Capitolo Trentotto

Il sole picchiò con prepotenza sulle sue palpebre gonfie, costringendo Selvaggia a svegliarsi da un sonno profondo. Le imposte delle finestre erano state spalancate, così come le tende, lasciando tranquillamente entrare i raggi del sole che le impedirono di assopirsi nuovamente, anche se si coprì il viso col cuscino. Si rassegnò a doversi svegliare e si scoprì il viso. Manuela era in piedi davanti alla finestra con ancora in mano la corda per tirare su le persiane.

“Ma che cosa stai facendo?” Biascicò strizzando gli occhi.

Tu cosa stai facendo! Sai che ore sono?”

Confusa, Selvaggia guardò la sveglia posata sul comodino e solo allora si accorse del numero di fazzolettini di carta appallottolati e abbandonati su di esso. Continuando a strizzare gli occhi per riuscire a svegliarsi, scostò i fazzoletti per controllare l’ora e subito spalancò gli occhi.

“Le undici?!”

Balzò a sedere e si accorse di avere altri fazzoletti di carta appallottolati nel letto con lei.

“Oddio…” mormorò fregandosi gli occhi.

“L’ultima volta che sei rimasta a dormire fino a tardi la sera prima eri uscita con me e ti sei ubriacata. Hai bevuto, ieri sera?”

Selvaggia strizzò gli occhi: “No…”

Manuela la osservò con aria critica. “Allora, a giudicare dalla collezione di fazzoletti usati che ti circondano, hai litigato con Giancarlo. Ho indovinato?” Selvaggia la guardò per un secondo ma distolse subito lo sguardo. “Bingo!” Esultò tiepidamente Manuela.

Selvaggia si stropicciò la faccia. “Ti prego, non infierire. Non ho voglia di parlarne.”

L'altra fece sentire una risatina e si sedette sul letto vicino a lei. “Beh… io credo che invece ti farebbe bene. Si dà il caso che io conosco Giancarlo da più tempo di te, forse potrei darti una mano; senza contare che ormai è tardi per andare in università, fra poco sarà l’ora di pranzo, se vuoi puoi spiegarmi tutto quello che è successo, hai tutto il tempo del mondo.”

Selvaggia restò silenzio, giudicando se aprirsi con lei o no. Alla fine si disse che sfogarsi con qualcuno avrebbe potuto alleggerire il suo dolore.

"Ok..." Chiuse gli occhi e prese un bel respiro. "Sono stata adottata.”

Quando gli riaprì Manuela la guardava a bocca aperta.

“Davvero?” Selvaggia annuì. “E cosa c’entra con Giancarlo? Non dirmi che gli hai detto che sei stata adottata e lui ti ha lasciato.”

“No, lui non sa che sono stata adottata.”

Manuela non poteva essere più perplessa. “E allora, scusa, ma non capisco.”

A quel punto Selvaggia prese coraggio e le raccontò tutto quello che era successo, da quando aveva ritrovato il suo amico Matteo, parlandole dell'orfanotrofio, fino a che Giancarlo l’aveva cacciata da casa sua.

“Capisci… se io dovessi dirgli di Matteo dovrei anche raccontargli di essere stata adottata, e…”

“E pensi che lui inizierebbe a guardarti in modo diverso?”

Selvaggia annuì di nuovo, senza il coraggio di rivelare il vero motivo.

“Scusa se te lo dico, ma non mi sembra che così facendo la situazione sia migliore." Manuela fu severa, ma decisa a dire ciò che pensava. "È evidente che non lo conosci perché posso assicurarti che una cosa simile per lui non fa differenza. E poi, scusa, come fai a pensare che se sapesse che tu sei stata adottata cambierebbe opinione su di te? Non ha senso! Su di me ha avuto l’effetto inverso.”

“In che senso?”

“Beh… nel senso che è migliorata.” Selvaggia la guardò scettica e Manuela si affrettò a spiegare: “No, non fraintendermi, alla fine ti sei rivelata molto più simpatica di quanto credessi, soprattutto da quando sei uscita quella sera con me e ci siamo divertite insieme, ma prima di allora credevo tu fossi una snob con la puzza sotto il naso che si veste solo con cose di marca e guarda tutti dall’alto verso il basso. Sapere che non sei nata nella bambagia ti fa sembrare più una comune mortale e non una figlia di papà.”

“Davvero do questa impressione?” La delusione sul suo viso era palese.

“Beh, sì… o almeno, a me lo hai dato. Ma mi sono sbagliata, non sei così, e mi dispiace di averlo pensato, all’inizio.”

“Grazie…”

Abbassò lo sguardo, sconsolata. Come poteva aprirsi con Giancarlo allo stesso modo in cui si era aperta con lei? Sembrava impossibile da consolare.

“Cos’altro c’è che non va?”

“No… niente.” Sospirò.

Manuela la osservò dubbiosa, con l’impressione che le stesse nascondendo qualcosa, ma non volle tirare troppo la corda e sorrise, con l’intenzione di tirarla su di morale. Certo, conoscere quell’aspetto del suo passato le aveva fatto rivedere in meglio l’opinione che aveva di lei, ma per quel che le importava Selvaggia rimaneva comunque un tipo viziato, dato che si faceva mantenere completamente dal padre.

Mezz’ora dopo, constatando che in casa non c’era niente di vagamente commestibile e che comunque l’idea di perdere l’intera giornata di studi non era contemplabile per Selvaggia, si recarono alla mensa dell’ateneo. Arrivarono all’entrata della mensa poco prima dell’arrivo degli altri studenti e, mentre Manuela entrò direttamente nella sala mensa per aggiudicarsi la tavola migliore da dividere con i suoi amici, Selvaggia decise di aspettare nel giardino interno le sue amiche. Aveva gli occhi gonfi di pianto e non voleva farsi vedere così dagli altri studenti.

Si sedette su una panchina da dove si affaccia ano le finestre della mensa e si poteva scorgere l’entrata secondaria della cucina, che gli inservienti usavano per gettare la spazzatura e gli scarti. Fu proprio in quel momento che da quella porta vide uscire la persona che popolava angosciosamente tutti i suoi pensieri.

Giancarlo uscì all’aperto e subito si voltò per aiutare la collega a scendere l’unico scalino esistente per raggiungere il giardino. Li osservò in silenzio per un po’ colma di angoscia, vedendoli parlare con gentilezza verso qualcuno che era rimasto dentro, oltre la porta della cucina, e che era invisibile dal suo punto di vista. Notò come Romina indossasse con disinvoltura un maglioncino aderente sotto a una giacchetta di jeans che le metteva in risalto il seno prorompente, sentendo ancora più forte una fitta di gelosia, e quando questa si voltò verso Giancarlo appoggiandogli una mano sul braccio in un gesto di confidenza, sentì un macigno crollare sullo stomaco.

Rimase ad osservarli in silenzio mentre i due salutavano gentilmente la persona oltre la porta per poi allontanarsi insieme verso l’uscita.
Sapeva che avrebbe dovuto andarsene, ma era come inchiodata su quella panchina, non riusciva a muoversi.

E proprio come aveva tristemente previsto, Giancarlo si voltò nella sua direzione e i loro occhi si incontrarono. Le sembrò di venire attraversata da una scarica elettrica, i loro sguardi si incastrarono e rimasero a fissarsi per alcuni lunghissimi secondi. Ma, come invece non si sarebbe aspettata, Giancarlo si voltò di nuovo e si allontanò insieme a Romina, dimenticandosi di lei, come se tra loro non ci fosse stato niente.

Lo osservò finché non scomparve dalla sua vista e a quel punto una lacrima scese indipendente dalla sua volontà, subito seguita da una seconda. Dovette coprirsi il viso con le mani per avere un minimo di contegno… piangere davanti a tutti non era proprio il massimo, ma non era riuscita a trattenersi.

“Selvaggia, che ci fai, qui?”

Alzò la testa di scatto, sorpresa di essere stata colta in un frangente simile e, tra le lacrime, vide Paola e Daniela in piedi di fronte a lei che la fissavano.

***

Arrivò a casa di Matteo in perfetto orario, aveva una smania febbrile di incontrarlo e chiedergli quel favore che non poteva chiedere per telefono. Sperò che potesse effettivamente esserle di aiuto perché altrimenti non sapeva più dove sbattere la testa.

Dopo aver visto Giancarlo uscire dalla cucina della mensa insieme a Romina non era più riuscita a ragionare con lucidità, ed era stato altrettanto penoso raccontare ciò che era successo alle sue amiche, ma dopo che l’avevano vista piangere nel giardino della mensa non poteva non raccontare loro la verità. Ovviamente, entrambe si erano subito profuse in consigli per poterla consolare, descrivendo il povero Giancarlo come un insensibile che non sapeva quale tesoro si fosse lasciato sfuggire dalle mani. Vennero raggiunte anche da Ludovica che, ovviamente, volle sapere anche lei ogni particolare della storia e Selvaggia dovette ripeterla per l’ennesima volta.

Dopo aver passato le successive tre ore tra lezioni e studi in biblioteca senza riuscire a concentrarsi su niente, ripensando costantemente alla figura di Giancarlo che usciva dalla mensa, le venne come un’illuminazione: lui poteva trovarsi lì solo per un motivo. Non mangiava mai alla mensa dell’ateneo, lui era lì per parlare alla nuova lavapiatti della cucina, quella che era stata indicata come la prossima vittima del direttore…

Non sapeva come si chiamasse, l’unica cosa che sapeva per certo era che fosse affetta dalla sindrome di Down, e non sapeva nemmeno il nome del direttore della mensa, ma conosceva chi poteva venire a sapere tutte queste cose senza esporsi in prima persona.

Suonò senza esitazione al citofono di Matteo, che le aprì il portone senza nemmeno accertarsi che fosse lei. La telefonata che gli aveva fatto poco prima lo aveva avvisato del suo arrivo. Salì velocemente le scale e, una volta in casa, trovò con piacere anche la presenza di Fabio.

“Ciao, ragazzi, mi fa piacere trovarvi entrambi. Ho un urgente bisogno del vostro aiuto.” Esordì con passione.

Matteo la accolse prendendole il giacchetto dalle mani e appendendolo all’attaccapanni. “Certo, ma siediti, prendi qualcosa. Vuoi un caffè… o forse è meglio una camomilla?”

“Scusate… sì, un caffè lo gradirei volentieri, grazie.” Si rese conto di sembrare un’invasata e cercò di calmarsi.

Matteo le portò il caffè e si sedette vicino a lei. Volle capire come mai l’amica d’infanzia sembrasse così nervosa e ansiosa.

“Ma è successo qualcosa? Non mi sembra che tu stia bene.”

“No… tranquillo, sto bene...”

Matteo scambiò uno sguardo d’intesa con l’amico, che come sempre era già seduto al computer e che si alzò inventando una scusa per allontanarsi.

Rimasto solo con Selvaggia, ritentò di farla parlare. “Avanti, è tantissimo tempo che non ci vediamo ma lo vedo che non stai bene. Cos’è successo?”

Selvaggia lo guardò negli occhi, trovandovi quella serenità che si può incontrare soltanto a contatto con quelle anime a noi affini, con le quali sappiamo poter trovare il vero conforto alle brutture della vita, e mossa da un impeto emotivo, scoppiò a piangere di fronte a lui.

Preoccupato, Matteo la abbracciò, massaggiandole la schiena e cercando di calmarla. "Dai, calmati. Dimmi cosa è successo."

“Scusami…” Biascicò tra i singhiozzi. “Non mi riconosco più…”

“Va bene lo stesso, sfogati. Basta che ti calmi e mi spieghi quello che ti è successo.”

Le passò un fazzoletto e finalmente Selvaggia riuscì a sfogarsi con lui, raccontandole l’accaduto come aveva fatto con Manuela.

Alla fine del racconto si aspettava che Matteo reagisse in modo più forte, che si alzasse di scatto con l'intenzione di andare a parlare con Giancarlo e spiegargli le cose di persona, ma con sua grande sorpresa, Matteo restò seduto e non manifestò nessuna emozione negativa.

Restò a osservarlo confusa, ma il suo sorriso la rassicurò. "Se tu lo hai scelto vuol dire che è un ragazzo intelligente. Sono sicuro che quando gli sarà passata l'incazzatura tornerà sui suoi passi."

Selvaggia si tamponò le lacrime. "Tu dici?"

"Ne sono convintissimo! E se proprio non dovesse tornare vuol dire che non ti merita."

Tirò su con il naso, asciugandoselo con fazzoletto. "Grazie..."

"Ok..." Matteo prese un grosso respiro. "Dalla telefonata mi era sembrato di capire che avevi bisogno del mio aiuto, e non per consolarti." Le massaggiò una spalla, ricevendo un sorriso di ringraziamento. "Ma se in futuro e avrai bisogno di un altro po' di conforto ci sarò sempre."

Il sorriso di Selvaggia si accentuò. "Sì... Avevo bisogno delle tue doti di hacker..."

***

Giancarlo uscì dal portone del palazzo che ospitava la redazione del suo giornale e attraversò la strada. Camminò fino in fondo alla via e svoltò nella strada in cui abitava lui, distante appena un incrocio dalla redazione. Stette quasi per attraversare di nuovo la strada e andare sul marciapiede davanti al suo portone ma qualcosa lo fece arrestare di colpo con un piede sull'asfalto e uno ancora sul marciapiede.

Ludovica, l’amica di Selvaggia, era in piedi davanti al suo citofono, guardandosi continuamente attorno. Sbuffò stancamente, convinto che si trovasse lì per cercare di convincerlo a perdonare Selvaggia e a tornare con lei. Gli ci mancava solo quella!

Decise di avvicinarsi cercando di far finta di niente, ma quando lei lo salutò con un sorriso malizioso percepì che forse non era lì per perorare la causa di Selvaggia…

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