Capitolo Settantasei

Un po' intimorito dalla presenza di Riccardo, Luke balzò sul letto e si avvicinò alla sua padrona con cautela, annusandole la faccia e leccandole il mento. Riccardo si mosse e spostò di alcuni centimetri il braccio che teneva attorno a Selvaggia. Il gatto fece un balzo all'indietro, spaventato. Ma la fame fu più forte della paura e tornò a leccare il viso della padrona, che finalmente si svegliò.

"Ahm... Luke..." Biascicò aprendo un occhio, poi entrambi. 

Aveva la vista appannata dal sonno. Li richiuse, cercando di tornare a dormire, ma il musetto freddo del gatto poggiato di nuovo sul suo viso la portò a sbadigliare rumorosamente, ormai non più capace di riprendere sonno.

"Sì, sì, ora ti do la pappa..."

Si stiracchiò tra le lenzuola e così facendo svegliò anche il ragazzo accanto a lei.

Senza aprire gli occhi Riccardo si stirò, si allungò fin dietro la schiena di lei e l'avvolse in un abbraccio.

"Ehi, dove tenti di andare?"

Selvaggia sorrise e si lasciò stringere da quelle braccia, trovandole oltremodo forti e sicure. Le mani di Riccardo tastarono la sua pelle con bramosia, accarezzandola in modo lascivo fino all'attaccatura del sedere, e poi ancora un po' più giù, spingendola contro il suo corpo in un gesto che le facesse intendere tutta la sua passione.

Selvaggia ridacchiò, tra l'imbarazzo e il divertito. Ma con lui si sentiva tutto sommato a suo agio, lo fu sin dal primo istante e  un gesto del genere, per quanto non fosse abituata, lo accettò di buon grado, divertita ed eccitata. Gli avvolse le braccia attorno al collo e lui ne approfittò per baciarla.

"Mmm... Il miglior risveglio che potessi avere." Bofonchiò sulle sue labbra.

Selvaggia si divincolò e si scoprì, alzandosi dal letto e dirigendosi al suo armadio. Riccardo rimase a osservarla appoggiandosi a un gomito. Le gambe lunghe e snelle di lei facevano capolino dietro l'anta dell'armadio, mettendo in mostra quel fondoschiena tanto sodo e tondo che aveva toccato appena pochi istanti prima. Riapparve da dietro l'anta, coprendo con una t-shirt colorata ciò che lui stava osservando, e sorrise divertita.

"Quando hai smesso di sbavare, dillo." Lo canzonò con fare civettuolo.

Riccardo si finse indignato e rimase a bocca aperta. Si alzò in uno scatto e la raggiunse, nudo come un verme, per abbracciarla di nuovo.

"Quello che è bello è fatto per essere guardato."

"Spero che tu non intenda da tutti." Lo punzecchiò.

Per tutta risposta la strinse ancora di più. "Mi dispiace, su queste cose sono un uomo molto possessivo."

Il sorriso di lei divenne ancora più ampio. "Non mi dispiace affatto..."

Si scambiarono un lungo bacio dolce e focoso, come per ricordare la notte testé trascorsa e suggellare il sentimento che li univa.

***

Una volta ripulitosi e rivestitosi, Riccardo si fermò nella cucina di Selvaggia e guardò l'orologio. Sbarrò gli occhi, accorgendosi di essere in ritardo. Gli stava preparando la colazione ma la fermò.

"Per me andrà bene solo un caffè, devo scappare."

Selvaggia rimase con il frigorifero aperto e un cartone di latte in mano. "Ma sono appena le sette e dieci!"

"Sì, ma devo essere all'entrata delle prigioni per sorvegliare quel boss che ti dicevo. Oggi lo spostano in una stanza al pianterreno e c'è bisogno di me. È di questo che mi parlava il mio collega ieri per telefono."

Selvaggia fece una smorfia contrariata ma chiuse il frigo e versò il latte solo per sé.

"Ti faccio un caffè."

"Grazie." Le si avvicinò per darle un bacio. "Ma se ti va potresti vedermi al telegiornale."

"Al telegiornale?"

"Certo, ne stanno parlando tutti i TG da almeno una settimana. Strano che tu non lo sappia."

Selvaggia non rispose e si concentrò per fargli il caffè. Dopo circa un mese dal suo arrivo a Milano aveva deciso di non guardare più alcun programma televisivo. I giornali nazionali continuavano a trasmettere le immagini del garage in cui Giancarlo era stato ucciso, battezzandolo come l'ultimo omicidio mafioso per pareggio di conti, o come il loro normale sistema per zittire personaggi scomodi, e non aveva più intenzione di imbattersi in qualche altra notizia simile. Quel televisore che campeggiava nel suo salotto non era più stato acceso da allora.

Riccardo la salutò con un lungo bacio, uscì dalla porta salutandola con una mano, finché non svoltò oltre il cancello e sparì dalla sua vista. A quel punto Selvaggia chiuse la porta e il suo sguardo si posò su quel televisore. Sembrava guardarla con aria arrabbiata, risentito per non essere stato usato fino a quel momento. Valutò la possibilità di accenderlo, ma fu contrariata anche solo per averci pensato e andò a farsi una doccia.

Si vestì e si preparò per affrontare la giornata, ma quando tornò nel salotto lo sguardo si posò di nuovo sul televisore. Afferrò il telecomando senza pensarci troppo e lo accese. Cercò il canale delle news e dopo alcune notizie sulla politica, l'attenzione venne rivolta al carcere di Milano, dove una sfilza di carabinieri e poliziotti presidiavano in modo straordinario l'entrata e alcune stanze interne. Le immagini non mostravano molto, soltanto l'esterno dell'edificio e gli uomini in divisa che si muovevano operosi. Non vide Riccardo da nessuna parte, pensò che quelle immagini fossero state girate prima del suo arrivo, ma quando il cronista menzionò il nome del boss in questione rimase di stucco:

"Gaetano Lo Iacovo, 85 anni, è da tempo malato di tumore al polmone destro, che lo ha costretto a sottoporsi a continue visite ambulatoriali, minando visibilmente il suo stato di salute. Per questo oggi verrà trasferito in una stanza apposita dove, per suo stesso desiderio, potrà ricevere la visita dei suoi figli rimasti nella sua terra di origine, la Sicilia..."

Rimase sotto shock a fissare lo schermo senza più vederlo. Il nome di quel boss era lo stesso di quello che lei era andata a visitare... Lo stesso del clan che aveva ucciso il padre di Giancarlo e Giancarlo stesso! Non avrebbe mai potuto immaginare che si trovasse proprio nella città in cui aveva deciso di vivere.

***

Riccardo arrivò di fronte al San Vittore in perfetto orario. I suoi colleghi presidiavano l'entrata dello stabilimento e si affrettò a parcheggiare e uscire dalla sua auto. Avrebbe dovuto passare prima in caserma per prendere un'auto di ordinanza ma non aveva fatto in tempo. Sperò che nessuno se ne accorgesse.

Attraversò la strada e si avvicinò ai suoi colleghi, li salutò con un cenno del capo e prese subito il suo posto appena oltre l'entrata. Vicino alle scale Roberto era intento a verificare il traffico delle persone che salivano e scendevano dal piano di sopra. Incrociò involontariamente il suo sguardo per un breve secondo, ma questo lo riportò subito su di lui, lanciandogli uno sguardo in cagnesco. Voleva spaventarlo, ormai lo conosceva bene. Lo scherzetto della sera prima gli si era rivolto contro e adesso voleva scaricare la rabbia su di lui. Il sorrisetto derisorio che gli restituì era solo una pallida imitazione dell'ilarità che la sua espressione gli suggeriva. Si immaginò la faccia che fece quando il cameriere gli portò il conto e la cosa lo divertiva a dismisura. Gli si avvicinò, con l'intento di infierire.

"Buongiorno! Come è finita la cena di ieri sera? Vi sono piaciuti l'aragosta e lo champagne?"

L'espressione furiosa di Roberto si accentuò. "Sei un bastardo, sai quanto mi è costato il tuo scherzetto?"

Riccardo lo derise con uno sbuffo. "Me lo immagino. Invece sappi che il tuo scherzetto mi ha portato fortuna."

Si allontanò sotto il suo sguardo incendiario. Finalmente gli aveva reso pan per focaccia. Questa ulteriore punzecchiatura gli avrebbe fatto abbassare la cresta.

Ripensando a Selvaggia si lasciò andare al ricordo di lei e della notte che aveva trascorso tra le sue cosce. Un brivido lungo la schiena lo attraversò, rievocando le sensazioni provate. Non ricordava l'ultima volta in cui si era sentito così in simbiosi con una ragazza sin da subito. Selvaggia lo aveva travolto come un treno, come un'onda in pieno petto, senza lasciargli via di scampo se non quella di lasciarsi trasportare dalla corrente.

Dopo che ogni militare prese posizione e la sicurezza fu garantita al cento per cento, venne spostato il boss dalla sua cella alla nuova stanza che lo avrebbe ospitato per i suoi ultimi giorni, in cui avrebbe potuto ricevere le visite dei suoi familiari o dei suoi figli, qualora fossero venuti a trovarlo.

Venne trasportato di peso da alcuni inservienti su una sedia a rotelle. Quando gli passò davanti, tallonato dal medico che lo aveva in cura e da alcuni poliziotti, Riccardo fu colpito dall'aspetto di quell'uomo; per essere in fin di vita aveva mantenuto uno sguardo forte e fiero. Gli occhi scuri e i capelli bianchi, con delle striature castane a testimonianza del colore ormai perduto, lo rendevano ancora un tipo che incuteva timore, che esternava autorità. Per un attimo quello sguardo che incrociò gli ricordò quello di qualcun altro, ma fu un impressione talmente labile che svanì in un secondo, senza lasciare traccia nella sua memoria.

***

Selvaggia aveva lavorato tutto il pomeriggio ma con la testa perennemente al ricordo del cognome del boss che aveva sentito al telegiornale. Lo Iacovo. Possibile che fosse lo stesso? Come mai stava scontando una pena nel carcere di Milano? Che tipo di parentela aveva con quell'individuo?

Aveva davvero tante domande che rimbalzavano nella sua testa, come palline di un flipper impazzito, impedendole di concentrarsi. Raccolse dal bancone un vassoio con sopra due birre da portare a un tavolo, ma poco prima di arrivare a quel tavolo inciampò sui suoi piedi e le due birre caddero a terra. Per poco non le versò addosso ai clienti, poco distanti. Si scusò e andò a prendere velocemente lo scopettone e lo straccio per pulire il suo disastro, sotto gli occhi confusi della collega. Nel tornare a servire i clienti, ruppe un altro bicchiere, lasciandoselo scivolare di mano mentre lo riempiva. Dovette fare uno sforzo sovrumano per non decimare tutti i bicchieri del bar.

Tornò a casa a pomeriggio inoltrato e pensò di dover dare un taglio a quella situazione. Ma non sapeva come.

Qualcuno suonò al campanello. Oltre la porta trovò Riccardo con una busta di cibo d'asporto, due lattine di Coca Cola e un sorriso a trentadue denti.

"Ho portato del cibo e qualcosa da bere." Le allungò la busta di carta con i panini. "Ho pensato che avessi bisogno di rifarti delle energie perdute."

Selvaggia sbuffò divertita e si scostò per farlo entrare. "Energie perdute?"

"Certo!" Entrò in salotto e dopo due passi lei gli tolse di mano la busta. "Le stesse che ho intenzione di farti perdere ancora..." Borbottò avvicinandosi per donarle un lungo e caldo bacio sulle labbra.

Lei ricambiò felice. Finalmente riuscì a non pensare più a ciò che l'aveva afflitta per tutto il giorno. Come per magia la presenza di Riccardo le restituì un po' di serenità.

Il suo sguardo la imprigionò per alcuni istanti, caldo e intenso, si mordeva le labbra come alla ricerca del suo sapore.

"Mi fai venire fame." Sussurrò.

Selvaggia sorrise. "E allora mangiamo!"

"Non era di questo che parlavo." Bofonchiò tornando a baciarla.

Un semplice bacio donato a fior di labbra presto si trasformò in un bacio mozzafiato. Riccardo le tolse la busta di mano e abbandonò tutto sul divano. La avvolse tra le braccia, iniziando a toglierle la maglietta dai pantaloni. Selvaggia lo aiutò alzando le braccia e si concentrò sulla sua camicia, sbottonandola con foga, rischiando di strappargli i bottoni.

Un fuoco aveva invaso i loro cuori e, senza staccare le loro labbra, camminarono impacciati in camera da letto.

Finirono di spogliarsi e si infilarono sotto le coperte, Selvaggia passò le mani sui peli pubici di lui, fino alla sua erezione. Decise di dargli piacere in modo diverso e iniziò un massaggio provocante. Riccardo chiuse gli occhi e si lasciò andare con la testa all'indietro, godendo del tocco della sua mano. Ma ad un tratto la fermò, le prese la mano e se la portò alla bocca, baciandole le nocche.

"Adesso tocca a me."

La baciò con passione e si abbassò per prendere i suoi capezzoli a turno tra le labbra, succhiandoli e mordicchiandoli senza farle male. Fu lei stavolta a chiudere gli occhi e a lasciarsi andare al godimento. Riccardo la portò al limite e con suo disappunto, smise di eccitarla in quel modo per penetrarla in un unico affondò, lasciando che la passione sfogasse i suoi istinti. Si appartenerono nuovamente, e lasciarono fuori da quel talamo ogni preoccupazione o pensiero che non riguardasse il loro amore.

Insieme arrivarono al culmine, toccarono il vertice della loro passione e tornarono a terra contemporaneamente, inebriati e appagati, in un mare di lenzuola calde e umide del loro sudore.

Riccardo si gettò dalla parte opposta del letto, accogliendola subito tra le braccia e abbracciandola stretta.

E rimasero così, abbracciati al centro del letto, in una dimensione esclusivamente loro, senza necessità di altro se non di stare insieme.

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