Capitolo Trentadue
Selvaggia seguì Giancarlo attraverso un atrio freddo e bianco, con i muri scrostati ma pulito e su per delle scale dai gradini consumati ai bordi e il corrimano di ferro, come andavano una volta. Lo seguì intimorita, guardandosi continuamente attorno cercando di non dare nell'occhio. Lui viveva in quel posto fatiscente?
Finalmente si fermò di fronte ad una porta di legno scuro al secondo piano, intarsiata con dei quadrati e lo spioncino che sembrava la scrutasse incuriosito. Estrasse dalla tasca un mazzo di chiavi e ne usò una per aprire la suddetta porta, la spalancò entrando e subito si fece da parte per farla passare. Selvaggia fece due passi lungo un corridoio in ombra, con i muri bianchi e il pavimento di mattonelle bianche e nere, dei quadri grandi e delle fotografie erano appese alle pareti ma non riuscì a osservarle perché venne subito raggiunta da un delizioso odore di salsa al pomodoro che la distrasse.
Finalmente Giancarlo parlò, anzi, urlò: "Mamma! Sono tornato!" Appena si rese conto delle parole che aveva pronunciato ne rimase sorpresa, lui le restituì uno sguardo offeso. "E ho un ospite!"
Da una delle porte lungo il corridoio apparve una donna di circa cinquant'anni con i capelli lunghi e neri, raccolti disordinatamente con una pinza sulla sommità del capo. Aveva un paio di pantaloni aderenti e una maglietta grigia e lunga a coprirle metà cosce, era a malapena truccata, con una matita intorno agli occhi e nient'altro, ma a Selvaggia sembrò ugualmente molto bella.
"Si può sapere perché urli tanto?" Sbraitò adirata, poi spostò lo sguardo su Selvaggia e istantaneamente un sorriso cortese apparve sul suo volto. "Oh, chiedo scusa. Sono Grazia, la madre di Giancarlo."
Selvaggia si affrettò a stringerle la mano, imbarazzata. "Piacere, signora, sono Selvaggia."
"Ah... mi fa piacere conoscerti..."
La donna le sorrise, gentile, ma prima che potesse aggiungere altro Giancarlo la oltrepassò entrando nella stanza dalla quale lei era uscita.
"Cosa si mangia?"
Sua madre lo seguì con lo sguardo, e rivolse a Selvaggia un sorriso di scuse. "Potevi anche avvisarmi che avremo avuto un'ospite."
La invitò a seguirla con un gesto ed entrarono in cucina, dove Giancarlo stava sbirciando dentro a una pentola sul fornello spento, dalla quale saliva un vapore profumato di pomodoro.
"È stata una sorpresa anche per me." Rispose intingendo un dito nella salsa e portandoselo alle labbra.
"Fa niente, so come rimediare... siediti pure, cara, quando scolo la pasta."
Selvaggia non sapeva se accettare o meno quell'implicito invito, in realtà non era lì per quello, ma aveva paura che se avesse rifiutato avrebbe offeso la donna. Si sedette al posto che le veniva indicato, già apparecchiato di tutto punto, mentre la madre di Giancarlo provvedeva ad apparecchiare un altro posto. Giancarlo si sedette accanto a lei, ma sembrava non vederla nemmeno mentre spezzava un pezzo di pane e cominciava a mangiarlo.
"Non mangiare il pane, ti rovini l'appetito!" lo sgridò la madre.
"Ho fame." Fu la placida risposta, e continuò a masticare.
La donna scosse il capo con un'espressione paziente, come a dire che non cambierà mai. Dopo aver condito la pasta dentro la pentola prese il piatto di Selvaggia.
"Quanta fame hai, cara?"
"Ahm... non molta... io... grazie..."
"Figurati!" Le riempì il piatto con una buona dose di pasta e gliela mise sotto il naso, avvicinandole il formaggio e la grattugia. "Dimmi se ti piace. Buon appetito."
Selvaggia ignorò il formaggio e prese subito una forchettata di pasta; in effetti aveva fame e quell'odorino così invitante glielo aveva stuzzicato ancor di più. La portò alla bocca e iniziò a masticare. Il pomodoro le si sciolse subito contro il palato mentre la consistenza della pasta, cotta alla perfezione, rendeva il boccone una vera goduria. Carmen cucinava bene, le era sempre piaciuta la pasta che aveva mangiato a casa sua, ma quella era davvero paradisiaca. Preparò subito con vigore un'altra forchettata quando si accorse che Giancarlo la stava guardando. Subito rallentò i movimenti , assunse una posa più educata e continuò a mangiare cercando di far finta di niente.
La risatina divertita non si fece attendere. "Mettici il formaggio sopra, vedrai che è più buona." Le avvicinò la grattugia e il formaggio.
Obbedì in silenzio e dovette ammettere che Giancarlo aveva ragione.
"Mi fa piacere che ti piaccia, sono pomodori che ho raccolto personalmente dall'orto di una mia conoscente." Grazia sorrise riempiendo il piatto anche per suo figlio. "Ho cucinato la salsa facendola cuocere molto lentamente. Nelle botteghe non la trovi così dolce."
Selvaggia si rese conto che aveva iniziato a mangiare senza aspettare gli altri. Ripose la forchetta sul tovagliolo e attese, ma Giancarlo non sembrò d'accordo.
"Che fai, ti è passata la fame?"
"No... aspetto te..."
Lui sbuffò. "Mangia, o si raffredderà."
Non volendo contraddirlo, dato che in pratica si era autoinvitata a casa sua, afferrò la forchetta e riprese a mangiare. Era il piatto di pasta più buono che avesse mai assaggiato!
Grazia si sedé accanto a lei e prese a mangiare del formaggio con del pane.
"Studi all'università?" Le domandò con fare giovanile.
Selvaggia annuì, senza smettere di masticare un secondo. Gli occhi dolci e i modi di fare della donna la misero a suo agio.
"Che corsi frequenti?"
Qui dovette per forza smettere di masticare, e deglutì il boccone.
"Voglio diventare un avvocato."
"Complimenti, è un lavoro molto rispettoso."
Continuarono a discorrere come se fossero due amiche di vecchia data. Quella donna era l'esatto esempio di madre che viveva nella sua fantasia. Avrebbe voluto una madre come lei, se avesse potuto.
"E da quant'è che conosci questo delinquente?" La donna indicò il figlio, come se non aspettava altro che fare quella domanda.
"Da circa un mese..." Balbettò.
"Se dovete parlare ancora io ne approfitto per andare in bagno." Si intromise Giancarlo alzandosi da tavola e uscendo dalla cucina.
L'impressione che la stesse apertamente evitando si fece ancora più forte con quel gesto, si sentì di colpo rammaricata.
"Sì, mi piacerebbe, ma devo tornare al lavoro..." rispress sua madre alzandosi in piedi, subito imitata da Selvaggia.
"Lasci che la aiuti a sparecchiare."
"Oh, no, lascia fare a me, tu sei ospite!" In breve tempo apparecchiò la tavola, mettendo tutti i piatti nel lavandino, e iniziò a lavarli.
Ritrovandosi senza far niente, Selvaggia si affacciò nel corridoio. La casa era completamente in silenzio, se non per i rumori della donna che puliva i piatti, e di colpo ebbe voglia di andare a sbirciare in camera di Giancarlo, ma non osava chiedere il permesso. Fece due passi e si fermò a osservare un quadro colorato, finché la voce di Grazia non la raggiunse:
"La camera di Giancarlo è quella in fondo a destra. Vai pure." Le sussurrò.
Si era affacciata sulla porta della cucina, sorridendole con sguardo complice. Divertita accettò l'invito e si diresse in silenzio verso quella stanza.
Non si aspettava niente di particolare, non era mai stata nella stanza di un ragazzo, ma era comunque emozionata. Quando spalancò la porta trovò una normalissima camera con l'armadio e il comodino in legno chiaro, così come la spalliera del letto. Quest'ultimo era sfatto, ma le lenzuola blu e la trapunta azzurra sembravano invitarla a stendersi tra quelle pieghe... Senza accorgersene, arrossì, mentre i suoi pensieri erravano in direzioni pericolose, figurandosi scenari che non conosceva ma che avrebbe tanto amato scoprire insieme a lui. Chissà come sarebbe stato distendersi con lui su quel letto e iniziare a baciarsi come facevano nel suo. E, chissà, magari essere fuori dal suo letto abituale l'avrebbe resa più intrepida e aiutata a prendere decisioni che fino a quel momento non aveva avuto il coraggio di prendere. Un calore liquido le invase il petto, ma decise che non era il momento giusto per indugiare in certe fantasie. Con sua madre nell'altra stanza e la necessità di tornare in ateneo non era il caso.
Girò lo sguardo attorno a sé, cercando qualcosa che la distogliesse da quei pensieri. Tra i vari poster di gruppi rock appesi alle pareti, con musicisti dai capelli lunghi che non conosceva, e fotografie infilate in una cornice di legno appesa al muro, il suo sguardo venne attratto da un'immensa scrivania completamente in disordine. Era ricolma di archivi, quaderni, un computer e tanti oggetti che sembravano buttati alla rinfusa, senza alcuna cura. Sarebbe stato impossibile trovare qualcosa in quel marasma di oggetti. Ma una sorta di diario o agenda aperta proprio davanti alla sedia attrasse la sua attenzione. Sembrava che fosse stata dimenticata lì mentre veniva scritto o letto, come se il lettore fosse stato interrotto dalla lettura.
La pagina in cui era aperta conteneva una scritta fitta fitta, impossibile da leggere, e nell'altro c'era un ritaglio di giornale in cui vi era la foto di una ragazza con evidenti tratti somatici tipici della sindrome di down e un trafiletto in neretto che riportava la scritta: Si licenzia perché rimasta incinta, vuole tenere il bambino e si attivano i servizi sociali. Incuriosita, iniziò a leggere l'articolo: Non si conoscono le generalità dell'uomo che l'ha messa in queste condizioni, S.G. non vuole rivelarlo, ma non ha nessuna intenzione di abortire di quel bambino nato presumibilmente da una violenza. La ragazza lavorava come lavapiatti nella mensa dell'università di Catania, e si è licenziata perché...
Giancarlo irruppe nella atanza, facendola sobbalzare. "Che stai combinando qua dentro?"
"Scusa... Io stavo solo..."
"Hai soddisfatto la tua curiosità?" Le si avvicinò con sguardo offeso. "Sei convinta adesso che non ti sto nascondendo niente?" Aveva tutta l'intenzione di darle una lezione ora che ne aveva la possibilità.
Selvaggia non riuscì a guardarlo in faccia, si sentiva terribilmente mortificata. Lo aveva pedinato e aveva messo in discussione la sua parola, rivelando che non nutriva moltissima fiducia nei suoi confronti.
"Mi dispiace, io..."
Giancarlo sembrò ripensarci e cambiò nuovamente tono di voce. "Guardami in faccia e promettimi che d'ora in avanti ti fiderai di quello che ti dirò."
Selvaggia non riuscva a guardarlo lo stesso e continuava a spostare lo sguardo dappertutto tranne che verso di lui.
"Sì... te lo prometto."
Non contento le alzò il viso per costringerla a guardarlo negli occhi. "Dimmelo adesso... voglio vedere i tuoi splendidi occhi mentre lo dici..."
A Selvaggia mancò il fiato, come riusciva ad azzerare la sua volontà in un modo apparentemente senza sforzo? "Sì... lo prometto."
Si tuffò in quelle splendide iridi verdi e si avvicinò per baciarla quando la voce di sua madre arrivò dal fondo del corridoio.
"Io sto andando al lavoro, ciao Giancarlo, ciao Selvaggia!" Urlò per farsi sentire, e chiuse la porta con un tonfo.
Giancarlo sorrise. "Adesso siamo soli..."
La strinse a sé e la baciò, rendendo subito il bacio intenso. Lei si lasciò stringere, sentendosi al sicuro e protetta... mentre il cuore le stava scoppiando nel petto. Le accarezzò un fianco, e l'atmosfera si surriscaldò. Selvaggia rimembrò le fantasie avute poco prima in quella stessa stanza e si lasciò trasportare dalla situazione.
Manco si accorse che Giancarlo la stava spingendo con delicatezza verso quel letto morbido e invitante, finché non si ritrovò distesa tra quelle soffici piume, avvolta dall'odore di lui e dalla sua passione, che di colpo si era fatta travolgente. Forse troppo travolgente. Cosa sarebbe successo se non fosse riuscita a fermarlo in tempo?
Di colpo tornò in sé e spostò le mani dal fondoschiena di lui verso le sue braccia, cercando di fermare le carezze che si stavano facendo troppo ardite. Si erano già spinti a sfiorarsi in luoghi abbastanza segreti, ma mai fino in fondo e sembrava che Giancarlo questa volta avesse in mente di arrivare proprio fino in fondo. Nonostante le normali pulsioni della sua età, non si sentiva ancora pronta.
Sentendosi fermare dalle sue mani il ragazzo aprì gli occhi ridestandosi dal suo momento di debolezza.
"Cos... che c'è?" bofonchiò con la voce impastata.
Non gli rispose ma lo guardò in modo eloquente, cercando di tenere a bada il ritmo del respiro fattosi corto.
Quello sguardo lo fece rinsavire. Si rese conto che per lei era ancora troppo presto per fare quel passo e si allontanò di un poco. Allungò una mano per accarezzarle i capelli, appoggiandosi sul gomito.
"Perdonami... mi sono lasciato trasportare..."
"Sì, anch'io... ma..."
"Non ti preoccupare."
Giancarlo si rimise a sedere e la aiutò a fare altrettanto. Quando si fu ricomposta, però, non riuscì a resistere e la abbracciò nel solito modo, anche se con meno veemenza.
"Quando sarai pronta andrà bene... io posso aspettare." Le diede un leggero bacio sul naso.
Selvaggia arrossì e sorrise, sentendosi incredibilmente fortunata ad aver incontrato un tipo come lui. Chissà se anche le altre ragazze della sua età potevano vantarsi di avere un ragazzo dolce e comprensivo come Giancarlo.
Pochi minuti dopo stavano uscendo dal portone di quel palazzo fatiscente, incamminandosi verso l'università poco lontana. Ma un paio di occhi poco distanti li stavano scrutando, e la mente dietro a quegli occhi scuri stava covando una certa dose di rancore, escogitando un modo per avere la sua vendetta.
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