Capitolo Trentasette

“Ed è per questo che è importante che il popolo venga coinvolto a trecentosessanta gradi nelle decisioni politiche, e soprattutto, nell’elezioni di personaggi come il Presidente della Repubblica.”

La professoressa Ada Pugliesi stava tenendo gli ultimi minuti della sua lezione e, quando ebbe finito, prima di congedarsi guardò la classe con la sua solita aria nerd:

“Ci sono domande?”

Nessuno alzò la mano, nessuno si mosse tranne che per prepararsi per uscire dall’aula.

“Guardate che non esistono domande intelligenti e domande stupide, non sentitevi in soggezione se avete qualcosa da chiedere. Ci sono solo delle domande, punto.”

Piano piano tutti gli alunni svuotarono l’aula e la professoressa si rassegnò a concludere la sua lezione.

Selvaggia uscì con lentezza da quella porta, allacciandosi la borsa a tracolla con gesti stanchi; la giornata universitaria era finita e poteva finalmente tornare a casa, ma era tutto tranne che felice. Quella mattina Giancarlo non si era fatto vedere, neanche prima di cominciare gli orari, e al cellulare non aveva risposto quando lei lo aveva chiamato, mandandole poi un messaggio asettico per informarla che stava lavorando.

Camminò assorta nei suoi pensieri verso la fermata dell’autobus, talmente sovrappensiero che si ritrovò alla fermata senza nemmeno accorgersene. Si guardò attorno e finalmente si rese conto di dove si trovasse, ebbe come la sensazione di essersi teletrasportata lì invece di aver camminato, non si ricordava la strada che aveva fatto, come se si fosse appena svegliata dal letargo.

Tornò sui suoi passi e fece la strada all’inverso, fino a svoltare verso la casa di Giancarlo. Senza pensare se lui ci fosse oppure no citofonò e dopo due secondi la voce di Grazia le arrivò attraverso il citofono.

“Chi è?”

“Ehm… sono Selvaggia.”

“Selvaggia, bella! sali.”

Il portone si aprì con un sonoro clank e Selvaggia fece le scale due a due, tenendosi al corrimano. Entrò in casa con il fiatone e Grazia si affacciò nel corridoio.

"Giancarlo è nella sua stanza. Sta lavorando con una sua collega, ma credo non abbia niente in contrario se lo disturbi."

"Grazie."

In preda a un nervosismo che non seppe spiegare, Selvaggia bussò alla porta di Giancarlo. La voce di lui la raggiunse subito:

“Mamma, adesso ho da fare…”

Non sapendo come reagire bussò una seconda volta, a questo punto la porta si spalancò di colpo, e Giancarlo apparve innervosito dall'interruzione, ma appena si accorse di lei cambiò espressione in una più sorpresa.

“Selvaggia, che ci fai qui?”

Sempre più in imbarazzo, Selvaggia deglutì a vuoto. “Io… sono passata per sapere come stavi, in pratica sono due giorni che non ti vedo, e—”

Di colpo una ragazza con dei lunghi capelli castani raccolti con una matita e un maglioncino aderente che metteva in mostra più che coprire un seno generoso, apparve alle spalle di Giancarlo, guardandola con la classica espressione sorpresa di chi era stato colto in fallo. Selvaggia si bloccò a parlare, ma a quel punto Giancarlo si fece di lato, presentandole in tono scocciato.

“Dai, vieni dentro. Ti presento Romina, una mia collega giornalista. Romina, questa è Selvaggia, la mia ragazza.”

Romina allungò una mano con un sincero sorriso in volto, cosa che, purtroppo, Selvaggia non riuscì a contraccambiare.

“Sono felice di conoscerti, finalmente!” Le strinse la mano in modo energico. “Giancarlo ci ha parlato molto di te, finora, stavo quasi iniziando a pensare che tu fossi frutto della sua immaginazione tanto ti descriveva nei minimi dettagli.”

Ridacchiò soavemente, poi andò a sedersi alla scrivania, dove un computer portatile era stato appoggiato scostando in malo modo le cose che normalmente affollavano il ripiano in legno. Si rimise a scrivere, concentrata come se non si fosse appena distratta.

Giancarlo era rimasto ammutolito a fissarla, facendola sentire a disagio.

“Mi dispiace di avervi disturbato, io—”

“Pensavo che saresti stata a casa a studiare.” La interruppe.

“A studiare?”

“Non hai un esame tra un mesetto?”

A Selvaggia tornò subito in mente la frottola che gli aveva propinato per poter incontrare Matteo e stette al gioco.

“Ah, sì… ma non riuscivo più a concentrarmi… ho voluto farti una sorpresa.”

Giancarlo sorrise tiepido. “Vabbè, mi fa piacere, ma avresti dovuto prima chiamarmi. Siediti, io sono un po’ indaffarato, adesso.”

Selvaggia si diresse verso il letto con l’intenzione di sedervisi, ma lo trovò invaso di scartoffie e oggetti di ogni sorta, da chiavette usb a scarti di giornali e libri buttati alla rinfusa. Si fece un po’ di spazio e si sedette. Per un po' spiò Giancarlo che si avvicinava a Romina e si chinava su di lei per guardare lo schermo del computer, l’occhio le cadde sull’agenda di Giancarlo lasciata aperta sul letto, sempre al solito articolo di giornale che aveva visto la prima volta. Lo riconobbe subito dalla foto, quella ragazza con la sindrome di Down ormai le si era impressa nella mente. Ricominciò a leggerlo ma Giancarlo la interruppe.

“Perdonami se non posso starti dietro, ma siamo arrivati a un punto particolare del caso che stiamo seguendo e se lascio stare adesso è un casino.”

Ma Selvaggia sembrò non ascoltarlo nemmeno e prese in mano l’agenda. “State seguendo la storia di questa ragazza Down?”

“Perché, ne sai qualcosa?”

“Non sono sicura, ma mi sembra di averla vista.”

“Difficile, lavorava alla mensa dell’ateneo fino all’anno scorso.”

“E non ci lavora più?”

Le tolse di mano l’agenda e si sedette accanto a lei. “Si è licenziata.”

“Perché è rimasta incinta sul luogo di lavoro?”

“Anche… ma non è solo quello il motivo.”

“E allora, per cos’altro?”

Giancarlo stette per rispondere ma Romina li interruppe. “Guarda cosa ho scoperto, Gianni.”

Entrambi si alzarono e si avvicinarono per guardare il computer della ragazza. Era aperto su un sito dove il direttore della mensa dell’ateneo posava in una foto insieme allo staff della sua mensa. Veniva presentata come un vero e proprio ristorante e veniva posta l’attenzione sul fatto che desse continuamente un posto di lavoro a un ragazzo con la sindrome di Down, partecipando alla loro integrazione nel mondo del lavoro. Dopo un trafiletto riguardante i dati sugli italiani affetti dalla sindrome di Down, la foto che spiccava al centro della pagina, dove veniva raffigurato l’intero staff della mensa dell’ateneo, attirò l’attenzione di Selvaggia. La ragazza ritratta al centro del gruppo aveva evidenti tratti somatici della sindrome di Down, ma non era la stessa del trafiletto di giornale che aveva Giancarlo nell’agenda.

“E questa chi è?” la indicò.

“La nuova lavapiatti, e anche il motivo di questo articolo…”

Romina sembrò contrariata dal tono di voce, ma furono le parole successive di Giancarlo a incuriosirla ancor di più.

“Oppure si può definire la prossima vittima.”

Ne rimase turbata. “Di cosa stai parlando?”

Giancarlo e Romina si scambiarono uno sguardo significativo, lui sembrò cercare le parole giuste per spiegare la situazione a Selvaggia, prendendosi alcuni secondi.

“Quell’articolo che stavi leggendo dalla mia agenda… l’ho scritto io, a giugno di quest’anno, prima che finisse l’anno accademico. La ragazza in questione era rimasta incinta in circostanze particolari, ed essendo affetta dalla sindrome di Down, nessuno è mai riuscito a farle dire chi fosse stato a metterla in quella condizione. Fatto sta che il direttore della mensa ha spinto affinché si licenziasse, dando ai genitori un incentivo di qualche migliaia di euro—”

“Non capisco,” lo interruppe e tornò a sedere sul letto. “Perché mai avrebbe dovuto pagare i genitori di lei per convincerla a licenziarsi?”

“Bella domanda.” Si intromise Romina.

Giancarlo si allontanò per spiegarle meglio la situazione. “Abbiamo ragione di credere che sia stato lo stesso direttore a mettere incinta Sonia, la ragazza Down, e le abbia intimato di non dire niente. Per questo nessuno riesce a sapere da lei con chi sia stata.”

Selvaggia lo guardò sgranando gli occhi. “Sono accuse forti, hai qualche prova?”

“Abbiamo degli indizi, che purtroppo non possono venire considerati come prove, almeno finché non troviamo un collegamento tra loro.”

“Quali sono questi indizi?”

Giancarlo si morse le labbra, guardò Romina che fece un’espressione incredula e si strinse nelle spalle.

“Credimi, non serve che ti immischi—”

“Per favore," lo interruppe. "Non pensare che possa rimanere indifferente di fronte a una cosa simile. Se posso dare una mano per svelare la verità, voglio farlo.”

Giancarlo sospirò e si sedette accanto a lei. “Allora... La storia in realtà sembra iniziare già da qualche anno. Sonia non sembra essere la prima di queste ragazze che hanno subito un trattamento simile. Già prima di lei, quando il comune di Catania iniziò a fare propaganda per investire su dei lavoratori con ridotte capacità mentali come gli affetti della sindrome di Down, venne assunta una ragazza con quella sindrome nella mensa, ma venne licenziata dopo appena sei mesi con l’accusa di aver rubato dall’ufficio del direttore dei soldi destinati ad altri dipendenti. Ti pare possibile?”

Selvaggia alzò un sopracciglio, incredula. “È difficile credere che una ragazza con ridotte facoltà mentali possa decidere di appropriarsi di qualcosa che non le appartiene, se non è stata educata a farlo da terzi. Possibile che lui tenesse i soldi in bella vista con lei nella stanza?”

Diede una risposta in maniera più formale possibile. Era per questo che aveva iniziato a studiare: diventare avvocato e seguire le orme di suo padre per aiutare chi ne avesse bisogno. La cosa la coinvolse istantaneamente, poteva essere la prima occasione che le si presentava per mettere in atto i suoi studi.

“Giusto,” Giancarlo annui. “E se poi succede che anche la ragazza assunta dopo per lo stesso ruolo, anch’essa affetta dalla sindrome di Down, viene licenziata per un motivo simile dopo appena pochi mesi, e quella dopo ancora subisce la stessa sorte, non diventa un po' strano?”

“Beh, certo, sembrerebbero esserci troppe coincidenze.”

Romina girò sulla sedia verso di loro. “Soprattutto se l’ultima dichiara di essere rimasta incinta e sembra essere stata intimata di non rivelare chi sia stato.”

La situazione si rivelò molto più scottante di quanto sembrasse all’inizio. Se per davvero, come sospettava Giancarlo, era stato lo stesso direttore della mensa a mettere nei guai la ragazza e a licenziarle tutte, nessuna delle ragazze che sarebbero state assunte dopo poteva ritenersi al sicuro a lavorare lì.

Romina si alzò dalla sedia, guardando il suo orologio. "Devo scappare, termineremo domani l'articolo."

"Va bene, 'mmare," ( *'mmare, diminutivo di comare, ovvero compagna/amica) Giancarlo si alzò dal letto per aiutarla a mettere via il computer. "Ti chiamo stasera."

Romina salutò Selvaggia con un sorriso e si dileguò in fretta e furia.

Rimasti soli, Giancarlo si appoggiò alla sua scrivania incrociando le braccia al petto e guardando Selvaggia con sguardo affilato.

“E così non riuscivi più a concentrarti sullo studio e sei venuta qui.”

Usò un tono falsamente carezzevole, che infastidì Selvaggia.

“Che cosa vorresti insinuare?”

“Beh… conoscendoti, e conoscendo il tuo amore per lo studio, è difficile credere che in vista di un esame tu abbia preferito distrarti e venire qui invece che trovare un modo per riportare la tua attenzione sui libri.”

Selvaggia deglutì nervosamente, le considerazioni di Giancarlo erano legittime. Arrossì, capendo che le bugie non erano adatte a lei e che non sapeva raccontarle.

“Sì… no… vabbè, può darsi che le cose siano un po’ diverse… da come sembrano.”

Giancarlo respirò rumorosamente e le diede le spalle. “Non potrebbe essere, invece, che ha incontrato un ragazzo a mia insaputa e che hai passato chissà quanto tempo in sua compagnia?”

A Selvaggia cascò la mascella, osservando i muscoli della sua schiena, visibili attraverso la maglietta. “Come… cosa ne sai?”

Giancarlo si voltò di scatto e gli gettò su letto una serie di fotografie raccolte con un elastico. Confusa, le raccolse e cominciò a esaminarle. Erano tutte foto di lei mentre si abbracciava con Matteo, quando lo aveva visto quel giorno che era salita a casa sua, ma anche una o due mentre parlavano per la prima volta davanti a quel supermercato. Come avevano fatto a fotografarla in un frangente simile? Qualcuno la stava seguendo? Si spaventò.

“Chi te le ha date?”

“Non ha importanza!” Il suo sguardo sembrava lanciarle coltelli affilati. “Mi vuoi dire perché ti sei vista con questo ragazzo senza dirmi niente?”

Selvaggia era completamente annichilita. Non solo c’era qualcuno che la spiava, fotografandola a sua insaputa violando la sua privacy, ma adesso rischiava addirittura di passare per traditrice agli occhi di Giancarlo, a meno che non le raccontasse del suo passato, ed era l’ultima cosa che voleva fare.

“Credimi, non è come sembra...”

“E com’è?” La interruppe, sbraitando.

“È… lui, è…” balbettò.

“È il tuo amante?” Non le diede il tempo di esprimersi.

“Cosa? No!”

“Dimmi la verità! È per questo che non vuoi venire con me, perché hai già qualcuno che ti soddisfa in quel senso, vero?” Urlò, sempre più innervosito.

“No… non è vero…” piagniucolò, mortificata.

“Guarda quelle foto…” gliele tolse di mano e ne estrasse una dal mazzo, che le mostrò. “Qui sembra proprio che ci sia del tenero tra voi, non negarlo!”

La foto che le aveva scelto mostrava chiaramente Matteo che la guardava negli occhi con aria sognante.

“Io non so cosa—”

“No, per favore!” La interruppe di nuovo. “Non ho voglia di sentire stronzate da te. Vattene!”

Selvaggia sentì il cuore fermarsi, come se avesse ricevuto una martellata nel petto, e rimase scioccata a fissarlo. Lui non sembrava particolarmente amareggiato, solo arrabbiato, e una lacrima amara le solcò la guancia. Lo supplicò di ascoltarla.

“Ma non è come credi, io…”

Lui scosse il capo innervosito e lei si bloccò. Ormai aveva già deciso e le diede di nuovo le spalle, in un tacito invito ad andarsene.

Senza più controllare le lacrime Selvaggia si alzò dal letto, tremante di mortificazione. Uscì dalla stanza senza riuscire a guardarlo e si asciugò il viso con le mani. Subito nuove lacrime le bagnarono le guance e attraversò il corridoio deserto in uno stato di limbo. Si accorse vagamente di Grazia solo alla fine, che la guardava dalla cucina, ma non riuscì neanche a salutarla e uscì dalla porta d'ingresso.

Riuscì per miracolo a trattenere i singhiozzi finché non arrivò a casa, percorrendo la strada senza rendersene conto.

Eleonora stava mangiando da sola in cucina e guardava la televisione, la salutò sorridendo, ma Selvaggia non riuscì a rispondere al suo saluto e si rifugiò nella sua stanza, dove finalmente poté dare libero sfogo alle lacrime.

Si sentiva devastata, sembrava tutto finito nel giro di un paio di minuti, senza nemmeno aver avuto la possibilità di spiegarsi. Ma poi, che cosa mai avrebbe potuto spiegare? Per Giancarlo poteva esserci una possibilità? E sarebbe stata disposta a raccontargli il suo passato per riaverlo indietro?

Inoltre c'era in giro qualcuno che la seguiva e la fotografava a sua insaputa, e ciò la spaventava a morte.

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