Capitolo Settantotto
Nascosta dietro un enorme paio di occhiali da sole e a un cappello floscio a tesa larga, Selvaggia se ne stava davanti all'entrata di San Vittore, presieduta da un discreto numero di agenti in divisa intenti a guardare costantemente lungo la strada e a camminare su e giù sul marciapiede, in attesa.
Era in un punto abbastanza lontano da dove nessuno poteva vederla né tanto meno riconoscerla, ma aveva un'ottima visuale di quel portone dalla quale la Madre Superiora era entrata e da dove sarebbe dovuta uscire, prima o poi.
Appena l'aveva vista durante il servizio al telegiornale, era fuggita di casa di fretta e furia, aveva afferrato i suoi occhiali da sole e aveva comprato un cappello da un marocchino lungo la strada. Aveva preso un taxi ed era arrivata lì, sperò solo che fosse arrivata prima che la Madre Superiora se ne fosse andata.
Doveva assolutamente vederla, doveva assolutamente parlarle. Se quella donna era lì significava solo una cosa.
Attese più di un'ora immobile dall'altra parte della strada, tanto che alcuni carabinieri la osservarono diffidenti, ma senza accennare ad avvicinarsi.
Finalmente, la vide apparire.
La madre Superiora uscì da quella porta, sorrise e annuì nei confronti dei Carabinieri di guardia, intravide persino Riccardo oltre quel maestoso portone, che si richiuse subito, inghiottendolo al suo interno. La Madre Superiora aprì un ombrello e si allontanò lungo la strada. Era talmente presa dalla situazione che non si era accorta che si fosse messo a piovere.
Prese a camminare lungo il marciapiede parallelo, senza perderla di vista un solo istante e, per evitare che potesse sfuggirle in qualche modo, attraversò la strada. Mise piede alcuni metri dietro di lei, aveva i nervi a fior di pelle, si sentiva tremare per ciò che stava facendo. La osservò per alcuni secondi camminandole dietro a pochi metri di distanza finché non la chiamò:
"Madre!"
La Madre Superiora si fermò all'istante, drizzando la schiena come se avesse ricevuto un colpo di frusta. Si voltò verso di lei e la osservò un po' titubante.
"Ci conosciamo?"
Selvaggia si rese conto di essere irriconoscibile così conciata e con mani tremanti si strappò il cappello di dosso e si tolse gli occhiali. Lasciò che le gocce di pioggia le cadessero addosso come tanti spilli.
La Madre Superiora la osservò studiando quei capelli scuri e lisci che adornavano un viso a lei familiare. Osservò quella pelle chiara e limpida finché non si soffermò su quegli occhi verdi, stretti in uno sguardo affilato, e i suoi si allargarono, stupiti e increduli.
"Selvaggia?"
Intimorita dalla donna, esattamente come quando era una bambina, Selvaggia fece un passo avanti, cercando di non mostrare il proprio tremore.
"Sì... "
"Oh, santo cielo! Cosa ci fai, qui?" Si affrettò a coprirla col proprio ombrello.
"Vorrei farle la stessa domanda."
La voce di Selvaggia era algida, severa, e lo sguardo della donna si fece intimorito. Restò a fissarla per alcuni secondi. Alla fine sospirò.
"Hai ragione, ti devo una spiegazione. Per favore, possiamo ritirarci in un posto appartato e parlare con la dovuta privacy?"
Selvaggia sospirò di delusione, le sembrò che quella ricerca di un posto appartato fosse un'inutile perdita di tempo. Ma dovette ammettere che era necessaria.
"Io... Abito troppo lontana da qui per arrivare in poco tempo. Potremmo rintanarci in un caffè."
"Io alloggio in una pensione poco distante da qui," indicò dietro di sé. "Se vuoi possiamo andare là."
Selvaggia annuì. "D'accordo."
Fece un passo di lato sotto la pioggia e allungò un braccio lungo il marciapiede. "Dopo di lei."
Lo sguardo affilato con cui la guardava intimorì la donna. "Ti bagnerai, vieni sotto l'ombrello."
Selvaggia si rimise il cappello. "Non ne ho bisogno. La prego, non ho molto tempo."
La suora le fece strada e Selvaggia la seguì per circa duecento metri, svoltando per due incroci finché non giunsero in una mezza pensione con un grande ingresso a vetri e una reception con un bancone bianco e antico. Si fece dare le chiavi della sua stanza dalla donna dietro al suddetto bancone e cominciò a salire le scale alla destra di esso, senza preoccuparsi che Selvaggia la stesse seguendo. Era certa che le fosse alle calcagna.
Una volta raggiunta la stanza, si tolse il velo e lo appese a un piccolo attaccapanni vicino al letto più vicino a lei, rivelando per la prima volta una cascata di capelli rossi e mossi, con alcune striature di bianco.
Appena la vide senza velo Selvaggia rimase sbalordita: Non aveva mai saputo di che colore avesse i capelli e mai avrebbe immaginato che fossero rossi.
La Madre Superiora le fece cenno di sedersi su uno dei due letti singoli presenti, e lei si sedette sull'altro. "Pensavo che fossi ancora a Palermo, nella casa di tuo padre. Come mai sei qui?"
Selvaggia si chiese se la donna di fronte a lei sapesse che Michele era il suo vero padre e non solo quello adottivo, ma aveva troppa premura di conoscere altri aspetti importanti e non volle perdere tempo.
"Non sono qui per parlare di me."
Dentro di sé avrebbe voluto mettersi a ridere per la situazione che stava vivendo; in passato non si sarebbe mai sognata di rivolgersi alla Madre Superiora in questo modo.
"Mi dica piuttosto il suo rapporto con il boss che è andata a visitare."
La donna la osservò con uno sguardo intenso. "Già il fatto che tu sia venuta a cercarmi fuori dal carcere vuol dire che questa cosa la sai. Sono sua figlia, la primogenita del boss Gaetano Lo Iacovo, prima di quattro fratelli, due dei quali sono morti in circostanze particolari. Vuoi che aggiunga altro?"
La Madre Superiora non era capace di parlare senza quel tono di superiorità, non era cambiata affatto. Ma lei non era più la bambina dolce e ribelle che correva tra i banchi della chiesa e nel giardino del Monastero, e per quanto in passato avesse avuto soggezione di quella donna, in quel momento non voleva farsi vedere vulnerabile.
"Sta parlando di mia madre? È lei una dei due figli morti?"
Gli occhi della suora persero la loro arroganza, lo sguardo divenne lucido, sofferente.
"Come lo sai?"
"So molte più cose di quello che crede, Madre." Una punta di orgoglio aveva incrinato la sua compostezza.
"Credo che a questo punto tu possa chiamarmi zia... Se ti fa piacere..."
No, non le faceva piacere.
"Io voglio sapere perché mia madre mi ha abbandonata dandomi a lei, e perché non mi ha data subito a mio padre, invece di aspettare che mi adottasse legalmente tredici anni dopo."
Il sorriso materno e triste con cui la suora la guardò, mitigò l'animo della ragazza.
"Ammetto che la mia vita come suora di clausura non mi ha permesso di vivere appieno le situazioni che riguardavano la mia famiglia. Ho molte lacune circa la storia che chiedi di conoscere da me. Ma posso raccontarti quello che so."
"Mi dica tutto quello che sa allora."
La Madre deglutì. "Quando suor Chiara ti ha portata da me, avvolta in quella copertina umida, non sapevo chi fossi. La ruota è stata un'invenzione del passato, nessuno la usa più da secoli, e quando ti vidi per la prima volta per me eri solo una trovatella. Ma poi iniziammo a prenderci cura di te e ti tolsi quella coperta umida. Fu allora che vidi il simbolo della trinacria, quel ciondolo che ti restituii... Ce l'hai ancora?"
Selvaggia annuì. "Cosa significa quel ciondolo?"
"È il simbolo della mia famiglia... O, almeno, di quelli che sono designati per portare avanti il clan dei Lo Iacovo."
"Vuole dire che io dovrei raccogliere il testimone di mio nonno e mettermi a capo di un clan mafioso?" Era semplicemente assurdo.
"Da quel che mi risulta, dopo che mio padre si è costituito e ha iniziato a scontare la sua pena in carcere, suo fratello ha preso il suo posto. Mio zio è un uomo completamente diverso da lui, ma molto più giovane. Ad ogni modo mi ricordo che mio padre avrebbe voluto che fosse uno dei suoi figli a succederlo, non il fratello."
"E chi aveva scelto tra loro?"
La Madre sembrò restia a rispondere a questa domanda. "Beh... Sembri intelligente. Dato che il ciondolo è in tuo possesso, chi credi che sia stata la sua scelta?"
Selvaggia sbatté le palpebre, la verità la colpì come un fulmine.
"Mia madre?"
Non ricevette risposta verbale, ma il modo in cui la guardava le fece intendere che aveva capito.
"Da quel che so, come se fosse una favola tramandata da generazione in generazione, mio nonno fece forgiare il simbolo della trinacria in due pezzi di lega metallica che potesse resistere per tantissimo tempo, credo che contenga anche dell'oro, e li diede ai suoi due figli maschi, uno dei quali è mio padre, e l'altro mio zio. Ma era mio padre quello che avrebbe dovuto prendere il suo posto, e così fu."
"Ma perché non lo chiese a lei, dato che era la più grande?"
La faccenda divenne curiosa, le sembrò naturale fare quella domanda ma la Madre Superiora ridacchiò, come se avesse ricevuto una domanda sciocca.
"Io non avrei mai potuto succederlo. Ero una donna, come avrei potuto?"
"Ma, mia madre—"
La donna alzò una mano per zittirla. "Aspetta, la situazione è diversa da come sembra. A quei tempi le donne non avrebbero mai potuto divenire capo di un clan mafioso. Erano considerate anelli deboli, esseri da proteggere e troppo suscettibili per prendere certe decisioni." Fece una pausa, come se ricordare i tempi che stava raccontando le costasse fatica. "Il designato era mio fratello minore, quello nato dopo di me. Salvatore. Ma all'età di diciotto anni morì in una sparatoria e..."
Scosse la testa, rifiutandosi di proseguire e distolse lo sguardo, come se il seguito fosse troppo doloroso.
Selvaggia sentì il dolore della suora per la perdita del fratello, ma non volle farsi distrarre da certi sentimentalismi.
"E poi che successe?"
"Poi nacque Giuseppe, ma è sempre stato un bambino debole e impacciato, tra l'altro a sedici anni fece coming out e si rivelò gay... Ma tu lo hai conosciuto."
Selvaggia corrugò la fronte. "No, si sbaglia!"
"Ma certo che sì! Fu l'uomo che ti portò all'orfanotrofio."
Selvaggia scosse la testa. "Non mi ricordo di lui. È come se avessi un vuoto. Però mi ricordo il giorno in cui me ne andai, e che tutte le suore erano riunite per salutarmi. Tutte tranne lei."
Gli occhi della suora tornarono a riempirsi di lacrime. "Ti chiedo perdono per quello, Selvaggia. Ma tenta di capirmi, anche se non sei mia figlia ti ho cresciuta come tale, e sapendo che sei comunque mia nipote, sarebbe stato troppo doloroso per me─"
"La prego, basta!" La interruppe, sgomenta di sentire certe affermazioni.
La donna si zittì di colpo. "Mi dispiace..."
Selvaggia fece un profondo respiro. "Insomma, lei non poteva perché era una donna, Giuseppe neanche perché... Perché no," gesticolò per farsi capire. "Come siamo arrivati a mia madre?"
La donna fece una lunga pausa, ricordando i tempi in cui era ragazzina e apprestandosi a raccontarlo alla ragazza di fronte a lei. Selvaggia notò il suo viso distendersi mentre ricordava il suo passato e le sembrò di non aver mai visto un'espressione così serena sul viso della Madre Superiora prima di allora.
"Tua madre nacque due anni dopo Giuseppe, quando io avevo già i miei dieci anni. Nostra madre morì nel darla alla luce e fu compito mio prendere il suo posto nell'allevarla. Le feci da madre e da sorella contemporaneamente." Assunse un sorriso dolce, assorta nei suoi ricordi. "Carolina era dolce e vivace, un piccolo terremoto che non stava mai fermo... Esattamente come te alla sua età."
Selvaggia la fissò con occhi sognanti. "Carolina... È così che si chiamava mia madre?"
"Già... Aveva una massa di riccioli rossi e indomabili che le davano un'aria talmente tremenda ma adorabile, e poi due occhi verdi e splendenti che nessuno aveva nella nostra famiglia, tranne mia madre."
A Selvaggia apparve davanti agli occhi l'immagine di quella donna che suo padre teneva nel suo studio. La foto di quella bellissima donna dai lunghi capelli rossi e dal sorriso solare.
"Mio padre ha una foto di lei."
La donna si illuminò in viso. "Davvero? Mi piacerebbe vederla, un giorno."
"E poi cosa successe?" Le fece cenno di proseguire.
Si trovava in difficoltà quando la Madre Superiora diventava emotiva e sensibile. Era un aspetto del suo carattere a cui non era abituata, ed era ancora arrabbiata con lei per come l'aveva cacciata dal Monastero.
"Successe che Carolina crebbe senza una madre e sostanzialmente senza un padre. Lui non riusciva ad affezionarsi a lei più di tanto, perché le attribuiva la colpa per la morte della moglie." Fece una smorfia contrariata. "Come se fosse stata colpa di Carolina..." Aggiunse, schifata. "Ma nonostante questo Carolina diveniva sempre più intelligente, arguta e assetata di sapere. Nessuno di noi figli conosceva nei particolari di cosa si occupava nostro padre, sapevamo solo che era a capo di una grande azienda, nient'altro. Ovviamente, nessuno di noi si chiese mai cosa facesse in realtà, in fin dei conti si è sempre comportato come un buon padre... Finché Salvatore non compì diciotto anni."
"Fu allora che gli disse che sarebbe stato il suo successore?"
La donna annuì. "Esatto. Gli fece in regalo quel ciondolo, spiegandoli cosa significava e che adesso gli apparteneva. Che era così che suo padre glielo aveva dato e che doveva continuare la tradizione. Salvatore era ancora un ragazzino, non voleva una tale responsabilità, ma non seppe come rifiutare. Accettò il suo destino, ma una settimana dopo rimase vittima di una sparatoria e morì."
"E suo padre non ha mai scoperto chi fosse stato a uccidere suo figlio?"
"Sì... Tramite i suoi scagnozzi scoprì che era rimasto coinvolto in un battibecco tra ragazzini che spacciavano nella zona e uno di questi aveva preso male la mira e ci era andato di mezzo Salvatore."
Una strana paura si impadronì di Selvaggia. "E cosa fece a questo ragazzino?"
"Non credo che tu lo voglia sapere davvero."
Un brivido freddo la percorse dalla testa ai piedi. Non le restava difficile immaginarsi che fine fece quel ragazzino.
"Fu in quel periodo che io decisi di seguire la mia vocazione." La Madre Superiora si lisciò i capelli. "Mi trasferii in conservatorio e presi i voti alcuni mesi dopo. Dopo di ché persi un po' i contatti con gli altri membri della mia famiglia. L'unico con il quale mi scrivevo era Giuseppe. Scoprii che trovò lavoro nel comune, e poi chiese trasferimento nel paese vicino al Monastero in cui lavoravo. Forse perché ero rimasta l'unica persona della famiglia che lo considerava ancora."
"E mia madre?"
"Per lei le cose furono diverse. Nonostante nostro padre le attribuiva la perdita della moglie si accorse che era diventata una ragazza molto sveglia e determinata. In pratica aveva il suo stesso carattere forte e un po' prepotente, per questo vide in lei il suo degno successore. E quando fece diciotto anni glielo comunicò nello stesso modo."
"Le regalò il ciondolo..."
"Dopo di ché seppi solo che si trasferì a Catania per studiare all'università. Che ramo non lo so, Giuseppe non me lo disse. E non la vidi più fino a..." Di colpo si bloccò, come se avesse ricordato un aneddoto scomodo.
"Fino a... ?"
"Alcuni mesi prima di trovarti nella ruota." Sembrò rammaricata di qualcosa e Selvaggia restò in silenzio, aspettando che le rivelasse altro.
Per alcuni istanti la Madre cercò di metabolizzare nuovamente ciò che stava ricordando, sbatté le palpebre e prese un bel respiro.
"Venne da me al Monastero." Sputò tutto di colpo. "Mi spiegò che era incinta e che voleva il mio aiuto perché aveva paura per te e per sé stessa."
"Paura?"
"Di mio padre. Mi disse che aveva tagliato i ponti con lui da quando se n'era andata, e non voleva fargli sapere che aspettava un bambino da un uomo che non era passato al suo esame... O che non faceva parte di nessun clan mafioso. Insomma, voleva un aiuto da me. Ma io glielo negai."
"Perché?"
La donna scosse la testa e chiuse gli occhi. "Mi chiese asilo. Voleva che la nascondessi nel Monastero, almeno finché non fossi nata tu, e poi avrebbe potuto farsi una vita. Ma io non volli ascoltarla. Non potevo nascondere mia sorella nel mio Monastero, gli uomini di mio padre sarebbe senz'altro venuti subito lì per cercarla, e poi le volevo dare una lezione per aver commesso immoralità con un uomo che non era suo marito... insomma, non l'aiutai. E ancora oggi me ne rammarico."
Selvaggia non riuscì più a guardarla, certe regole religiose le aveva sempre considerate retrograde, ed era per quello che non era mai diventata una buona cristiana, nonostante l'educazione che aveva ricevuto. Fortunatamente, la donna continuò senza che dovesse invogliarla a farlo.
"Dopo che ti lasciò nella ruota, quando mi recai a registrarti come bambina abbandonata all'anagrafe, seppi che la sua auto venne ritrovata lungo il fiume limitrofo al Monastero, con alcuni suoi vestiti e i suoi documenti nel cruscotto. Ma il suo corpo non fu mai ritrovato, era stato portato via dalla corrente. In quella occasione trovai allora l'unica cosa che potei fare per assecondare quello che mi chiese... e ti diedi il nome che aveva scelto per te."
"Selvaggia lo ha scelto lei?" Era senza parole.
L'altra annuì. Questa consapevolezza si diffuse nel cuore di Selvaggia come un richiamo che non poteva ignorare. Di colpo si accese un lume di speranza in fondo al cuore.
"Quindi potrebbe essere ancora viva!"
La donna la guardò con tenerezza, ma scosse la testa. "Impossibile! Nessuno avrebbe potuto salvarsi con un'inondazione come quella!"
"Non riesco a credere che mia madre possa essere scomparsa se nessuno l'ha mai vista morta."
"Selvaggia, la pioggia fu talmente abbondante che il corso del fiume era stato deviato dopo aver allagato tutte le campagne circostanti. Aveva sradicato tutti gli alberi che crescevano lungo le sue sponde, rovinato ettari di coltivazioni e portato con sé ogni cosa trovasse sul suo cammino. Quando fu ritrovata l'auto di tua madre presumemmo che fosse stata trasportata dalla corrente per diversi chilometri date le condizioni in cui versava."
"Non mi importa, io glielo devo chiedere." Si alzò in piedi, risoluta.
La Madre Superiora la guardò preoccupata. "Chiedere cosa? E a chi?"
Selvaggia la guardò negli occhi, cercando di convincerla, e di convincere se stessa, che fosse la scelta giusta. "Che ne è stato di mia madre... A suo padre."
"Che cosa?!" Sbottò preoccupata. "Tu non sai con chi hai a che fare, non puoi presentarti al cospetto di un boss della mafia come se fosse un tuo vicino di casa... No, è troppo pericoloso!"
"Non sarebbe certo la prima volta." Confessò con un sorriso colpevole.
"Cosa vuoi dire?"
"Ahm... Diciamo che ho conosciuto suo zio, Madre. Non molto tempo fa."
"Hai conosciuto mio zio Carmelo?" Selvaggia annuì. "Come è successo?"
La donna era rimasta sotto shock a quella rivelazione, ma Selvaggia era totalmente presa dalle proprie elucubrazioni che nemmeno la sentì.
"Però per farlo ho assolutamente bisogno del suo aiuto." Tornò a guardarla con decisione.
Lo sguardo che la donna le restituì era scettico e dubbioso. Ma ormai Selvaggia era determinata, voleva sapere a ogni costo il vero motivo che avesse spinto sua madre a lasciarla tra le braccia della sorella, o se magari il suo intento era diverso. Ma non poteva farlo da sola...
Alla fine lo sguardo della donna sembrò andare indietro di molti anni. "Sei esattamente come tua madre, se le dicevi che una cosa non poteva farla ci si buttava a capofitto."
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