Capitolo Settantadue

Il loro primo bacio durò diversi minuti. Diversi lunghissimi e interminabili minuti di passione ed emozione, di lingue intrecciate, di contatto umido e segreto, dove si rincorrevano e si trovavano per poi abbandonarsi e cercarsi di nuovo, per esplorarsi e conoscersi, assaporarsi, per saziarsi e contemporaneamente stuzzicare l'appetito e la voglia istintiva di conoscersi sempre di più.

Alla fine si staccarono e poterono tornare a respirare normalmente. Si fissarono negli occhi ancora vicinissimi per altrettanti minuti. Erano entrambi senza parole e rimasero nella loro nuvola privata per un bel po' prima che lui riuscisse a spezzare l'incantesimo.

"Wow!" Sospirò.

Finalmente Selvaggia sorrise senza vergognarsi, sentendo il cuore riempirsi di una particolare felicità che non sperimentava da troppo tempo.

Riccardo la prese teneramente per mano e la accompagnò fino a casa. Per un bel pezzo di strada rimasero in silenzio e camminarono insieme, tenendosi per mano, con l'eco dei loro passi ad accompagnarli. Nessuno dei due voleva rovinare quell'atmosfera con futili parole. Ma dopo qualche metro l'esuberanza del ragazzo prevalse.

"Ho una sorella che ti assomiglia, sai? Mi ricorda te nei modi di fare."

Selvaggia parve sorpresa da questa rivelazione, di colpo si sentì estremamente curiosa di tutto ciò che lo riguardava.

"E quanti anni ha?"

"Adesso sta iniziando una fase che dichiarerei terribile: l'adolescenza." Fece sentire una risatina. "Ma credo che se la conoscessi ti piacerebbe." Sembrava totalmente catturato dall'argomento. "È spigliata e solare ma molto dolce, si affeziona presto alle persone e se può le aiuta con tutta se stessa. Potrebbe essere un carabiniere perfetto."

Lei rimase in silenzio, questa descrizione le ricordò sé stessa, come era un tempo, e un senso di nostalgia le riempì il petto. Un tempo amava aiutare le persone e il sorriso non sbiadiva mai dalle sue labbra, ora invece...

Si fermarono solo una volta raggiunta la porta del suo appartamento. Di nuovo in silenzio, Riccardo tornò a guardarla negli occhi e subito si sentì sciogliere dalla voglia di baciarlo nuovamente. Non poteva resistere a quegli occhi incredibili e, quando le si avvicinò appoggiando delicatamente una mano sulla guancia, non poté che restare ferma e lasciarsi baciare.

Il secondo bacio le sembrò addirittura meglio del primo. La mano calda sulla guancia era morbida, portandola in quel posto in cui era capace di dimenticare persino sé stessa. Le loro labbra si unirono, ritrovando subito quel feeling che era appena sbocciato. La mano scese, abbandonò la guancia per stringersi attorno al suo punto vita, avvicinandola a lui e rendendo ancora più appassionato il bacio.

L'emozione che Selvaggia assaporò la portò a sentirsi leggera, ad avvertire la sensazione di galleggiare a tre metri dal suolo.

Abbandonò la sue labbra mantenendo gli occhi chiusi, tornando lentamente coi piedi a terra, lui la teneva incatenata a sé con il braccio e con lo sguardo.

"Buonanotte."

Le sorrise un'ultima volta, si voltò e si allontanò da lei.

Selvaggia entrò in casa camminando su una nuvola, si voltò e osservò Riccardo allontanarsi in solitudine lungo la strada, finché non svoltò oltre il cancello e sparì dalla sua vista. Solo allora chiuse la porta e compì una piroetta, imitando una ballerina di danza classica. Raccolse da terra il gatto, intento come sempre a chiedere la sua razione di cibo serale, e riprese a volteggiare con lui, ormai preda della sua felicità personale. Ma qualcosa la riscosse e si bloccò al centro della stanza. Cosa avrebbe fatto quando lui le avrebbe chiesto del suo passato?

***

Si avvicinò ai due ragazzi seduti al tavolino all'angolo del pub e con un insolito sorriso prese il loro ordine. Tornò dietro al bancone per preparare due cocktail, la collega le si avvicinò con la solita esuberanza, che ultimamente era meno fastidiosa.

"Anche stasera il tuo carabiniere verrà a prenderti?"

La curiosità brillava nelle sue iridi scure, ma Selvaggia non riuscì a innervosirsi per la sua curiosità indiscreta.

"Probabile."

Non riuscì nemmeno a trattenere un sorriso, che alimentò la curiosità dell'altra.

"Oddio, come ti invidio!" Congiunse le mani con aria trasognata. "I primi tempi sono sempre i più emozionanti!" Le rivolse un sorriso malizioso. "E a letto com'è? Scommetto che ci sa fare. Si vede che è un tipo focoso, come piace a me."

Selvaggia restò interdetta. "Beh..."

In realtà, dopo quasi tre settimane non erano andati oltre alla consueta passeggiata serale dove la accompagnava a casa, ma per qualche strano motivo non voleva dirle la verità.

"È... Sì... Bravo..." Balbettò.

Cristina sbuffò derisoria. "Bravo? Cos'é, ti ha venduto un appartamento? Non si può dire bravo in quel senso." Attese alcuni secondi ma dalla collega non arrivò nessun ulteriore dettaglio. "Ah, ho capito. Sei sempre quella che non si sbilancia troppo... Ok, stavolta ti capisco!" Con un gesto di sufficienza afferrò una spugna dal lavandino. "Con un tipo così anch'io manterrei per me ogni dettaglio."
Passò la spugna sul bancone, togliendo alcuni bicchieri sporchi e li mise nel lavandino. Ci buttò anche la spugna e le fece la linguaccia. "No, non è vero!"

Selvaggia non poté evitare di ridere alla sua espressione, cosa che rallegrò anche la collega.

"Però si vede che ci stai bene con lui. Sono contenta."

A quelle parole smise di ridere. "Si vede che ci sto bene?"

"Lontano un miglio!" Cristina spalancò gli occhi, esaltando la sua affermazione. "Da quando esci con lui sei più felice, più sorridente, e anche meno scorbutica. Non te ne sei accorta?"

Sì, grazie alle sue parole se ne rese conto.

"Ero davvero antipatica, vero?"

Cristina fece spallucce. "Evidentemente avevi solo bisogno di trovare l'amore."

Le sorrise e si allontanò per servire un cliente, lasciandola a riflettere sulle sue parole. Ogni giorno aspettava con trepidante attesa la passeggiata con Riccardo, ma doveva ammettere che stava cominciando a volere qualcosa di più. Solo che aveva una tremenda paura di chiedere troppo, o di passare male, e non aveva mai avuto il coraggio di avanzare delle richieste. E poi quegli occhi chiari che la guardavano con calore le impappinavano la lingua, ogni sera non riusciva a ragionare quando le dava la sua versione della buonanotte fuori dalla porta di casa. Quando riacquistava la facoltà di parola lui se n'era già andato.

Terminò il suo turno di lavoro con l'intenzione di smuovere la situazione una volta per tutte. Non prima di aver fatto la consueta passeggiata. Male che vada si sarebbe gustata lo stesso quel tempo con lui.

Lo trovò come sempre alla fine del vicolo, ad attenderla con quel sorriso che la faceva sciogliere e le faceva pizzicare le guance. Dopo il consueto saluto le porse il gomito, che lei afferrò come ormai faceva tutte le sere, e si incamminarono lungo il marciapiede.

Riccardo iniziò a conversare del più e del meno, come faceva sempre per alleggerire la tensione: "Oggi mia sorella mi ha chiamato, mi ha detto che ha trovato fidanzato."

"E tu che lei hai detto?"

"Che se non si comporta bene con lei me lo deve dire subito. Ci penso io a lui se non la rispetta."

Ridacchiò. Questo senso di protezione che aveva nei confronti della sorella era un aspetto del suo carattere che lei adorava. Così come la sua dedizione al lavoro e il rispetto per la giustizia.

Varcarono il cancello del suo cortile e sentì il cuore aumentare il ritmo. Doveva dirglielo, non potevano continuare in eterno con quella tiritera. Si bloccarono come sempre davanti alla sua porta per la buonanotte, ma prima che lui le si avvicinasse prese coraggio:

"Domani ho la giornata libera e... Sai, mi piacerebbe se tu potessi venire da me." Bofonchiò timidamente.

Riccardo rimase a fissarla con una strana espressione che Selvaggia decifrò come fastidio. Pensò che forse avrebbe voluto essere lui a invitarla per la prima volta e si affrettò a rimediare:

"Ma se non puoi... O non vuoi, non fa niente. Anzi, non è necessario che tu venga per forza a casa mia, in fondo ci sei già stato e, insomma..."

Si sentì terribilmente stupida e, vergognandosi, abbassò lo sguardo e si zittì, rimproverandosi per essere stata così maldestra. Quasi non si riconosceva. Come mai era diventata così imbranata?

"Io preferirei un'altra cosa."

La risposta di lui le parve un rifiuto, cambiò espressione e si sentì di colpo rammaricata.

"Ah..."

Le fu evidente che si era stancato di continuare quella routine, forse aveva addirittura intenzione di finirla definitivamente. Forse si era già stancato dei suoi musi lunghi e dei discorsi frammentati e...

"Che ne dici se ti porto a mangiare fuori?"

La controproposta interruppe i suoi pensieri sconclusionati e si bloccò in apnea, non era sicura di averlo sentito bene. Alzò lentamente la testa per incontrare lo sguardo sorridente e deciso di lui. Chiuse di scatto la bocca, deglutì un fiotto di saliva e tornò a respirare.

"Domani sera?"

"Vuoi fare a pranzo? Per me va bene, mi toccherà cambiare il turno con il mio collega, ma-"

"No no no, va bene di sera." Lo interruppe. "Non voglio che cambi orario di lavoro per me, domani sera a cena va benissimo!"

Riccardo le sorrise, facendola sentire in paradiso, e si avvicinò per baciarla. Come ogni volta, il cuore di Selvaggia prese a galoppare velocissimo, sembrava non averne mai abbastanza di lui.

Quando chiuse la porta di casa vi si appoggiò contro, trasognata, ignorando il gatto che la chiamava ai suoi piedi. Si bloccò di colpo, un senso di inquietudine la invase: nell'armadio aveva qualcosa di particolare da mettere? Corse in camera e spalancò le ante, dando un veloce sguardo a tutti i suoi vestiti appesi ordinatamente, ma non c'era un solo capo tra quelli che vedeva che riuscisse a soddisfarla. Doveva assolutamente andare a fare shopping!

***

Il campanile della chiesa poco distante suonò dodici rintocchi, nel silenzio del mezzogiorno di quel piccolo angolo nel mezzo della città si fecero sentire distintamente, complice anche la finestra spalancata per permettere al sole di entrare senza ostacoli. Selvaggia estrasse dalla busta di carta l'ennesimo paio di pantaloni e ci staccò il cartellino col prezzo, afferrò dal letto il top di una nuance poco diversa e se li accostò entrambi addosso, si spostò davanti allo specchio e guardò la sua immagine riflessa. Il rosso avrebbe dovuto esaltare il colore dei suoi occhi, così le aveva detto la commessa del negozio, ma adesso sembrava solo un pilota di formula uno che si era perso tra i box.

Gettò entrambi i capi sul pavimento e afferrò un paio di pantaloni aderenti marroni, li accostò a una maglia lunga colore oro e si guardò allo specchio: Titti avrebbe trovato in lei la sua anima gemella!

Rovistò nel marasma di abiti disposti disordinatamente sul suo letto, di colpo notò un brusco movimento sotto le stoffe e subito si allarmò. Si pietrificò a fissarlo, col timore che fosse qualche bestiaccia entrata dalla finestra aperta. Una di quelle che strisciano o che camminano sui muri e si cibano di insetti, e che le facevano senso.

Pensò di prendere la scopa e ucciderlo, lì dove si trovava, quando di colpo quella bestia si mosse di nuovo, camminò fino all'orlo del letto dove terminava anche quell'ammasso di vestiti che vi aveva gettato, e lì si fermò. Impaurita, si guardò attorno alla ricerca di qualcosa a portata di mano per colpirlo, finché il muso di Luke non fece capolino con un miagolio irritato.

Con un respiro di sollievo si rilassò dallo spavento, sentendo l'adrenalina abbandonarla, e si rese finalmente conto dello stato di confusione in cui versava la sua stanza. Ma cosa le stava prendendo?
Prese il gatto in braccio, che nel frattempo si era posizionato sopra un paio di pantaloni rossi di Lui Jo e aveva iniziato una toeletta scrupolosa.

"Hai ragione, è meglio prendere una pausa."

Tornò con lui in cucina, dandogli da mangiare e facendosi un'insalata veloce. Si rilassò sulla sua solita sedia accendendosi una sigaretta, c'era la vicina che stendeva i panni dal suo balcone. Osservando i vestiti stesi si accorse che erano decisamente sformati ed enormi, non certo nuovi o di qualche marca prestigiosa, ma glieli aveva visti addosso diverse volte e non le era mai sembrata sciatta o disordinata.

Forse aveva trovato la soluzione al suo problema...

***

Il rasoio passava sulla guancia con apparente facilità, togliendo al contempo schiuma bianca e peli, lasciando una scia di pelle glabra e liscia. Riccardo scosse le lame nel lavandino, scuotendo la testina sotto l'acqua corrente per togliere i residui di schiuma e le passò nuovamente sulla guancia per togliere altra schiuma e altri peli. A fine operazione si sciacquò al lavandino, esaminò il risultato allo specchio un po' scrostato. Niente male! Si rimise il cappuccio dell'accappatoio e si strofinò energicamente i capelli bagnati. Nello specchio in cui si stava ancora osservando entrarono i riflessi dei suoi due colleghi che fecero il loro ingresso nei bagni e negli spogliatoi della caserma, assorti nella loro conversazione.

"Ci sarà un bel daffare quando quel vecchio tirerà le cuoia!"

Quello che chiamavano Rosso, per via della sua chioma rossa e delle lentiggini su tutto il viso, si diresse senza indugi al proprio armadietto e prese a togliersi la cravatta della divisa, imitato dal collega che lo seguiva.

"Ma nonostante tutto il male che ha fatto, saranno tutti qui, al suo capezzale."

Quello soprannominato Barbetta, per via del suo pizzetto sempre perfetto e curato, aprì il suo armadietto e vi appese la giacca della divisa.

Il Rosso scosse la testa contrariato. "Io non capisco, alcuni di loro sono stati dati per dispersi, altri hanno una vita normale, hanno ripudiato lo stile di vita del padre, eppure saranno qui per dargli l'ultimo saluto. È pazzesco!"

Riccardo si appoggiò al lavandino ancora in accappatoio per introdursi nella discussione. "Evidentemente come padre non ha sbagliato. Soltanto come uomo."

"Tzè!" Fece il Rosso, si sedette sulla panca per togliersi le scarpe. "Se io avessi un padre che ha ucciso un sacco di persone e fatto uccidere mia madre per i suoi sporchi affari, non vorrei rivederlo mai più."

"La famiglia è una cosa complicata!" Riccardo si scostò dal lavandino e andò a vestirsi. "Figuriamoci una famiglia malavitosa."

"Già!" Barbetta, rimasto in mutande, si accinse a farsi una doccia. "E noi dobbiamo fare in modo che non succeda niente a nessuno di loro. Come se fossero vip."

"Vi rendete conto che una delle sue figlie è addirittura diventata suora?" Anche il Rosso si preparò per farsi la doccia. "Una suora che verrà a salutare per l'ultima volta il padre boss di un clan mafioso!" Sbuffò di derisione.

Riccardo li lasciò discorrere. Era il loro lavoro, e anche lui aveva dato la propria disponibilità per proteggere i figli del boss che stava scontando la sua pena in carcere. Dopotutto non avevano scelto che padre avere ed era loro diritto salutarlo per l'ultima volta. Quell'uomo ormai era vecchio e malato, per gli ultimi giorni della sua vita aveva espresso il desiderio di riavere accanto a sé tutti i suoi figli, o almeno quelli che gli erano rimasti. Gli era stata riservata una cella singola, in modo da poterli ricevere tutti insieme, anche se nessuno credeva che sarebbero andati a trovarlo.

Finì di vestirsi e si voltò verso i colleghi che nel frattempo avevano finito di fare la doccia e si stavano rivestendo, continuando a discorrere sullo stesso argomento. Appena si accorsero di lui, vestito di tutto punto, si bloccarono a fissarlo.

"Ma dove vai conciato così?"

Il Rosso attirò l'attenzione del collega, che rimase per un secondo a fissarlo a bocca aperta e fece sentire un fischio di apprezzamento.

"Sembri un damerino figlio di papà."

Riccardo tornò a guardarsi allo specchio e si sistemò la camicia bianca di tintoria, stirata e inamidata, lisciandosi la giacca grigia che faceva pendant con gli stivaletti. I jeans leggermente sdruciti gli davano quel tocco giovanile a cui non voleva rinunciare. Sorrise al suo riflesso, sperava che anche Selvaggia lo trovasse piacente.

"Si può sapere con chi esci? Era da un po' che non ti vedevo vestito in questo modo!"

"Non sarà mica la mora di cui parlava Roberto!" Indagò l'altro.

Riccardo sorrise e si allontanò da loro, uscendo dagli spogliatoi senza rispondere. I due colleghi si scambiarono un'occhiata scettica, si strinsero nelle spalle e tornarono a vestirsi.

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