sorrise debolmente e le si avvicinò: "Sono venuta per parlarti, principalmente. Possiamo sederci?" Indicò le poltrone del vasto salone.

Selvaggia titubò un poco ma alla fine accettò. In fondo era curiosa di sapere cosa mai avesse da dirle quella donna dopo tutto quel tempo. Si sedé di fronte a lei, nella poltrona dove di solito sedeva suo padre, quel padre dolce e assente che sembrava volerle veramente bene ma che a volte se ne dimenticava.

"Intanto vorrei che tu sapessi che mi dispiace di essermi fatta viva solo adesso, ma non potevo venire a trovarti all'orfanotrofio dove alla fine sei cresciuta e, una volta che sei stata adottata, ho perso del tutto le tue tracce... poi è successo quel che è successo, e..." La Madre Superiora partì in quarta per poi affievolirsi durante il discorso.

"La prego, venga al dunque." La esortò la ragazza, spazientita.

A quel punto la donna si fece coraggio e la guardò in faccia.

"Devi sapere che il giorno in cui sei stata abbandonata, quando Suor Chiara ti ha tolto dalla ruota portandoti a me avvolta in una semplice coperta, ho saputo fin da subito che avrei dovuto proteggerti con tutta me stessa. È stato difficile nasconderti all'interno di un monastero, capirai anche tu che non è propriamente un luogo adatto per far crescere una bambina, ma... fortunatamente quel maledetto temporale che fece esondare il nostro fiume e costringere tutti a restare rintanati nelle proprie case ci permise di non dover denunciare la tua presenza immediatamente, e col passare del tempo, grazie a delle mie conoscenze, io—"

Selvaggia fu sempre più spazientita per quella perdita di tempo e la interruppe per l'ennesima volta:

"Madre, la prego! Sinceramente le sono venuta incontro perché sarebbe stato maleducato da parte mia mandarla via da questa casa senza nemmeno sentire cosa avesse da dire, ma le chiedo di non tirarla troppo per le lunghe perché ho altre cose da fare."

La suora non si aspettava questo risvolto della situazione. Era convinta che nonostante un'iniziale reazione di shock Selvaggia sarebbe stata felice di vederla, ma a quanto pare si era sbagliata.

Assunse un'espressione austera e annuì lentamente. "Bene, come vuoi."

Ecco, adesso la riconosceva. Nella mente di Selvaggia vivevano dei ricordi contrastanti della Madre Superiora che l'aveva cresciuta, ma il più delle volte ricordava quell'aria austera e rigida con la quale si rivolgeva a lei e a tutte le altre suore del convento, esattamente la stessa espressione e la stessa rigidità che aveva appena assunto.

"Oltre alla coperta nella quale eri avvolta," le spiegò con aria austera, "con te ho trovato anche un oggetto, e credo che sia arrivato il momento di dartelo. In fondo ti appartiene."

La curiosità della ragazzina venne stuzzicata all'inverosimile da quelle parole. La Madre Superiora era in possesso di un oggetto che poteva farle capire chi fossero i suoi veri genitori?

"E cos'è? Me lo dia!" Esclamò emozionata allungandole una mano.

Dalla tasca nascosta nella sua veste, la Madre Superiora estrasse una catenina dorata con un ciondolo della grandezza di una moneta da due euro. Lo porse alla ragazzina che lo afferrò con uno strano sentimento di soggezione. Quello era appartenuto a suo padre o a sua madre... perché finora non era venuta a sapere della sua esistenza? Lo soppesò sul palmo della mano, doveva essere d'oro, ma non avrebbe mai potuto dire di quanti carati fosse. Su di un lato del ciondolo vi era raffigurato il simbolo araldico della trinacria, con le tre gambe piegate tutte verso la stessa direzione, ma al centro, invece della solita testa femminile della Medusa, non vi era raffigurato niente, solo un cerchio vuoto. Non aveva mai visto prima di allora il simbolo della Sicilia senza la classica figura femminile al centro.

"Sa cosa significa?" Glielo mostrò.

"La trinacria senza la testa femminile è un simbolo ancora più antico, risalente al VII o VI secolo Avanti Cristo. Ma non so come mai quel ciondolo contiene un simbolo così antico."

Selvaggia tornò a osservare quell'oggetto come se fosse una reliquia. Avrebbe mai potuto rintracciare i suoi genitori grazie a quel piccolo amuleto?

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