Capitolo Trentatré
Selvaggia passò a Grazia il barattolo di aneto che le aveva chiesto. Quest'ultima ne prese un pizzico con le dita e lo mise nella pentola con cui stava cucinando.
"Ne hai messo veramente poco."
"Ne va pochissimo, il sapore si deve sentire appena, altrimenti lo rovina."
Selvaggia apprese la ricetta come una spugna. "E a Giancarlo piacerà?"
"Ne va ghiotto! Ma per lui l'importante è che venga fatto con amore."
"Ne sono convinta anch'io."
Le sorrise e inserì altri ingredienti. “In fondo un uomo va saputo prendere per la gola.”
Le aveva ripetuto questa nenia talmente tante volte che ne aveva perso il conto.
"A proposito, hai provato a rifare il sugo come ti ho insegnato per le tue coinquiline?"
Selvaggia annuì, entusiasta. "Si sono leccate entrambe i baffi!"
"Ne sono felice."
"Però credo che cucinare per il proprio uomo sia la cosa più amorevole che si possa fare. Non lo credi anche tu?"
Il sorriso di Grazia era sincero, ma forzato. "Assolutamente!"
Notò un'ombra attraversarle lo sguardo, ma percepì che era qualcosa di cui la donna non ne voleva parlare e rispettò il suo volere non facendole domande. Giancarlo le aveva parlato che aveva perso il padre quando aveva quindici anni, ma nemmeno lui era stato molto esaustivo. Era evidente che per entrambi fosse un tasto dolente. Forse un giorno gliene avrebbero parlato spontaneamente.
***
Selvaggia scese dalla carrozza del treno alle 15 del pomeriggio, a quell’ora la stazione di Palermo stava cominciando a riempirsi di ragazzi e pendolari che tornavano a casa e le fu difficile individuare il padre della sua Carmen in mezzo alla folla. Non riusciva a scorgerlo da nessuna parte. Raccolse il suo bagaglio e si avviò verso la biglietteria e verso l’entrata principale, sperando di vederlo entrare dalle grandi entrate. Quando finalmente intravide una testa canuta in mezzo a quella marea di teste colorate si allungò alzando un braccio.
“Vincenzo, sono qui!”
L’uomo finalmente la vide e le andò incontro, stringendola in un breve abbraccio di benvenuto.
“Oh, bentornata, Selvaggia. Mi scusi per il ritardo, ma sa, questa città è un continuo fermento.”
“Non preoccuparti, Vincenzo, so benissimo che Palermo è il regno del caos!”
L'uomo annuì, le tolse il piccolo bagaglio di mano e la invitò a precederlo verso l'auto, indicandole la strada. Mise il bagaglio nel bagagliaio e le aprì lo sportello del passeggero, fece il giro della Porsche e i posizionò al posto di guida.
Era la seconda volta che tornava a casa da quando aveva cominciato l’Università e si stava abituando a farlo una volta al mese.
"Dal telefono ho sentito mio padre sempre in gamba. Mi ha detto che lavora sempre come un mulo, ma ormai mi dice sempre le stesse cose ogni settimana!"
Cercò di scherzare con l'uomo al suo fianco, che senza prendersi libertà, strinse gli occhi per lasciar intendere di sorridere alla sua affermazione.
"Ha pienamente ragione."
Durante il tragitto restò stranamente in silenzio, ripensando a Giancarlo. Si rammaricava che non fosse venuto con lei. Glielo aveva chiesto diverse volte, ma aveva sempre rifiutato per un motivo o per l'altro. Si chiese se sarebbe mai venuto a conoscere suo padre, o se avrebbe dovuto rinunciare a chiederglielo.
Vincenzo entrò nel cancello della villa e Selvaggia notò subito suo padre di fronte alla porta d’ingresso in compagnia di Carmen, che l'aspettavano ansiosi. Appena scese di macchina suo padre le venne incontro e la strinse in un tenero abbraccio, che lei ricambiò.
“Sono felice di vederti. Come è andato il viaggio?”
“Bene, grazie… c’erano molte persone ma non è stato un problema.”
Subito fu travolta dall’abbraccio di Carmen, che la strinse come era ormai abituata a fare.
“Oh, bambina mia… sembri sempre più bella ogni volta che ti vedo!”
Selvaggia rise per l’entusiasmo della donna, finché Vincenzo non la richiamò con un colpo di tosse. Imbarazzata, Carmen si staccò dalla ragazza e arrossì.
“Scusatemi, mi sono lasciata trasportare…”
Michele si mise a ridere. “Non ti preoccupare, Carmen, mi fa piacere che sei così legata a lei. In fondo non ho mai pensato che fosse di mia esclusiva proprietà!”
Quella frase del tutto disinteressata per Selvaggia ebbe un significato diverso. Che suo padre sapesse qualcosa di lei e Giancarlo? In fondo all’Università aveva molte conoscenze e qualcuno avrebbe potuto avvertirlo che l’avevano vista con un ragazzo, ultimamente. Lo osservò un po’ titubante, ma dalla sua espressione sorridente e tranquilla non vide l’ombra di segreti da mantenere. Tirò mentalmente un sospiro di sollievo e accettò l'invito ad entrare in casa.
"Allora, cosa vuoi fare?" Michele era disposto a fare qualunque cosa sua figlia gli chiedesse.
"Per stasera vorrei restare a casa e riposarmi un po'."
"Ogni tuo desiderio è un ordine, bambina mia."
Si rendeva conto che suo padre la stava viziando, ma non voleva rinunciarci.
Si buttò sul letto per riprendersi dalla giornata appena trascorsa e, inevitabilmente, il pensiero corse subito a Giancarlo. Sognò che fosse con lei su quel letto, che la avvolgesse con le sue braccia e che la baciasse con passione, ma qualcuno bussò d'improvviso alla sua porta, interrompendo le sue fantasie.
"Avanti!" Sospirò, mettendosi a sedere.
Carmen sbirciò attraverso una fessura della porta. “Sono io! Posso?”
"Certo, sei sempre la benvenuta, lo sai!”
Carmen entrò sorridendo. “Allora, finalmente abbiamo un minuto tutto per noi. Mi sei mancata, sai?”
“Anche tu mi sei mancata.” Le fece posto vicino a lei e la guardò con un sorrisetto furbo. “Ho un sacco di cose da raccontarti…”
A Carmen si illuminarono gli occhi. “Davvero? Spara!”
Restò in silenzio per un po', amava tenerla sulle spine, ma l'insistenza della donna non le consentì di farlo per troppo tempo.
“Ho un ragazzo!”
Carmen rimase a bocca aperta, strillo in sordina, abituata a non fare troppo rumore, e la abbracciò di slancio.
“Oddio che bella notizia! E lui chi è? Come si chiama?”
Selvaggia ridacchiò. “Eh… si chiama Giancarlo. È... beh, lui… è bello…” Carmen fece un verso infantile a questa descrizione, ma Selvaggia non ci badò. “È alto, castano coi capelli lunghi e gli occhi profondi e intelligenti."
L’entusiasmo di Selvaggia nel parlare di questo primo amore rendeva la donna decisamente felice.
"L'ho conosciuto grazie a una mia amica, circa un mese e mezzo fa, anche se poi con questa ci ho litigato perché anche lei era innamorata di lui."
"Oh, accidenti! Chi è, uno sciupafemmine?"
Selvaggia ridacchiò. "No no, lui non la conosceva nemmeno, ha fatto tutto da sola!"
Le raccontò tutta la storia, perfino quando lo aveva seguito fino a casa sua, suscitando l'ilarità della donna.
"Mi fa piacere che ti trovi bene con lui."
"C'è solo una piccola cosa che mi fa pensare."
"Dimmi tutto, allora. Sono qui per questo!"
“Beh... gli ho chiesto ripetutamente se voleva venire qui con me, ma lui ha sempre rifiutato e io non capisco perché!”
Lo sguardo della donna si ammorbidì. “Tesoro, è solo un mese che vi frequentate. Lo so che per te corre tutto velocemente, ma non hai pensato che magari per lui è ancora troppo presto?”
“Dopo un mese e mezzo?”
“Sì… per te sarà anche tanto ma è anche il primo ragazzo che hai. Da quanto ho capito lui ha avuto altre esperienze prima di te, e forse prima di conoscere tuo padre vuole solo conoscerti meglio ed essere sicuro dei suoi sentimenti.”
“Ma io sua madre l’ho già conosciuta!”
Carmen strinse le labbra in un’espressione buffa. “Per quel che ho capito non gli hai dato molta scelta.”
Le due scoppiarono a ridere. “Hai ragione… se mi avesse cacciata sarebbe stato peggio!”
“Ma sono certa che non rimpianga questa decisione.”
“No… nemmeno io. Sua madre è gentile e giovanile, ti piacerebbe, sai? Sono andata a trovarla altre volte anche senza di lui, mi ha sempre detto che sono la benvenuta a casa sua.”
“Sono contenta che ti trovi bene anche con lei.”
Selvaggia ebbe il coraggio di esprimere il dubbio che la tormentava da quando era scesa dal treno quel giorno.
“E tu credi che lui si troverebbe bene con papà?”
“Ma certo!” Le prese le mani per rassicurarla. “Tuo padre è un tipo che sembra molto austero e tutto d’un pezzo ma lo sai meglio di me che alla fine è un tipo alla mano.”
“Quindi è solo perché per Giancarlo è troppo presto che non lo vuole ancora conoscere?”
Carmen sorrise mostrandosi comprensiva. “Quasi non ti riconosco, di solito non ti fai tutti questi problemi. Si vede che sei innamorata,” sospirò con fare teatrale.
Si alzò in piedi e guardò l'orologio. “Dai, è arrivata l’ora di dormire!”
Si diedero la buonanotte e Carmen la salutò con un bacio.
Rimasta sola e al buio, Selvaggia cercò di immaginarsi come potrebbe essere stare sotto allo stesso tetto con suo padre e con il ragazzo che amava. Giancarlo non aveva un padre ma si immaginò che Michele potesse fare da padre anche a lui, così come Grazia faceva da madre per lei. La prospettiva che le si parò davanti non le sembrò affatto male, e grazie alle ali della fantasia, riuscì ad addormentarsi velocemente con un sorriso sulle labbra.
***
La mattina dopo, di buon’ora, Carmen era già in cucina per preparare la colazione. Canticchiava allegramente mentre disponeva le tazze sul tavolo e i biscotti su un piatto con un coprivivande. Michele entrò in cucina e si soffermò ad osservarla dalla porta, afferrò una mela e, con un sorriso divertito, la vide ballare e continuare a canticchiare dandogli le spalle. Sembrava non essersi accorta di lui.
"Mi fa piacere vederti di buon umore.”
Carmen sobbalzò e si voltò di scatto a guardarlo. “Mi scusi signor Giordano, ero sovrappensiero.”
“Non ti preoccupare, il buon umore mi piace.”
Addentò la mela e si sedette a tavola, dove la donna gli servì un caffè. Lo zuccherò e lo prese dal manico.
“Ho sentito che ieri sera sei andata a trovare Selvaggia in camera sua prima di andare a letto.”
“Oh, mi scusi se l’ho disturbata, non credevo di aver fatto rumore.”
“No, assolutamente! Sono solo curioso di sapere cosa vi siete dette.” Sorrise, aornione. “Il mio amico Ferretti ha Selvaggia nel suo corso di Storia antica all’Università e a volte ci sentiamo per telefono… sai, siamo rimasti amici. E, insomma, mi ha detto che ultimamente Selvaggia si fa vedere sempre più di rado alle lezioni. Ti ha per caso detto qualcosa?”
Carmen arrossì lievemente e cercò di inventarsi qualcosa per sembrare credibile. “Beh… non saprei… mi ha solo detto che tra tutti i corsi che ha scelto e i suoi impegni a volte ha volontariamente saltato qualche lezione… ma, sa come è fatta, sicuramente avrà già in mente come recuperare.”
“Sì, sicuramente…” Michele bevve velocemente il suo caffè, poi portò la tazzina dentro il lavandino. “Peccato… credevo che almeno a te avrebbe detto il nome di quel ragazzo…”
La donna si voltò di scatto. “Come lo sa?”
“In realtà ho tirato a indovinare, ma tu mi hai appena dato la conferma.”
Lei arrossì, vergognandosi di essersi lasciata sfuggire una cosa così stupida, si era fatta raggirare facilmente.
Selvaggia entrò in cucina ancora in pigiama ma con i capelli ordinatamente legati in una treccia sulla nuca.
“Buongiorno.”
Nascose uno sbadiglio dietro la mano e si sedette a tavola, dove Carmen aveva apparecchiato per lei. Ancora con le nubi del sonno ad avvolgerle la coscienza iniziò a fare colazione spalmando la marmellata su una fetta biscottata, quando suo padre le si avvicinò.
“Allora, Selvaggia, ieri alla fine non mi hai raccontato niente di come stanno procedendo i tuoi studi.”
“Bene, grazie…” Rispose, masticando la sua fetta.
“E… quel ragazzo, invece, quando me lo farai conoscere?”
Si bloccò con il boccone tra i denti e, senza curarsi di non averlo ancora inghiottito, rimase a bocca aperta, guardando dapprima suo padre e poi Carmen. Quest’ultima, imbarazzata, le restituì uno sguardo rammaricato e tornò nelle sue faccende, non riuscendo più a sostenere il suo sguardo.
Suo padre si mise a ridere sommessamente. “Non ti preoccupare, tesoro mio, quando sarai pronta tu, sarò pronto anch'io per conoscerlo. A me basta solo che ti tratti come si deve e che non ti faccia soffrire.”
La rassicurò con dei lievi colpetti sulla spalla e uscì dalla cucina.
Selvaggia guardò nuovamente Carmen che la fissò con uno sguardo dispiaciuto.
“Mi dispiace tanto…”
***
Quello stesso pomeriggio, Selvaggia tornò alla stazione di Palermo per riprendere il treno che l'avrebbe riportata a Catania. Ma quella volta fu suo padre ad accompagnarla alla stazione.
Per tutta la giornata, con la consapevolezza che Michele sapeva della presenza di Giancarlo nella sua vita, cercò di tenersi occupata con altre cose per non rimanere da sola con lui abbastanza a lungo da intavolare una discussione sull’argomento, ma non poteva certo impedirgli di accompagnarla alla stazione.
Osservarono il tabellone dell’orario e si diressero insieme al binario giusto per attendere il treno. Si fermarono a metà binario e, come si aspettava, Michele iniziò a farle domande inopportune.
“Insomma… cosa mi racconti di questo tipo? È un bravo ragazzo? Ti tratta bene?”
Selvaggia arrossì, chissà perché parlare di Giancarlo con suo padre la metteva in soggezione. “Sì… è molto gentile con me.”
“E… ti rispetta? Voglio dire… Non tenta di…” D’un tratto anche Michele sembrò vergognoso di affrontare quell’argomento.
“Sì… certo…”
La ragazza si guardava continuamente attorno, fortunatamente sul binario con loro non c’era nessuno abbastanza vicino che potesse sentire il loro discorso.
Ma alle sue parole Michele si accigliò subito. “In che senso? Vuoi dire che… insomma… avete già…”
Si bloccò a metà frase, sperando che la figlia capisse lo stesso cosa volesse dire.
Selvaggia arrossì ancora di più, dimostrando di aver inteso perfettamente quello che suo padre cercava di dirle.
“No… io non…”
Non seppe continuare ma dall’espressione rasserenata di suo padre si calmò un pochino anche lei.
“Bene.” Michele tirò un sospiro di sollievo. “Ecco… a proposito di questo…” si morse le labbra pensando a cosa dire. “Capisco che può sembrare una cosa naturale, ma… se non ti senti pronta e, soprattutto, se è ancora molto poco tempo che state insieme, ti consiglio di aspettare…”
Fece una piccola pausa cercando di decifrare l’umore di sua figlia. Ma non riuscì e tentò ancora.
“Voglio che tu sappia che se dovesse farti delle pressioni in quel senso quando tu non vuoi vuol dire che non è adatto a te, perché… non ti rispetta abbastanza. Capisci?”
Il viso di Selvaggia era rosso come non era mai stato, ma l’arrivo del treno la salvò da quella situazione.
“Oh… devo andare.”
Afferrò la sua borsa da viaggio e si avvicinò alle porte della carrozza. Si voltò per salutare suo padre con un bacio, non riuscendo a spiccicar parola.
Michele, rendendosi conto del forte imbarazzo che era piombato su di loro, la fermò un secondo.
“So che sei una donna, ormai, è solo che… ti voglio bene e non voglio che tu soffra…”
Selvaggia guardò quel viso ormai così caro e sorrise. “Non ti preoccupare, papà.”
Il fischio del controllore avvisò i passeggeri di affrettarsi a salire.
Sorrise a suo padre ed entrò nella carrozza; quando si chiusero le porte Michele la seguì lungo il corridoio finché non la vide sedersi in uno scomparto. La salutò con la mano e lei ricambiò, continuò a salutarla mentre il treno cominciava a muoversi, piano piano prese velocità scomparendo dalla sua vista e lui rimase solo al centro del binario.
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